Il caso Tortora e il povero Jesus, senzatetto sbattuto in carcere senza un perché

Di Gianni Ferrari
18 Giugno 2012

A proposito della vicenda Tortora mi piacerebbe raccontare un piccolo aneddoto del quale fui personalmente testimone per il mio lavoro dell’epoca, quando ero giovanissimo vice brigadiere dell’Arma dei Carabinieri. Il super blitz che coinvolse Tortora riguardò, in tutto, circa 800 persone in tutta Italia. Di queste, circa 40 nella zona di Genova.

S. F., da tutti conosciuto col soprannome “Jesus”, era uno degli ultimi “figli dei fiori” della città; camminava scalzo per le vie di Genova e solitamente dormiva all’aria aperta, nei giardini davanti alla stazione ferroviaria di Genova-Brignole.
Quando ci giunse l’ordine di cattura della Procura di Napoli, tutti noi trasecolammo. Dovevamo prendere S. F. perché «indicato da Barra e Pandico quale capozona della Nuova camorra organizzata». Facemmo presente l’assurdità, ci risposero che la Procura di Napoli sapeva quello che faceva e di non permettersi, noi “piccoletti”, di mettere in discussione cotanto operato, in quei giorni sotto gli occhi dell’intera nazione.

Andammo dal buon Jesus, gli offrimmo una buona birra e, non sapendo se ridere o piangere, gli notificammo l’augusto provvedimento. Condotto in carcere a Genova, tradotto poi a Napoli a Poggioreale, messo a confronto con Barra e Pandico, dopo 40 giorni fu restituito alla libertà e al soffice prato dei giardinetti della Stazione Brignole. Questo è solo uno dei tanti casi di omonimia al quale, per averlo vissuto personalmente, voglio rendere onore dopo 29 anni.

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    1 commento

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