
I vizi scolastici e le mediatiche virtù di via Quaranta
Per una casuale sintonia temporale, mentre il 5 ottobre alla Corte d’Assise di Cremona, durante il processo contro sei integralisti islamici, emergeva che il 26 luglio 2002 nella moschea di via Quaranta si sarebbe tenuta una riunione per reclutare combattenti jihadisti, lo stesso giorno in mattinata a Milano, in via Quaranta, il ‘direttore’ della madrassa, Aly Sharif, esultava che finalmente fosse giunta «la giornata della pace». Il sollievo giungeva oppurtuno dopo un giorno e una notte trascorsi da Sharif in una burrasca di dichiarazioni e smentite, di litigi coi genitori degli studenti e di battibecchi col prefetto Bruno Ferrante fino al catartico epilogo in una riunione notturna nello stabile della non scuola. Cos’era successo? Un gruppo consistente di genitori, stanchi della lentezza delle trattative, aveva scritto una lettera a Shahat Usama Tawfik Ahmed, responsabile legale del centro Fajr, pregandolo «di essere finalmente ascoltati», perché fino ad allora pareva loro che nessuno avesse mostrato la disponibilità di «capire la nostra ansia di vedere positivamente e celermente risolte le problematiche emerse a carico dell’edificio di via Quaranta».
Nella lettera (che Tempi pubblica in anteprima, vedi figura A), datata 2 ottobre, cui seguono un centinaio di firme, ci si lamenta perché «sono trascorsi più di 20 giorni da quando i nostri bambini avrebbero dovuto tornare a scuola per riprendere il loro percorso formativo. Senza alcun preavviso ci avete detto che occorreva aspettare ancora qualche giorno, che dovevamo pazientare ancora un poco perché l’Associazione Fajr unitamente al Comune di Milano e ad altre autorità competenti Vi stavate muovendo sinergicamente per trovare una soluzione rapida alla presunta inidoneità dell’edificio di via Quaranta». Questa parte della missiva che fa da prologo alle successive richieste non è stata adeguatamente sottolineata dai giornali che ne hanno dato notizia. Mentre si è dato maggior rilievo alla parte seguente in cui madri e padri proseguono il lamento spiegando che «nessuno si è preoccupato di chiedere a noi genitori cosa desideriamo fare per l’istruzione dei nostri figli» e sollecitando «a riaprire immediatamente la scuola araba di via Quaranta ovvero a individuare celermente un altro edificio ritenuto idoneo allo svolgimento delle attività didattiche». Conclusione: i genitori avrebbero occupato abusivamente lo stabile per riprendere le lezioni.
Una fonte anonima all’interno del Comune di Milano fa notare a Tempi che «la lettura non integrale del testo e della sola seconda parte porta a credere che le rivendicazioni dei genitori siano indirizzate verso il Comune e le autorità italiane, mentre il bersaglio dei genitori sono innanzitutto i responsabili del centro Fajr, colpevoli di averli ingannati». «Nessuno ha colto invece che era in atto uno scollamento nella fiducia fra i genitori e Sharif».
«VISTO IL TENORE…»
Solo il giorno dopo, il rappresentante legale del centro Fajr ha inviato per conoscenza al sindaco di Milano, al Prefetto, al Direttore scolastico e al Provveditore la medesima missiva, accompagnandola a una nota (vedi figura B) – che Tempi ritiene doveroso chiosare frase per frase – in cui si annuncia che «visto il tenore della lettera ricevuta dai genitori degli alunni frequentanti la ‘Scuola Araba Fajr’, Vi comunica la riapertura temporanea dell’edificio in via Quaranta» (si noti la contorsione logica secondo cui la scuola riapre non per decisione delle autorità, ma per il ‘tenore’ della lettera dei genitori, ndr). Si assicura che «i locali saranno immediatamente uniformati in attesa di individuare altro fabbricato» (i locali erano stati chiusi per motivi igienico sanitari dal prefetto. Come ha raccontato Martino Rizzotti – Tempi n. 41 – «le pareti erano di cartongesso, fosse scoppiato un incendio non ci sarebbe stato scampo per nessuno», ndr). «I predetti locali – scrive ancora Ahmed – saranno immediatamente uniformati ai requisiti igienico-sanitari previsti ai sensi di legge, per il normale svolgimento delle attività didattiche in attesa di individuare altro fabbricato idoneo allo scopo» (qui si raggiunge l’apice parossistico secondo cui, in barba ad ogni legge, si annuncia la ripresa delle attività prima di aver verificato la sicurezza dello stabile, ndr). Per quel che riguarda l’istruzione dei piccoli, di cui Sharif e collaboratori sono responsabili avendoli sottratti per quattordici anni all’obbligo scolastico, si «precisa» che «gli alunni delle classi elementari frequenteranno le lezioni al mattino; mentre gli alunni delle scuole medie frequenteranno le lezioni pomeridiane» (così da perpetuare una modalità già adotatta in passato e mantenere sotto controllo gli studenti, ndr). Sberleffo finale: «L’Associazione continuerà, frattanto, a muoversi nell’opera di reperimento di un altro edificio idoneo al collocamento di tutti gli alunni ed al proseguimento dei corsi scolastici. Distinti saluti, Shahat Usama Tawfik Ahmed».
ANTONIAZZI, IL DEUS EX MACHINA
Lettala, il prefetto Bruno Ferrante s’è precipitato a dichiarare alle agenzie che riteneva tali condizioni «una provocazione inutile e pericolosa, che rischia di inasprire e pregiudicare i rapporti con le famiglie e la comunità islamica. Mi auguro che alle intenzioni espresse nella lettera non si dia seguito. Mi auguro che domani la scuola non apra. Se ciò non fosse, in accordo con il ministro Pisanu, sarei costretto ad emettere un provvedimento che vieti l’attività didattica in quel luogo, per ragioni di ordine pubblico e per diverse illegalità che si possono prefigurare». Il coordinatore dell’Ulivo in Comune, Sandro Antoniazzi, che da qualche tempo accompagna Sharif ai tavoli delle trattative, ha invitato a non far precipitare la situazione con una motivazione a dir poco eccentrica: «L’iniziativa dei genitori va considerata come un momento di pressione e di lotta, limitato nel tempo, per non pregiudicare la possibilità di trovare una via di uscita accettabile, che auspichiamo rapida».
Di qui in poi, si entra nel campo delle ipotesi. Anche in Comune ci si è chiesti se sia una tattica studiata a tavolino quella di mandare avanti le teste d’ariete dei genitori per poi presentarsi come interlocutori moderati. «Ma da certi passaggi del testo e il fatto che, dopo le dichiarazioni del prefetto, Sharif e Antoniazzi si siano subito mossi per presentare un’altra soluzione in fretta e furia, ci porta a pensare che ci sia un nocciolo duro di genitori, quelli più legati alla moschea di viale Jenner, che o contesta i dirigenti della madrassa o inizia a sentirsi imbrogliato da loro».
Sta di fatto che la notte Sharif l’ha trascorsa in via Quaranta per convincere il centinaio di firmatari a desistere dalle loro intenzioni, illustrando loro una nuova e finale soluzione: una scuola privata autorizzata. Le aule ci sono, i docenti ci sono, tutti sono d’accordo. Garante è il deus ex machina Sandro Antoniazzi. I genitori hanno accettato. Il giorno dopo saranno davanti ai cancelli della fabbrica solo uno sparuto gruppo che non è stato possibile avvisare nel conciliabolo notturno.
I BENEFATTORI DI REPUBBLICA.IT
E qui si ritorna alla «giornata della pace», come l’ha battezzata Sharif che, contattato da Tempi, ha spiegato che «siamo tutti d’accordo. Lunedì partiremo con una scuola privata autorizzata, in cui insegneranno docenti sia italiani sia arabi. Ai primi il compito di istruire i ragazzi a partire dal vostro programma, ai secondi spetterà l’educazione sulla base delle nostre discipline egiziane». Già nel pomeriggio, assicurava il ‘preside’, «saremo in via Ariberto a pulire dei locali».
Per tutta la giornata di mercoledì 5, Antoniazzi si prodigava in spiegazioni sul come si era giunti alla soluzione dell’intricata vicenda. Grazie alla Fondazione Mantegazza, storico ente milanese impegnato nel sociale, erano stati messi a disposizione dell’associazione Aspru Risvegli dieci locali in via Ariberto, in cui sarebbe nata una nuova scuola. La struttura, nelle intenzioni di Antoniazzi, avrebbe dovuto ospitare le lezioni dei bambini delle scuole elementari al mattino, mentre al pomeriggio sarebbero stati organizzati nello stesso luogo un doposcuola per gli adolescenti delle medie inferiori. Alla notizia il sito internet repubblica.it salutava l’evento con rimandi simbolici al fatto che «gli immigrati incontrano un pezzo della storia di Milano» con tanto di foto della nuova sede e frasi di giubilo per la metaforica e suggestiva liason fra «i piccoli bambini musulmani» e un «pezzo della storia di Milano», «una storia fatta – anche – dalle grandi famiglie di benefattori».
In serata Danilo Donati, presidente della Fondazione Mantegazza, dichiarava gelido: «Non ho mai autorizzato nessuno ad utilizzare i locali della scuola Mantegazza di via Ariberto per farne una scuola privata islamica. Ho ricevuto una richiesta da parte del presidente dell’associazione Risvegli per usare due o tre aule, a partire dal mese di gennaio 2006, per dei corsi di doposcuola ai bambini disagiati».
QUESTIONE POLITICA?
In realtà, che una scuola privata autorizzata potesse essere da subito attiva e che già da lunedì i ragazzi potessero essere sui banchi, era del tutto illusorio. L’assessore all’infanzia del Comune di Milano, Bruno Simini, spiega a Tempi: «Siamo di fronte all’ennesimo tentativo di trovare una scorciatoia giuridica per giustificare l’impossibile. è assurdo che si dettino le condizioni da parte di chi continua ad agire nell’illegalità». Simini non è contrario a che si «trovi in fretta una soluzione. Sono stato io il primo a cercarla già negli anni passati, già quando il Comune promise la sede di via Zama nel caso si fosse seguito l’iter burocratico per soddisfare tutte le richieste di parificazione, in una cornice di legalità. Passi che non sono mai stati fatti. Invece abbiamo assistito ad accuse di inadempienza contro il Comune». Ancora una volta, «si pretende di mantenere aperta una struttura illegale e poi di presentare le carte per regolarizzarla». Così, mentre sui quotidiani si continua a raccontare di «opposti estremismi» come ha fatto Fabio Zanchi su Repubblica, mentre Sharif, Antoniazzi e il senatore verde Fiorello Cortiana parlano esplicitamente di «motivi politici» che ostacolano le loro iniziative («Questa non è politica, è un macello. Non è discriminazione nei nostri confronti ma verso l’intera comunità musulmana», ha dichiarato il ‘preside’), la realtà è che «nulla – ribatte Simini – nella direzione di una reale integrazione è stato fatto. L’unico dato che emerge è la volontà da parte del centro Fajr di allonanarsi dal nostro sistema scolastico».
Anche la formula della ‘scuola privata autorizzata’, trovata in extremis da Antoniazzi e Sharif, non avrebbe comunque avuto alcun esito positivo. Secondo le norme italiane, infatti, tale modalità prevede un progetto didattico adeguato con i programmi ministeriali italiani, docenti italiani abilitati, periodiche verifiche di incaricati del Provveditorato e la completa agibilità della struttura. Secondo quanto dichiarato forse un po’ troppo frettolosamente dal provveditore Antonio Zenga, nelle ore delle ingarbugliate trattative, tali clausole erano «quasi a posto». Ma, in realtà, oltre alle normali verifiche da parte di Asl, vigili del fuoco e addetti comunali dell’effettiva idoneità della struttura (fatto che avrebbe richiesto certamente qualche settimana), anche sul livello didattico le condizioni poste da Sharif e Antoniazzi erano inammissibili. Ad una riunione per definire quelli che ormai venivano fatti passare come lievi dettagli, ancora una volta Sharif e Antoniazzi avrebbero posto come condizioni «lo studio del programma italiano solo da aprile in poi, perché prima i nostri ragazzi devono imparare l’arabo per sostenere l’esame al consolato egiziano». Oltre a ciò, secondo il Centro Fajr, avrebbero dovuto frequentare la nuova scuola anche i ragazzi della ‘sesta elementare’, una classe di studenti che nel nostro ordinamento corrisponde alla ‘prima’ delle medie inferiori. L’opzione sarebbe stata giustificata con la volontà di adeguare il corso di studi con la suddivisione scolastica egiziana (che prevede sei anni per le elementari e due per le medie) e non con quella italiana.
Forse tutto ciò sarebbe stato ritenuto ininfluente dalle nostre autorità per dare il via libera a Sharif e Antoniazzi? Simini non ne può più di questo doppio binario, conciliante quando è mediatico, intransigente quando si sviluppa sui tavoli delle trattative: «Perché a rimetterci sono proprio i ragazzi cui non è data la posssibilità di risolvere un debito formativo che si protrae da troppi anni». Ragazzi che però, in alcuni casi, hanno già iniziato a frequentare i nostri istituti e che, tornati a casa, hanno detto ai loro genitori di «essersi trovati bene». E questo è solo l’aspetto meno sorprendente della vicenda «perché, alcuni di loro, non sapevano nemmeno che in Italia ci fossero altre scuole oltre alla loro, quella illegale di via Quaranta».
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