
I foreign fighters europei sono un pericolo (per noi e per l’Ucraina)

Stando all’ultima stima del governo di Volodymyr Zelensky, almeno ventimila foreign fighters sono partiti da tutto il mondo per arruolarsi nella legione straniera internazionale creata dall’Ucraina dopo l’invasione della Russia per affiancare l’esercito. Quella che il ministro degli Esteri britannico, Liz Truss, e molti media hanno descritto come «una lotta per la libertà e la democrazia per l’Ucraina e per l’intera Europa» nasconde in realtà un rischio molto poco romantico.
«Pericolo radicalizzazione»
L’esperta dell’Ispi Elisabeth Gosselin-Malo ha lanciato l’allarme a inizio mese: «Non si è fatta sufficiente attenzione al pericolo di un possibile revival della radicalizzazione che la creazione di questa unità militare potrebbe rappresentare per l’Europa e non solo». Anche se tra i volontari ci sono molti veterani di guerra, le file della legione internazionale sono piene di estremisti di destra e di sinistra.
Come dichiarato dal direttore di Site Intelligence, che monitora i gruppi estremisti, «molti nazionalisti bianchi di estrema destra e gruppi neonazisti in Europa e Nord America hanno già espresso il proprio sostegno all’Ucraina, rivelando l’intenzione di unirsi a gruppi paramilitari ideologicamente orientati per combattere la Russia con l’obiettivo di guadagnare esperienza in battaglia».
L’Ucraina può diventare come la Siria
Qualcosa di simile è già avvenuto in passato, soprattutto durante la guerra in Siria, e l’Europa ne ha poi pagato le conseguenze quando i foreign fighters sono tornati nei paesi d’origine per compiere attentati. Allora la motivazione principale per partire in guerra era costruire il Califfato promesso dall’Isis e dare gloria all’islam. Oggi il contesto è molto diverso ma la pericolosità rimane la stessa.
Era già accaduto nel 2014, quando 17 mila foreign fighters si unirono, chi con l’Ucraina chi con la Russia, per combattere la guerra nel Donbass. Tra di loro c’erano anche diversi italiani. Come spiega ancora Gosselin-Malo i rischi principali sono due: «Da una parte, per l’Ucraina, diventerà difficile controllare questi individui dopo l’eventuale fine dei combattimenti, portando a un potenziale aumento dell’attività estremista all’interno del paese». Dall’altra, «i combattenti che ritorneranno nei rispettivi paesi avranno una grande influenza nel reclutare e radicalizzare altre persone».
I foreign fighters prolungano la guerra
Infine, come nota la Stampa, «la presenza di combattenti stranieri può, anziché ridurre, ampliare la durata dei conflitti e la loro letalità, perché è evidente che quanti più soldati ci sono sul campo di un conflitto, tante più agende rischiano di imporsi e soprattutto di contrapporsi». La presenza di mercenari stranieri da entrambe le parti del conflitto nel Donbass, ad esempio, è stato uno degli elementi che hanno impedito l’attuazione degli accordi di Minsk, prolungando la guerra per otto anni che ha causato oltre 14 mila morti dal 2014.
I media dovrebbero di conseguenza fare più attenzione a glorificare i combattenti che si recano in Ucraina per combattere i russi e viceversa, anche se spinti da nobili intenzioni. Emblematico a proposito un recente articolo di Repubblica, secondo il quale Giulia Schiff, ex pilota dell’Aeronautica militare che aveva denunciato più volte di essere stata vittima di mobbing e nonnismo durante il suo “battesimo del volo”, è in Ucraina a combattere con la legione internazionale. Secondo il quotidiano Schiff «non ha rinunciato al sogno di poter aiutare il prossimo», una scelta lessicale che stride con la realtà di una guerra sanguinosa.
Gli italiani rischiano l’ergastolo
Quello che Repubblica non scrive, inoltre, è che Schiff, così come gli altri italiani giunti in Ucraina per combattere, rischiano al ritorno in patria pene che vanno dai 6 anni fino all’ergastolo. Combattere in un conflitto straniero, infatti, è proibito dal codice penale. Spiega il costituzionalista Giovanni Maria Flick, già presidente della Consulta e ministro della Giustizia: «Il nostro codice prevede la punizione di chi fa arruolamenti o compie atti ostili verso uno Stato estero con pene da 6 a 18 anni, ma fino all’ergastolo se poi qualcuno attacca per ritorsione l’Italia». Inoltre la legge 210 del 1995 «punisce tanto il mercenario quanto chi lo recluta con pene fino a 14 anni. L’arruolamento infine è punito dall’articolo 270 quater del codice penale, introdotto nel 1995 con riferimento alle finalità di terrorismo».
E che questi combattenti rappresentino un serio pericolo anche per l’Italia lo dimostra, come notato da Francesco Marone dell’Ispi, quanto dichiarato da un foreign fighters italiano che negli ultimi anni ha combattuto con le milizie separatiste russe. «Quando combatto», ha detto, «quando sparo, io vedo sì gli ucraini, ma vedo anche Bruxelles, vedo i politici italiani». Difficile definirla “lotta per la libertà”.
Foto Ansa
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