Il buon immaturo

Di Justin Mc Leod
24 Giugno 2004
Scriveva Ortega y Gasset che ogni civiltà subisce di continuo una “invasione verticale di barbari”

Scriveva Ortega y Gasset che ogni civiltà subisce di continuo una “invasione verticale di barbari”. I primitivi che la minacciano costantemente dall’interno sono le nuove generazioni. “Barbare” perché estranee alla cultura e alla civiltà in cui entrano. Compito dell’educazione è civilizzare i nuovi barbari: trasmettere (consegnare, in latino tradere: tradizione) alle generazioni che crescono il patrimonio culturale che dà forma alla civiltà. La maturità è appropriarsi del patrimonio ricevuto, così da poterne disporre in modo libero e creativo. «Ripeness is all», la maturità è tutto, come faceva dire in tempi migliori Shakespeare a Edgard nel Re Lear.
Ma a questo compito, che solo consente l’umanizzazione e il progresso, si oppone l’esaltazione dell’infanzia come tempo dell’innocenza, di una autenticità che la crescita corromperebbe. Alla progressiva affermazione di questa tendenza è dedicato l’interessante studio di Francesco Cataluccio (Immaturità, 215 pp., Einaudi, euro 19). Che incomincia con un clamoroso svarione, infilando fra gli inviti a non crescere anche l’evangelico «se non ritornerete come bambini». Ma poi aggiusta il tiro. Muovendosi agilmente fra letteratura e psicologia, rock, cinema e fumetti, mostra come il culto dell’irresponsabilità sia il tratto distintivo dell’epoca moderna. Dal mito illuminista del buon selvaggio all’identificazione romantica di poesia e gioventù (l’Ode alla giovinezza di Adam Mickiewitz è del 1820) fino alla pascoliana esaltazione del “fanciullino”, l’equazione bambini=bene, adulti=male si fa strada. Il Novecento si apre con l’affermazione dello Jugendstil (“pubertà dichiarata in permanenza” lo bolla Theodor W. Adorno) e con la pubblicazione de Il secolo dei fanciulli di Ellen Key, bibbia di tutto lo spontaneismo educativo che seguirà. L’esaltazione fascista della “Giovinezza” o il primitivismo dei “figli dei fiori” non sono che varianti di un’unica storia, che culmina oggi col trionfo mediatico del giovanilismo come moda universale. Il Novecento è stato insomma il secolo di Peter Pan. Tornerà il Duemila a essere quello del Padre?

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