
Lettere al direttore
I Lanzichenecchi sul treno per Foggia sono figli di chi?

L’articolo indignato di Alain Elkann su Repubblica, “Sul treno per Foggia con i giovani lanzichenecchi”, ha scatenato sul web, e non solo, una ridda di risposte, altrettanto indignate, talvolta irridenti, altre ancor più ciniche.
Ora, non per far il bastian contrario, ma io assolvo il padre di Lapo. Lo assolvo con attenuanti generiche perché un po’ del suo ce l’ha messo. La prosopopea sui giornali che stava leggendo e la descrizione del suo vestito di lino blu è onanismo allo stato puro, paragonabile al cappellino dei ragazzi. E poi la Recherche di Proust! Santi numi, ma uno deve arrivare a73 anni per finire di leggerlo? È chiaro che c’è uno scarto temporale. Come può capire le nuove generazioni se è ancora fermo ai primi anni del secolo scorso quando il libro venne messo in pubblicazione?
Però Elkann nel suo dire aristocratico non ce l’aveva con i poveri, come è stato scritto. Un biglietto per l’alta velocità in prima classe, in un orario di punta, di questi tempi, costerà solo andata una novantina di euro. I poveri prendono l’intercity, in seconda carrozza, senza posti assegnati, si fanno tutte le fermate e percorrono il viaggio quasi per intero in piedi. Quindi quei giovani tatuati che parlavano di fica e di calcio (sembra la descrizione del figlio) sono eredi di famiglie borghesi che hanno elargito la giusta somma per il transito in comodità.
Elkann si è lamentato per il fracasso, la poca civiltà di quei giovani virgulti con gli ormoni in evidente sollazzo. Si è stupito perché non avevano riguardo per lui che voleva leggere il Financial Times. Personalmente l’unica tratta che faccio con più frequenza è Milano-Roma, in periodi non festivi e quasi sempre per lavoro. Anch’io in prima classe. Gli astanti che con me viaggiano sono tutti professionisti, manager, presidenti di qualcosa, ma fanno la medesima cosa dei giovani che ha incontrato Elkann: un casino della madonna.
Certo, con un altro stile. Lo stile dei cinquantenni. Due smartphone, lo zainetto che ha lanciato Varoufakis durante la crisi Grecia del 2015, un iPad ed il Mac. Iniziano a lavorare, appena si siedono. E come in una sorta di catena di Sant’Antonio se uno inizia a parlare al telefono, ovviamente ad alta voce, e magari alzandosi anche dal sedile, ecco che parte il giro di telefonate. Nessuno usa toni leggeri. Tutti devono sentire tutto. E sembra una rincorsa a far capire che si è Qualcuno. Chi perentoriamente comanda di “vendere, vendere”, l’altro che costruisce la trama per metterlo in quel posto a qualcuno, e l’altro ancora che, sempre con voce squillante, vende banane in Africa.
Dopo un’ora di viaggio sembrano tutti sotto effetto di cocaina. Le cravatte non sono più regolarmente allacciate e bevono un prosecco scuotendo la testa. Nessuno mette la vibrazione o usa le cuffiette, i telefoni squillano.
Spesso mi sono detto che, per stare al passo di quella bolgia operante e produttiva, qualcuno punti la sveglia per fingere una telefonata, e che qualcun altro, per dare l’idea di salvare il commercio del grano, chiami la moglie o la mamma per farsi preparare la polenta. Non parlano di fica, ma se una donna (a proposito le donne sono le uniche che si mettono al computer e lavorano davvero per l’intero viaggio) si alza per andare in bagno, improvvisamente si silenziano (tanto non parlano con nessuno), e puntano i loro occhi sul suo posteriore. Si guardano tra sconosciuti, e pur non parlando, si capisce perfettamente il senso del loro ghigno.
Ed io che cerco di leggere Tempi, non riesco neppure a finire l’editoriale del direttore, così estraggo il “Che fare?” di Lenin, ma non lo sfoglio neppure perché la domanda è già di per sé risolutoria. Quei giovani lanzichenecchi, pena per Elkann, sono i figli di quelli che incontro io sul treno Freccia Rossa, Roma-Milano. Che fare?
Fabio Cavallari
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!