I fiori, i colori, “le cose da bambini”, possono far pensare anche noi?

Di Annalena Valenti
31 Marzo 2011
Le riflessioni di Mamma Oca a margine dell'uscita in sala del film su Tiziano Terzani, "La fine è il mio inizio"

Esce al cinema il film sul libro di Tiziano Terzani “La fine è il mio inizio”, che mi ha ricordato pezzi di storia in cui la verità è stata, per molto tempo, nascosta, che mi ha ricordato come l’ideologia possa nascondere la verità ed offuscare la percezione della realtà, che mi ha ricordato il potere, soprattutto sulla mente dei giovani, della parola detta e scritta. Che mi ha ricordato due libri. Un’ingenua storia per bambini e il semplice stralcio di un libro tremendo e vero.

E. Hasler, S. Zavrel, “La città dei fiori”, Bohem press, un libro del 1988, ma rieditato nel 2009. Un po’ ingenuamente, e non senza debolezze nel testo, i bellissimi disegni di Zavrel  raccontano di una città da cui sono banditi fiori e farfalle perché è più utile avere e fare altro. Che colori e fiori siano cancellati e il mondo diventi grigio e nero, è molto usato come metafora nel mondo dei piccoli. Anch’io all’età di 17 anni scrissi e recitai per i bambini il racconto di un mondo senza colori. Era per me come un’idea, il simbolo ingenuo della verità colorata che irrompe, vincendo il grigiore. Mai avrei pensato che potesse succedere veramente e proprio negli anni in cui io recitavo, giocavo, avvolta in un manto di colori, e piombavo correndo, ma ancora giocando, in un mondo nero.

“Ho creduto nei khmer rossi” è l’autobiografia di O.T. Hoeung, Guerini e associati, 2004. La storia di questo ragazzo cambogiano che, da studente, a Parigi, partecipa ai moti studenteschi e poi si infiamma quando Pol Pot nel 1975 prende il potere in Cambogia e torna in patria pronto a costruire il mondo nuovo. Dall’arrivo all’aeroporto di Phnom Penh, quando la prima cosa che nota è che “Tutti sono vestiti di nero” al “ripensamento di un’illusione”, Hoeung subisce sulla sua pelle l’utopia a cui, per un certo periodo, credettero e propagandarono in molti in occidente, tra cui lo stesso Terzani, e che costò la vita a due milioni di persone. Del doloroso libro di Hoeung mi ha sempre colpito, come particolare che nel mare di male potrebbe sembrare insignificante, il passaggio in cui nota che, intorno a sé, non ha più visto i fiori:“Un tempo, qui c’erano due edifici riservati ai professori e un giardino con ogni sorta di piante: rose, gelsomini, frangipane, fiori di loto, ninfee…Era fiorito in ogni stagione. Ora, ci sono solo insalata, cavoli, zucche…Dietro, il campo da pallavolo è stato smantellato. Restano solo i due pali a cui si intrecciano i cetrioli amari. Dove c’era il terreno di gioco, sono state piantate melanzane e zucchine”. “I fiori –  ci dice Hor – non si mangiano. Noi seguiamo le istruzioni dell’Angkar piantando cose utili, commestibili”.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.