I costi umani dell’11 settembre e delle guerre in Afghanistan e Iraq

Di Rodolfo Casadei
08 Settembre 2011
Difficile stimare quante persone abbiano perso la vita a causa degli attentati dell'11 settembre. Secondo la Brown University di Providence nel Rhode Island, alle 2.996 vittime di morte violenta dell'11 settembre, bisogna aggiungere altre 257 mila persone che hanno perso la vita nelle guerre di Afghanistan e Iraq

Agli attentati dell’11 settembre 2001 è attribuita la morte violenta di 2.996 persone, inclusi i 19 attentatori. Molte di più sono le vittime degli interventi militari a guida americana che possono essere considerati una reazione conseguente agli attacchi, cioè quelli in Afghanistan e in Iraq tuttora in corso, e quelle degli attentati terroristici di marca jihadista che dopo di allora si sono moltiplicati in tutto il mondo. «Se infatti fra il 1993 e il 10 settembre del 2001, gli attentati con quindici o più vittime compiuti in qualsiasi parte del mondo avevano prodotto un totale di 2.540 persone uccise, dall’11 settembre 2011 fino al 2009, l’effetto emulazione della violenza e le stragi pianificate nei cinque continenti da jihadisti e qaedisti hanno fatto quasi decuplicare il numero delle vittime, portandolo a 23.211 persone», scrivono Stefano D’Ambruoso e Vincenzo R. Spagnolo nel libro Un istante prima – Com’è cambiato il terrorismo fondamentalista in Europa dieci anni dopo l’11 settembre.Il racconto di un magistrato in prima linea, citando le stime della Intelligence Culture and Strategic Analysis Foundation.

A essersi esercitata nella difficile opera di calcolo delle perdite umane nelle guerre seguite agli attentati dell’11 settembre è stata la Brown University di Providence nel Rhode Island col suo “Costs of War Project” condotto dall’Eisenhower Research Project, un collettivo di antropologi, economisti, giuristi, scienziati politici della suddetta università. Il progetto risente di una certa retorica liberal, sovrastima lievemente le perdite di civili rispetto ad altri studi, include le vittime del conflitto interno pakistano attribuendolo alle sequele dell’11 settembre e curiosamente sottostima le perdite degli insorti in Iraq e in Afghanistan. Alla fine valuta le vittime in una cifra oscillante tra le 225 mila e le 257 mila. Fra esse la componente più grossa è quella rappresentata dai civili iracheni, che conterebbero fino ad oggi 125 mila morti (l’Iraq Index della Brookings Institution, aggiornato mensilmente dal novembre 2003, li stima in 115 mila).

I soldati americani caduti negli ultimi dieci anni sui campi di battaglia di Iraq, Afghanistan e Pakistan sono più del doppio delle vittime degli attentati dell’11 settembre: 6.051 contro i quasi 3 mila di New York e Washington e dei quattro aerei dirottati. Ad essi vanno aggiunti i contractors, guardie del corpo e addetti della security privati americani e di altre nazionalità, che hanno perduto 2.300 elementi. Si tenga presente che nel corso della guerra del Vietnam gli Stati Uniti persero 58 mila uomini, 40 mila dei quali volontari e 18 mila coscritti.

Gli alleati degli Usa nei due conflitti di Afghanistan e Iraq avrebbero perso 1.192 militari (i caduti delle forze armate italiane sono stati 33 in Iraq e 41 in Afghanistan). Ad essi vanno aggiunti oltre 22 mila elementi delle forze di sicurezza irachene, afghane e pakistane. Decisamente deficitari i calcoli del “Costs of War Project” della Brown University per quanto riguarda il costo umano patito dai nemici degli Stati Uniti: si parla di 10 mila soldati dell’esercito iracheno periti nel conflitto del 2003 e di 10 mila insorti talebani in Afghanistan, mentre nessuna cifra è calcolata in riferimento agli insorti iracheni. Questi ultimi avrebbero perso più di 26 mila uomini dal 2003 ad oggi secondo altre fonti (Iraq Index), mentre le perdite dei talebani nel solo Afghanistan oscillerebbero fra 25.800 e 30.000, senza contare i loro caduti dell’ottobre-novembre 2001.

Ai decessi vanno evidentemente aggiunti altri costi umani, come quelli patiti dai feriti o dai civili che sono stati costretti a fuggire dalle loro case a causa della guerra e degli attentati terroristici. I soli militari americani evacuati dalle aree di conflitto a causa di serie ferite sono stati finora 90 mila, e 500 mila sono quelli che attualmente ricevono un’indennità per ferite subìte durante il servizio. I profughi iracheni, afghani e pakistani sommati ammontano oggi a 7,8 milioni di persone, una cifra pari alla popolazione della Svizzera. Quando si passa ad Al Qaeda, il concetto di “costo umano” cambia di significato: i terroristi mettono in conto la perdita della propria vita, trasformata in vera e propria arma non convenzionale come nel caso dei 19 attentatori suicidi dell’11 settembre. Stante anche il carattere asimmetrico del conflitto fra uno Stato e un’entità terroristica, la valutazione delle conseguenze del post-11 settembre sull’organizzazione è necessariamente più politica.

I dieci anni successivi agli attentati in terra americana hanno visto un’espansione di Al Qaeda attraverso alleanze e operazioni di “franchising” con gruppi terroristici affini in altri continenti, ma anche una progressiva disintegrazione del suo nocciolo afghano-pakistano, simboleggiata dall’eliminazione fisica di Osama Bin Laden il 2 maggio scorso e dalla cattura o uccisione di molti responsabili di primo livello negli ultimi due-tre anni. Sul piano operativo questo ha significato che l’organizzazione ha continuato a colpire nel mondo con sanguinosi attentati dimostrativi, opera di gruppi affiliati (Bali, Madrid, Casablanca, Londra, Mumbay, ecc.), ma non ha potuto replicare nulla di paragonabile agli attacchi dell’11 settembre in terra americana, nonostante risulti che fino all’ultimo Osama Bin Laden si sia dedicato a progetti di questo genere. A determinare tale situazione è stato soprattutto la strategia di guerra scelta dall’amministrazione Obama che ha voluto incrementare esponenzialmente gli attacchi con droni nel cosiddetto scacchiere Af-Pak: in poco più di un anno fra il 2009 e il 2010 sono stati uccisi con attacchi condotti da droni 600 terroristi talebani e di Al Qaeda, contro i 230 eliminati nello stesso modo fra il 2004 e il 2008. Attualmente a controllare o rendere insicure le maggiori porzioni di territorio nel mondo sono organizzazioni affiliate ad Al Qaeda ma autonome: Al Qaeda nel Maghreb islamico (successore del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento), gli shabab della Somalia e Al Qaeda nella penisola arabica, concentrata nello Yemen.

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