I politici al Meeting 2021. Un pagellone

Di Emanuele Boffi
25 Agosto 2021
Conte punchball, sorpresa Meloni, l'"amicone" Letta e un Salvini all'attacco. Voti (con un po' d'ironia) sugli interventi dei leader dei partiti ieri a Rimini
Salvini,Meloni,

“Il ruolo dei partiti nella democrazia oggi. Incontro con i protagonisti della politica italiana”. Il titolo è lungo come fosse un film di Lina Wertmuller, ma non tanto quanto l’elenco degli intervenuti al dibattito politico svoltosi al Meeting di Rimini.

Moderati da Michele Brambilla, direttore del Qn, e introdotti da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà, c’erano tutti i leader dei maggiori partiti italiani. Tutti in presenza, tranne Giorgia Meloni, in collegamento, e Matteo Renzi, rappresentato da Ettore Rosato. Mancava solo Roberto Speranza: ma come del suo partito, non se ne è accorto nessuno.

Giuseppe Conte (M5s)

Linguaggio forbito, ossequioso, condito da supercazzole alla Amici miei. Parte dicendo che bisogna «dialogare coi talebani» e di lì in poi fa la funzione del punchball in un’assemblea di pesi massimi. Come nel famoso detto, solo dopo mezz’ora capisce di essere lui il pollo al tavolo, tanto che alla fine chiede la replica sul Reddito di cittadinanza, argomento sul quale gli altri, famelici, si erano accaniti come gli ultrà del Nizza sui giocatori del Marsiglia.

Frasario da depliant commerciale, Conte butta lì rassicurazioni su tutto lo scibile umano per dimostrare che il M5s è «forza tranquilla» (ciao core), attenta alle imprese e che fa politica col «sorriso» (l’ha detto veramente). Ha anche un “momento Berlusconi” («aboliremo l’Irap!»), credibile come una schwa della Murgia.

Pensa di essere il primo del M5s ad essere venuto a Rimini, dimenticando, oltre a Di Maio, anche un certo Mattia Fantinati che, solo sei anni fa, si presentò qui «per denunciare come Comunione e Liberazione, la più potente lobby italiana, abbia trasformato l’esperienza spirituale morale in un paravento di interessi personali, finalizzati sempre e comunque a denaro e potere». VAFFA (MA COL SORRISO): 2.

Enrico Letta (Pd)

Di complimenti al Meeting ne fa tanti, ma non attacca. Gioca la carta “io sono uno di voi, un amico”, ma il giochino gli riesce bene come un’uscita di Szczęsny nell’area della Juve. Cerca l’applauso anche citando «l’ottima riforma del ministro Cartabia», ma, ehmm, Enrico, forse mentre eri a Parigi ti sei perso qualche passaggio.

Qualche riferimento inutile sulle donne in politica – qui non è aria – o sui corpi intermedi acuiscono la sensazione che tenti in tutti i modi di apparire lo stesso che qui, qualche anno fa, era considerato il più ragionevole della sinistra.

Sta alla larga da temi contundenti (il ddl Zan che lui stesso ha definito «una priorità» e una «legge di civiltà» o lo Ius soli o il voto ai 16enni) senza mai trovare il colpo d’ala. FUORI SINCRONO: 4,5.

Maurizio Lupi (Nci)

Lui sì che è di casa e si vede perché sa quali argomenti toccare senza perdersi in vaghezze o esagerazioni per dare sostanza alle proprie posizioni. Unico a saper trovare equilibrio tra slogan e ragionamenti, fa una bella figura, sottolineata da diversi applausi.

Efficaci i passaggi sui partiti e sull’educazione, con un appello per le paritarie e a smetterla con la Dad. INCISIVO: 8.

Giorgia Meloni

L’applauso più lungo e convinto lo prende la leader di Fdi e, probabilmente, non se lo aspettava nemmeno lei (e nemmeno noi).

Lo stile piace alla platea: asciutto, dritto al punto, grintoso, con tanto buon senso. Sa che su molte posizioni tra lei e la platea c’è sintonia e le tocca così, sorvolando, accennandole, ma sa che le parole qui non cadono nel vuoto, e infatti passa spesso all’incasso al termine di ogni intervento.

Quando poi dice che «i partiti esistono solo se sono pesanti: sedi aperte, sul territorio, non tramite lo schermo di computer» è apoteosi. SORPRESA: 8,5.

Ettore Rosato

Se Salvini ha scelto Conte come suo obiettivo polemico, lui si fionda su Letta. Solo che Salvini usa la sciabola dell’invettiva (e la platea si scalda), lui solo il fioretto del politichese (e la platea rimane cordialmente catatonica).

Anche lui si rifugia di tanto in tanto in frasi fatte (la politica per i gggiovani) o nel panegirico di Draghi, non riuscendo mai a trovare uno spunto memorabile. COMPITINO: 6.

Matteo Salvini

Appena fiuta la preda Conte, lo sbrana. Quando la mette sull’agonismo, è il migliore e la battuta sui talebani (“non dialogo e non legittimo chi non riconosce la libertà”) è il classico pallone da spingere nella porta sguarnita.

Però poi la foga lo porta a esagerare andando a cercare consensi con frasi ad effetto sui figli, la fede cristiana, le radici europee, l’aborto, che danno troppo l’impressione di voler offrire slogan strappapplausi.

Matteo, questi son cattolici, non bigotti clericali. BELLICOSO: 7.

Antonio Tajani

Assieme a Lupi è quello che meglio rappresenta la linea politica che è sempre andata per la maggiore al Meeting: non statalista, cattolica, riformista, garantista, europeista senza ideologie. E, infatti, Tajani sa sempre cosa dire e lo dice bene, eccedendo solo in alcuni punti su green pass e vaccini su cui sembra essere meno equilibrato che su altri argomenti. RAGIONEVOLE: 7.

Michele Brambilla – Giorgio Vittadini

Una nota di merito ai due moderatori, chiamati a dirigere il traffico tra tanti (troppi) ospiti e, soprattutto, per la miglior battuta dell’incontro. Dopo il lamento di Rosato sulla difficoltà a trovare persone disposte a impegnarsi in politica, anche solo per fare il sindaco, Brambilla affonda il colpo: «È difficile trovarli perché basta una firma per finire sul registro degli indagati».

Già, i magistrati e l’uso politico della giustizia, magari c’entra qualcosa con la crisi della rappresentanza politica. Sarà mica anche per questo che “il ruolo dei partiti oggi nella democrazia” è monco? DOMANDA 10 E LODE.

Foto Ansa

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