
I processi a Temer e la versione brasiliana di Mani Pulite

Michel Temer rimane in carica per volere del Tribunale superiore elettorale brasiliano. Dopo tre giorni di processo (iniziato martedì 6 giugno e terminato venerdì 9), quattro giudici su sette hanno respinto le accuse contro il presidente del Brasile sulle presunte irregolarità nella campagna presidenziale del 2014, in cui Temer, del Partito del Movimento Democratico Brasiliano, si era candidato come vice presidente della candidata Dilma Rousseff, del Partito dei Lavoratori. Il Tribunale ha quindi stabilito che non sarebbero stati usati fondi di finanziamento illegale, «abusando di potere politico ed economico», dal momento che non esistono prove per dimostrare che il denaro illegale in possesso dei partiti sia stato utilizzato nella campagna elettorale. Secondo il professor Loris Zanatta, docente di Scienze politiche all’Università di Bologna ed esperto di sud America, «questo processo aveva una grande rilevanza politica perché, se fossero state confermate le accuse, le elezioni del 2014 sarebbero risultate illegittime e dunque sarebbero state annullate per indire subito nuove elezioni presidenziali».
VUOTO DI RAPPRESENTANZA. Rimangono in piedi numerose altre indagini della magistratura in cui Temer è parallelamente implicato. Uno di questi è “Lava Jato” (“Operazione autolavaggio”) che riguarda Petrobas, la più grande azienda petrolifera pubblica del Brasile: Temer è sotto inchiesta per «corruzione passiva», «ostruzione della giustizia» e «partecipazione a un’organizzazione criminale» all’interno di un ampio sistema di corruzione che ha visto coinvolti numerosi imprenditori e politici (tra cui il partito dell’ex presidente Rousseff, la quale è stata riconosciuta dai magistrati estranea ai fatti, ma è stata destituita lo scorso agosto con procedura d’impeachment con l’accusa di aver truccato i conti pubblici). «Un’intera classe politica è stata decapitata e il risultato è un immenso scollamento tra l’opinione pubblica e il ceto politico. È una situazione pericolosa perché crea un vuoto di rappresentanza, che è il vero dramma politico del Brasile» commenta Zanatta.
L’ARTICOLO DI O GLOBO. La posizione di Temer ha subito un’ulteriore incrinatura lo scorso maggio, quando il quotidiano brasiliano O Globo ha pubblicato la registrazione di un colloquio tra Temer e l’imprenditore Joesley Batista, importante dirigente di Jbs, una delle maggiori aziende di carne al mondo, in cui il presidente sollecita il pagamento di una mazzetta all’ex presidente della Camera Eduardo Cunha. Quest’ultimo era uno dei principali sostenitori del processo di impeachment contro Rousseff (processo che ha poi portato alla presidenza di Temer) ed è stato condannato a quindici anni di carcere per corruzione, riciclaggio di denaro ed evasione fiscale. La pubblicazione dell’articolo ha scatenato manifestazioni di piazza e la richiesta da parte delle opposizione di destituire l’attuale presidente, ma Temer è riuscito a dimostrare che durante l’incontro con Batista non sono stati presi accordi compromettenti.
RIFORME IMPOPOLARI. Il tasso di popolarità di Temer è bassissimo e la sua credibilità politica è in calo, ma non solo per questi scandali giudiziari. Come ricorda Zanatta, il presidente brasiliano ha avviato le prime riforme strutturali del mercato del lavoro e delle pensioni, manovre dolorose, che implicano sacrifici e che, secondo lo stesso Temer, nessuno aveva avuto il coraggio di fare prima. Il presidente conta quindi di arrivare alla fine del suo mandato nel 2018 forte del consenso e della riconoscenza popolare. Zanatta tuttavia mette in guardia da questo argomento: «Innanzitutto, bisogna vedere in quale condizioni il Brasile arriverà alle elezioni del 2018, perché questo vuoto di rappresentanza ha generato una ferita profonda nel corpo sociale del paese e quindi una crescente agitazione che può radicalizzare l’elettorato. Ma soprattutto, le riforme necessarie portate avanti da Temer (che il Partito dei Lavoratori avrebbe potuto fare in precedenza in maniera più moderata) corrono il rischio di essere smontate perché fatte da un governo così privo di legittimazione politica come quello di Temer».
IL RITORNO DI LULA. In questa situazione, commenta Zanatta, c’è la possibilità che Luiz Inacio da Silva, detto Lula, torni ad essere presidente del Brasile (dopo aver retto il paese dal 2003 al 2011 prima di Rousseff). L’esperto sostiene che, mano mano che le riforme di Temer appaiono sempre più illegittime perché prive di consenso popolare, la figura di Lula acquista notorietà, tanto da risultare nei sondaggi tra i più favoriti per le presidenziali del 2018. «Certo, è implicato in moltissimi processi e la sua responsabilità politica e storica del livello di corruzione durante i governi del Partito dei Lavoratori è indubbia, però c’è anche un certo accanimento giudiziario nei suoi confronti».
COME MANI PULITE? Un accanimento giudiziario, sottolinea Temer, che colpisce un’intera classe dirigente e che ricorda molto da vicino l’esperienza italiana di Mani Pulite, quando il potere giudiziario interviene per colmare il vuoto lasciato dalla classe politica. «Questo può essere, da un lato, un segno positivo perché in America Latina l’indipendenza dei giudici verso il potere politico è sintomo di salute democratica (soprattutto nei regimi populisti, il potere giudiziario è totalmente asservito a quello esecutivo)» spiega Zanatta. «Dall’altro però, proprio come è accaduto in Italia, questa vacanza di potere rischia la giudiziarizzazione della vita politica e un forte potere di ricatto da parte dei giudici su una sfera politica debole e delegittimata. E questo lede profondamente un paese come il Brasile, moderno, eppure pieno di contraddizioni: è una delle maggiori economie al mondo, con una classe dirigente (intesa come imprenditori e intellettuali) di alto livello, ma con un sistema politico primitivo, con un’enorme frammentazione politica. È la riforma della politica il nodo più cruciale e importante».
Foto Ansa
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