I dettagli e la ragion di Stato sul caso Almasri

Di Emanuele Boffi
30 Gennaio 2025
Ci si può dividere tra indignati e complottisti oppure raccontare la verità. Vi sono ragioni di sicurezza nazionale che, se anche non cristalline, hanno comunque dei fondamenti
Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli durante un flash-mob di Avs sotto palazzo Chigi per il caso Almasri, Roma, 23 gennaio 2025 (foto Ansa)
Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli durante un flash-mob di Avs sotto palazzo Chigi per il caso Almasri, Roma, 23 gennaio 2025 (foto Ansa)

Sul caso Njeem Osama Almasri ci si può fermare ai dettagli oppure, più semplicemente, far emergere il non detto, che è poi il nocciolo inconfessabile della questione: si tratta di una vicenda di sicurezza nazionale, su cui vigono “ragioni di Stato” che non possono essere rese pubbliche.

L’avvocato Luigi Li Gotti – l’ex missino ed ex parlamentare dipietrista che ha presentato l’esposto per favoreggiamento e peculato che ha coinvolto Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano – ha spiegato ai quotidiani di aver fatto una «scelta giudiziaria, non politica». Frase formalmente corretta, ma non vera nella sostanza, perché Li Gotti ha voluto gettare un cerino su una polveriera, sapendo bene che questo non avrebbe fatto altro che creare un po’ di casino mediatico-giudiziario (e proprio questo era il suo intento, un intento tutto “politico”, altro che di “giustizia”).

Colpevolisti e complottisti

Ovviamente si può dibattere a lungo se il ministro Nordio avrebbe dovuto, dopo la richiesta dell’Aja e l’informativa inviata dalla Procura al ministero della Giustizia, e dopo l’arresto e la scarcerazione di Almasri, emettere nei confronti del capo della polizia libica una misura cautelare oppure se potesse non farlo. Ci si potrebbe soffermare anche a lungo sul profilo del libico – a tutta l’apparenza un “tipaccio” -, o notare, come ha fatto anche la premier Meloni, che l’uomo, dopo aver girovagato per una dozzina di giorni in tre Stati europei, è stato raggiunto dalla richiesta dell’Aja solo dopo essere arrivato in Italia.

Ci si potrebbe, insomma, dilungare in dotte analisi giuridiche e, codici alla mano, dividere su cosa si sarebbe dovuto fare e come. Ma, lasciatecelo dire, sono dettagli rispetto al merito della questione. Anche la divisione tra colpevolisti e complottisti può servire per prendere parte a seconda delle proprie simpatie politiche, ma non tiene conto che i rappresentanti di uno Stato sono chiamati a volte a delle scelte motivate da “ragioni” che, se anche non cristalline, hanno comunque dei fondamenti. È ciò che chiamiamo, appunto, “ragioni di Stato”.

Il generale libico Njeem Osama Almasri Habish (foto Ansa)
Il generale libico Njeem Osama Almasri Habish (foto Ansa)

Ragioni di Stato

Chi è stato chiamato a gestire il potere in Italia non può non tenerne conto. Non può, ad esempio, ignorare che nel gennaio 2025, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, c’è stata un’impennata degli sbarchi di migranti sulle coste italiane. L’anno scorso erano stati 1.863, quest’anno 3.354, «di cui circa 1.500 solo la settimana scorsa», come ha notato il Corriere.

Ci siamo capiti, no? Può piacerci o meno, ma nel mondo reale e non solo nel mondo in cui c’è gente senza macchia che s’indigna perché il libico è stato riportato a casa, accade questo.

Possiamo fare gli ipocriti oppure raccontare le cose come stanno, senza prendere in giro nessuno. Come ha scritto apertis verbis Maurizio Belpietro sulla Verità:

«È inutile nascondersi dietro un dito: il trattenimento del carceriere e la sua consegna ai magistrati che perseguono la violazione dei diritti umani, comportava la reazione libica, con la scarcerazione di decine di migliaia di migranti lasciati liberi di partire per le coste italiane. Eventualità che il governo ha deciso di scongiurare».

Falsa trasparenza

Si può pensare quel che si vuole della vicenda, ma non si può fingere di non sapere che certi risultati si ottengono solo grazie a compromessi. O c’è forse qualche anima bella che ritiene che certe vicende assai complicate si sistemino solo grazie alle buone maniere e alla trasparenza? Mettere di mezzo la magistratura su questioni che attengono la sfera della sicurezza nazionale è solo un modo per “buttarla in politica”.

E questo sul caso Almasri non è stato fatto in modo disinteressato e innocente. Infatti, ha scritto ancora Belpietro,

«a nessun magistrato è passato per la testa di mandare un avviso di garanzia a chi ha permesso la scarcerazione di Cecilia Sala in cambio della liberazione di un ingegnere iraniano accusato di aver procurato il materiale per un attentato».

E a nessuno è passato, giustamente, per la testa perché quello era l’unico modo per riportare la giornalista a casa.

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Inchieste ad minchiam

Questo è un fatto che sanno anche i politici di sinistra, solo che fanno finta di non saperlo. Come ha notato Mattia Feltri sulla Stampa, negli ultimi trentuno anni, sette dei nostri dodici presidenti del Consiglio sono stati indagati dalla magistratura. Sette!, sia di destra sia di sinistra, con un solo condannato (Silvio Berlusconi). Che la magistratura indaghi sui vertici dello Stato è un’enormità che in Italia è diventata quasi una «faccenda ordinaria».

«La chiamano indipendenza della magistratura», ha scritto Feltri. «Altrove – in Usa, in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, in Svezia, in Australia, nei posti più civili del mondo – l’indipendenza è solo dei giudici, mentre gli inquirenti sono sottoposti a una forma di controllo del governo. E lì, magicamente, le inchieste ad minchiam non ci sono».

Un altro buon motivo per fare la separazione delle carriere.

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1 commento

  1. ENRICO VENTURA

    In questo scontro tra potreri dello Stato, il silenzio di chi è a Capo di questo Stato suona come un boato, che nessuno vuol sentire.

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