
I ventimila della roccaforte Idlib

Articolo tratto dal numero di marzo 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Mezzo mondo ammonisce il governo siriano e i suoi alleati russi e iraniani a non proseguire l’offensiva contro i ribelli asserragliati nella regione dell’Idlib iniziata il 29 aprile dello scorso anno, e da allora mai interrotta, con due motivazioni. La prima è umanitaria: i combattimenti hanno causato finora 800 mila sfollati che si sono ammassati al confine con la Turchia in condizioni di grandissimo disagio e provocato la morte di almeno 1.500 civili; cifre destinate solo a peggiorare se l’operazione militare prosegue.
La seconda ragione è che il processo di Astana prima e il memorandum di Sochi del 17 settembre 2018 concordato fra Russia e Turchia poi (gli sponsor internazionali rispettivamente del governo di Damasco e dei ribelli che lo combattono, entrambe i quali non hanno mai direttamente firmato nessun tipo di accordo) hanno istituito delle “zone di de-escalation” nel paese nelle quali le parti si impegnano ad osservare un armistizio.
Di quelle zone è rimasto solo l’Idlib, di cui tratta il memorandum di Sochi, dove a separare i combattenti sono stati istituiti 12 punti di osservazione gestiti dalle forze armate turche. Naturalmente ribelli e governativi si rimpallano le responsabilità delle violazioni del cessate il fuoco e della mancata smilitarizzazione delle aree intorno ai punti di osservazione che Damasco adduce come giustificazione dell’offensiva avviata un anno fa.
Ma ci sono due punti del memorandum di Sochi dei quali raramente si parla, e che spiegano molto di ciò che sta succedendo: si tratta della riapertura delle due autostrade che attraversano l’Idlib e collegano Aleppo con Homs e Damasco (M5) e con Latakia (M4) e della “neutralizzazione” dei gruppi terroristi che sono parte della galassia ribelle. Questi due compiti erano affidati alla Turchia, che si è rivelata inadempiente.
Il concetto di “gruppi terroristici” presente nel Memorandum di Sochi è calibrato su un understatement che mette d’accordo Mosca e Ankara: si tratta dei ribelli che non sono sotto il controllo diretto della Turchia. Il fatto è che questo genere di ribelli sono esattamente quelli che controllano militarmente e politicamente la regione e che da lì lanciano le offensive contro i governativi e contro la base aerea russa di Hmeimim. Il principale di essi è Hayat Tahrir al-Sham (Hts), che conta fra i 15 e i 20 mila combattenti, non solo siriani ma anche stranieri.
Hts è l’ultima reincarnazione di Jabhat al-Nusra, nata nel 2012 staccandosi dall’allora Stato islamico dell’Iraq di Abu Bakr al-Baghdadi per operare solamente in Siria sotto la guida del siriano Abu Mohammad al-Julani. L’anno dopo al-Baghdadi manifestò la decisione di riunire i due gruppi sotto la sigla Stato islamico dell’Iraq e del Levante sotto il suo comando. Al-Julani rigettò l’ordine, e dall’Afghanistan Ayman al-Zawahiri, leader supremo di al-Qaeda, approvò la linea di al-Julani. Da quel momento l’affiliata di al-Qaeda in Siria fu solo Jabhat al-Nusra, che poi ebbe scontri sanguinosi con l’Isis di al-Baghdadi. Nel 2016 Jabhat al-Nusra cambiò nome in Jabhat Fatah al-Sham e terminò ufficialmente la sua affiliazione ad al-Qaeda, dichiarando che da allora in poi avrebbe avuto come obiettivo esclusivamente la creazione di una repubblica islamica in Siria. Nel gennaio 2017 nuovo cambiamento di nome in quello attuale, Hayat Tahrir al-Sham, a seguito della fusione con altri gruppi jihadisti salafiti minori. Nel gennaio 2019, cioè quattro mesi dopo la firma del Memorandum di Sochi, Hts ha intrapreso una campagna militare per il controllo dell’Idlib scontrandosi con gli altri gruppi ribelli, per lo più riuniti sotto la sigla del Syrian Liberation Front (Slf), di stretta obbedienza turca. Da allora e fino a un paio di mesi fa, quando l’offensiva governativa si è fatta più intensa, i jihadisti di al-Julani e alcuni loro alleati hanno controllato militarmente quasi il 90 per cento della regione e il 100 per cento della sua vita civile attraverso il cosiddetto Governo di salvezza siriano che siede nella città di Idlib. Dal 31 agosto 2018 Hts è considerata ufficialmente organizzazione terrorista anche dalla Turchia, che però non ha mai fatto nulla per ostacolarla o impedire che le arrivino aiuti, di probabile origine saudita e qatarina.
Altro gruppo jihadista che controlla brandelli di territorio dell’Idlib è Hurras al-Din (Guardiani della religione), che conta fra i 3 mila e i 5 mila combattenti. Si tratta della fazione di Hts rimasta fedele all’affiliazione ad al-Qaeda, che si è staccata da al-Julani soprattutto quando questi, nel 2018, stava trattando direttamente con la Turchia. Nonostante la scissione, Hurras al-Din e Hts non sono nemici, e spesso collaborano sul campo. La leadership e molti combattenti dell’organizzazione sono stranieri. In un attacco americano del giugno 2019 nei pressi di Aleppo ovest restarono uccisi otto elementi dei Guardiani della religione, inclusi sei comandanti. Si trattava di due tunisni, due algerini, un egiziano e un siriano. Apparteneva a un comandante di Hurras al-Din, ucciso nel corso del raid, la casa dove era alloggiato Abu Bakr al-Baghdadi al momento dell’attacco americano che lo uccise il 27 ottobre 2019.
Una presenza particolarmente esotica nell’Idlib è quella del contingente del Turkistan Islamic Party in Siria (Tips), l’entità politico-militare uigura affiliata ad al-Qaeda. I jihadisti uiguri si sono presentati sulla scena siriana nella primavera del 2015, prendendo parte alla campagna militare che portò una coalizione ribelle a conquistare la città di Jisr ash-Shughur nell’Idlib. In quell’operazione combatterono fianco a fianco l’allora al-qaedista Jabaht al-Nusra, i salafiti di Ahrar al-Sham che oggi fanno parte dell’Slf marionetta della Turchia e reparti del Free Syrian Army filo-occidentale.
Il Tips si vanta di aver raso al suolo molte chiese siriane e conta circa 4 mila uomini accompagnati dalle loro famiglie. Certamente tutti costoro non potranno mai rientrare in Cina, forse dovranno trasferirsi in Pakistan o in Afghanistan, dove esistono campi di addestramento di jihadisti uiguri. Per il momento riconoscono il governo civile insediato da Hts nell’Idlib e cooperano militarmente con quest’ultima.
Foto Ansa
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