
Il biocentrismo di Taylor, spunti e rischi

Ormai vince, almeno sul piano della comunicazione, chi strilla. La ragione, la prudenza, la capacità di discernimento hanno da tempo lasciato il posto all’ideologia: una semplificazione rigida, dogmatica e dunque pericolosa della realtà. Del resto, basta andarsi a rileggere La ribellione delle masse di Josè Ortega y Gasset per toccare con mano quel che era già prevedibile un secolo fa – ancor più profetico, se vogliamo, La democrazia in America di Alexis de Tocqueville, di un secolo precedente. Sembra quasi che non si abbia più la capacità di pensare. La questione ecologica ne è un plastico esempio, e il “green deal” europeo la testimonianza esemplare. È lo spirito dei tempi, bellezza.
Ma la questione ecologica, o ambientale, se seguiamo il termine asettico che va per la maggiore, può essere affrontata anche e soprattutto con spirito cristiano. Che poi significa con reverenza e il giusto sguardo umile nei confronti del mondo in cui ci è dato abitare. Se prendiamo, ad esempio, quanto scritto da Papa Giovanni Paolo II abbiamo già importanti coordinate su cui meditare.
L’uomo al centro della creazione
Mi riferisco, in particolare, alla Centesimus Annus (1991), all’interno della quale si parla esplicitamente di questione ecologica. Scrive il Papa che alla base della distruzione della casa comune giace un «errore antropologico». L’uomo, preso dalla smania di consumare e sfruttare le risorse naturali dimentica, infatti, che queste gli sono donate da Dio.
C’è di più: l’uomo, che nella creazione è al centro in quanto figlio di Dio, non deve però tentare di sostituirsi a Lui. Così facendo, anziché collaborare al suo bene e a quello delle comunità in cui vive, diviene il tiranno della natura e tradisce la stessa struttura morale e naturale, sostiene Giovanni Paolo II, di cui è stato dotato. In qualche misura, dunque, l’uomo deve ricordarsi che non è solo al mondo e, dal momento che è provvisto di ragione, deve tributare il giusto rispetto alla vita tutta: ai suoi simili, agli animali, alle piante, ai mari, alla terra nel suo complesso.
La rivoluzione di Taylor
Il filosofo americano Paul W. Taylor, morto nove anni fa, assume in qualche modo una tale prospettiva, però estremizzandola. Parla infatti di un’etica ambientale incentrata sulla vita che deve sostituire l’etica antropocentrica. Il che significa che tutti gli esseri viventi, egli sostiene, devono godere della medesima nostra considerazione morale. È una prospettiva radicale la sua, e la si può saggiare in una raccolta dei suoi scritti tradotti e curati da Lorenzo Milano: Etica ambientale. Riflessioni sul biocentrismo (Morcelliana).
Egli giunge addirittura a invocare l’esigenza di una rivoluzione: una rivoluzione egualitaria che giunga a considerare totalmente pari uomini, animali, piante. Tutti noi dovremmo arrivare a considerare ogni organismo vivente come dotato di un “valore inerente”: un centro teleologico a se stante. La prospettiva è suggestiva e come tale va presa in considerazione. Ma questa visione potrebbe portare anche su cattive strade: al sacrificio dell’essere umano stesso, se vogliamo usare un’iperbole.
Non una buona alternativa
Certamente, Taylor ha ragione quando sostiene che l’uomo dimostra di avere scarsa o nulla considerazione per la natura che lo circonda e di cui fa parte: «Siamo tutti co-partecipanti – scrive – all’ordine ecologico dell’unico pianeta che è la nostra casa comune», nulla di più vero e sensato. E fa pure bene a insistere sul fatto che dovremmo abbandonare la pretesa di superiorità assoluta della specie umana su tutte le altre.
Lo abbiamo del resto già visto nelle parole di Giovanni Paolo II: l’uomo erra a ergersi come dominatore del mondo, commettendo in tal modo un grave peccato. Eppure, il suo egualitarismo ideologico non sembra un’alternativa buona. L’uomo solo è dotato di coscienza, e questa, se correttamente ascoltata, traccia le coordinate da seguire e rifiuta la tentazione, sempre in agguato, della hybris.
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