
Il cattolicesimo italiano vale due Luigi. Gedda e Giussani
Il Meeting di Rimini ha avuto il suo momento più alto nelle parole di don Giussani: qui veramente ha vibrato l’Eterno, invocato nel titolo del Meeting. È un “avvenimento” inatteso, che don Giussani abbia posto l’accento su un testo che ha percorso il secolo scorso in tutto il mondo cattolico, la preghiera insegnata dalla madonna ai bambini di Fatima: “Salvaci dal fuoco dell’inferno, porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia”. Quasi istintivamente quella preghiera mi ricorda i giorni della seconda guerra mondiale quando quella preghiera si elevava dai “rifugi” con gli aerei nemici sulla testa e gli scoppi in vicinanza o in lontananza. Quella preghiera era detta da un popolo abbandonato alla violenza dall’aria.
Io non ero al Meeting in quel momento, ma immagino che il silenzio in cui sono stati accolti quel volto e quel messaggio saranno, per coloro che vi hanno partecipato, una esperienza indimenticabile.
Penso a quanti temi presenti nel nostro tempo sono detti in quella preghiera: la salvezza universale, la salvezza anche dei non cristiani ma per la mediazione di Maria e perciò di Cristo. Ma anche l’inferno, l’ira divina, il castigo divino, parole oggi dimenticate, quando Dio è visto come una impotenza dolce a cui dobbiamo prestare il nostro braccio nella lotta contro il capitalismo.
Quelle parole vengono dalla Chiesa di Pio XII, la Chiesa oggi dimenticata e con essa tutto ciò che rendeva cattolica la Tradizione cattolica: la Redenzione, la Presenza Reale, il valore della Croce, oggi messi da lato nel convito, nella salvezza nelle opere sociali, nella “liberazione”.
Don Giussani è un prete di quella Chiesa: se ha saputo creare nella Chiesa postconciliare una realtà nuova e inattesa, era perché i germi erano già in quella Chiesa.
Diversamente da don Camisasca, ho trovato una perfetta continuità tra l’opera di Luigi Gedda e quella di don Giussani. Perché Gedda come Giussani aveva il senso che il Cattolicesimo poteva essere cultura. Vi era, promosso da lui, tutto uno sforzo di rinascita culturale cattolica nelle arti (e soprattutto nel cinema) nel periodo fascista e negli anni ’50. E vi era il senso che tutta la fecondità storica nasceva dalla propria partecipazione alla Santissima Agonia, il Getsemani. Don Camisasca non ha fatto un buon servizio alla verità riducendo Gedda alla frase «la fede si difende con l’organizzazione». Negli anni ’50 lo facevano gli uomini di Guano, Costa, Lazzati. Il cardinale Ratzinger è stato ingannato da questa frase. Gedda non è stato solo uno dei maggiori cattolici del secolo, ben lungi dalla santità di parole e di imbrogli di cui era fatto un La Pira, Gedda enunciava in quelle parole il principio della carnalità delle opere così caro al fondatore della Compagnia delle Opere. Tradito da Carretto, Gedda è stato continuato da don Giussani. Solo che non poteva affermare la continuità con quello che i democristiani consideravano un grande nemico (a cominciare da De Gasperi e da Andreotti) solo perché aveva mobilitato il popolo contro il comunismo senza passare per la DC. Ho la malizia di notare che dopo Gedda questo lo ha fatto Berlusconi.
Ho ammirato in casi recenti il coraggio con cui i ciellini sopportano la morte ed il dolore, anche se il Getsemani non fa più parte della loro cultura. Gedda e Giussani sono la stessa cosa: un Cattolicesimo della Croce che intende animare le opere della vita, fare della cattolicità una carne. Del resto, neanche Giussani e CL hanno avuto rapporti facili con la Dc. Hanno dovuto subirla, come dovette subirla Gedda.
Perciò le parole di don Giussani che ci riportano nella Chiesa di Pio XII ci dicono che Comunione e Liberazione è figlia di una tradizione. Infine GS di don Giussani è la GIAC di Luigi Gedda. Non so se Giussani, riportandoci nel cuore gli anni preconciliari, abbia voluto ricordare le radici. E Giussani è uomo di tradizione e di radici. Ma se un giorno qualche vecchio ciellino vorrà considerare le radici di Cl, vedrà che vi è l’Azione Cattolica del papa di Desio, Pio XI, concittadino di don Giussani, e quella di Pio XII. E del resto questo è per me il fascino di Cl: quello di portare una cultura della Tradizione. Qualche volta sarebbe bene che cessando per un momento di fare compagnia alle Opere, facesse compagnia alla propria tradizione, alle proprie origini, alla propria storia. E dirò con punta di malizia: comprenderà le ragioni cattoliche e spirituali per cui essa è stata costretta dal governo divino della storia ad abbandonare Andreotti e a scegliere Berlusconi.
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