
I prog-razzisti
E’ un libro dell’economista austriaco Ludwig von Mises, La mentalità anticapitalista (1956), la miglior guida a Michael Moore, all’entertainment progressive americano, a quel «mondo di risentiti, incapaci di misurarsi con le sfide del mercato e che aspirano ad una “sistemazione” sociale strappata al di fuori della competizione una volta per tutte». A quel mondo, ma non solo, ha dedicato un libro David Horowitz, da padrino della New Left a sua nemesi odiata. In Hating Whitey, Horowitz studia il “razzismo di sinistra” e l’odio per la civiltà bianca. Ma cos’è, uno scherzo, un ossimoro o una provocazione? Niente di tutto questo, perché per Horowitz il nuovo razzismo è quello del leader nero Louis Farrakhan, che ha detto che «gli ebrei hanno ricevuto una missione dal diavolo»; dei salotti newyorkesi alla Norman Mailer, che guarda la guerra al terrorismo attraverso la lente della “sindrome del maschio bianco dominatore” del “Nudo e il morto”; di docenti californiani come Mark Levine, che giudica identici Israele e l’Arabia Saudita, e Yvonne Haddad, che sostiene che Intifada non significhi altro che «non mi rompere le palle»; di fanoniani come Malcolm X, che a Los Angeles, nel 1963, disse che «la morte di 120 bianchi è una cosa meravigliosa» e di Chino Wilson, della Penn State University, secondo cui «la gente bianca è il diavolo»; di letterati europei come Tom Paulin, poeta cosiddetto laureato osannato da Moore che vorrebbe “accoppare” i coloni israeliani di Brooklyn. Per Horowitz «il razzismo anti-bianco è diventato negli anni comune nell’intellighentsia progressista», è un “énorme catin” alla Baudelaire in cui Piccolo e Grande Satana, Israele e Stati Uniti, vengono distrutti per far posto a qualcosa di nuovo, di terribile. è il razzismo di quelle Ong che nei giorni del Darfur hanno scritto 40 rapporti contro Israele, ma solo 7 sui disgraziati sudanesi massacrati dai Janjaweed. è il razzismo che si respira al Palazzo di Vetro, dove la risoluzione 3379 definì il sionismo una forma di “razzismo”; dove nel 1988, prima ancora che riconoscesse il diritto di Israele ad esistere, l’Olp di Arafat era già “Palestina”, addirittura con un suo rappresentante; dove un saudita, alla Commissione Diritti umani, può dire indisturbato che il Talmud prescrive di bere il sangue dei non-ebrei; dove uno dei “tunisini” del rais, nel marzo 1997, disse che gli israeliani avevano infettato 300 bambini palestinesi con il virus dell’Hiv. Non a caso Claudia Rosett, sul Wall Street Journal, paragona l’Onu, per paternalismo, clientele e spirito mafioso ai “Sopranos”, il serial Tv americano. è razzismo quello dell’intellighentsia francese alla Michel Foucault, al quale faceva così schifo l’umanità (non solo bianca, tanto che voleva farne una nuova) da spiegarci che quello di Khomeini è un «governo spiritualmente politico» e l’«autentica voce degli oppressi». Ralph Nader, donchisciottesco guru degli altermondisti, ha detto che «il burattinaio israeliano arriva a Washington, si incontra con le marionette della Casa Bianca, poi va in Pennsylvania Avenue e si incontra con le marionette del Congresso. Alla fine, riparte con vari milioni di dollari finanziati dai contribuenti americani». Anche Moore ci tiene a militare nel “campo anti-Lieberman”, il Joe ebreo che doveva fare da vice ad Al Gore. è razzismo quello del compositore greco Mikis Theodorakis, che ad Haaretz ha appena spiegato che gli ebrei soffrono di «masochismo psicologico» e che fanno proprio schifo; della moglie di Wim Duisenberg, che voleva raccogliere «6 milioni di firme» contro Israele; e perché no, di Aldo Capitini, che pensava che lo Stato ebraico avrebbe dovuto far entrare gli eserciti arabi e abbracciarli, per fare la “pace!”. è razzismo artistoide dedicare madrigali o una tristesse musicale alla soave “Marika”, la kamikaze che ha assassinato 19 israeliani ad Haifa. Hugo avrebbe detto: «è vietato scaricare musica lungo questi versi». E come chiamare il pensiero di una docente della Sapienza, Rita Di Leo, che dopo aver negato per anni la carestia stalinista in Ucraina, nel suo libro, Lo strappo atlantico, apostrofa Colin Powell “il giamaicano”? Non solo, ma si compiace che «i capiclan della maggioranza sciita e gli alleati-combattenti curdi tengono sulla graticola degli attentati quotidiani il governatore wasp venuto da Harvard e i generali latinos che vengono da West Point». Wasp e latinos, prendere nota. Un antropologo della Columbia University, Nicholas De Genova, si augura «un milione di Mogadiscio» in Irak, la morte grandguignol di migliaia di marines. Midge Decter, polemista e moglie di Norman Podhoretz, ricorda che una sera, al più tipico dei party snob di New York criticò alcuni studenti che avevano distrutto la casa di un professore “reazionario”. Dwight MacDonald, critico della rivista Politics, le rispose: «Ovviamente hai più a cuore i valori materiali che quelli umani». Così erano i tempi. Horowitz ha anche scritto Anti-Chomsky Reader, nefandezze e blasfemie del linguista più amato dalla sinistra italiana. Che negli anni ’70, su The Nation, chiamò “bugiardi” i profughi cambogiani che scappavano da Pol Pot. Dirlo ad Ong Thong Hoeung.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!