
Il bello di crescere un giorno per volta. Lettera di un professore

Articolo tratto dal numero di Tempi di aprile 2019 (attenzione, di norma l’accesso agli articoli del mensile è riservato agli abbonati: abbonati subito!)
Fiorire presto, talora, significa anche appassire prima. I ragazzi d’oggi maturano precocemente, sviluppando, in molti casi, patologie che fino a non molto tempo fa erano caratteristiche dell’età adulta: angoscia, ansia, e, nei casi più gravi, depressione.
Vi è una pericolosa tendenza nel sistema di orientamento in entrata – sia a livello liceale che universitario – che mina prepotentemente lo status di serenità e libertà necessario a ogni studente per poter svolgere bene il proprio compito: imparare, stupirsi, crescere.
In università restavo perplesso da come alcuni illustri atenei nostrani spingano le avide mani del recruiting fino al quarto se non al terzo anno delle superiori, considerando le medie degli alunni per i test di ammissione e anticipando le iscrizioni all’inverosimile. Da che insegno (in una scuola media), ho scoperto ben di peggio. Si danno infatti alcuni casi in cui l’orientamento in uscita dalle scuole medie inferiori si svolge al termine del secondo (!) anno. E questo perché i licei chiudono le iscrizioni delle future matricole verso gennaio del terzo anno. Chi conosce i ragazzi di quell’età, intuirà quanto sia profondamente sbagliato pretendere una tale decisione (da de + caedo, tagliare via qualcosa scegliendone un’altra) da un dodicenne. Non certo perché sia sbagliato intimare una scelta. Al contrario: è per mezzo delle scelte che si diventa adulti. Ma senza lasciar loro il tempo – quella bella prateria di novità e incontri nella quale si stanno tuffando per la prima volta da che son nati, perché escono dall’infanzia –, cosa potrà motivare e sostanziare la scelta? Le premure (angosce, talvolta) dei genitori, e ciò che suggerisce il mondo. E così, mi è capitato di sentire commenti come: «Dato quest’anno di terza media, mi piacerebbe l’anno prossimo frequentare il liceo classico; ma ormai mi sono iscritto allo scientifico, l’ho fatto un anno fa, perché avevo la media più alta in matematica, e ormai le iscrizioni sono chiuse».
È chiaro che un sistema scolastico e universitario così invadente, che insiste per avere la firma da chi invece dovrebbe avere il solo compito di concentrarsi il meglio e il più a lungo possibile sugli studi adatti alla sua età, non fa che peggiorare la situazione. Ingenera nei ragazzi la paura di essere sempre e costantemente giudicati e messi alla prova, lasciando intendere che il punto, nella scuola, sia soltanto prendere buoni voti e passare allo step successivo, e non godersi ogni singolo giorno, lezione, scoperta.
C’è un piccolo capolavoro della letteratura contemporanea francese, Oscar e la dama in rosa, gioiellino della brillante penna di Éric-Emmanuel Schmitt. Sul finire del breve romanzo, il protagonista, Oscar, un irriverente bimbo di dieci anni affetto da leucemia, si accorge che tutta la realtà, compreso il (poco) tempo che gli rimane, è un prezioso dono, di cui è stupito e molto grato.
L’INVENZIONE DEL CILIEGIO IN FIORE
Per introdurre i miei alunni alla poesia, ho proiettato l’immagine di un ciliegio appena fiorito. I miei alunni hanno pensato che fosse uno di quei celeberrimi alberi giapponesi. Ci sono rimasti quando gli ho rivelato che avevo scattato io la fotografia un’ora prima, subito fuori da scuola. La pianta è da pochi giorni rifiorita, con massima discrezione, senza che nessuno se ne accorgesse. Ho provato a spiegare loro che le radici della parola “invenzione” sono nel verbo latino invenire, che suppergiù significa “andare a sbattere contro qualcosa o qualcuno”. Questa è l’origine della poesia: lo stupore di andare a sbattere con questo o quell’altro punto della realtà. Essa si presenta come un dono, che nessuno ha scelto, ma che ciascuno riceve.
La scuola dev’essere innanzitutto il luogo dove questo stupore è agevolato, accompagnato, custodito, fatto crescere. È meraviglioso osservare i ragazzi diventare grandi passo passo, così come appare evidente che essi siano naturalmente portati a prendere la propria de-cisione, al momento giusto. È un subdolo volto del potere, quello che distrae da tutto questo, per instillare il dubbio che, in fin dei conti, tutto ciò che conti sia dimostrare di essere il migliore della classe.
Foto YanaKotina/Shutterstock
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