I componimenti premiati al concorso “Io e i nonni”

Di Redazione
06 Giugno 2019
Il 4 giugno si è svolta a Roma nella Sala Koch del Senato la premiazione del primo concorso “Io e i miei nonni” alla presenza del presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati e del senatore Massimiliano Romeo

Il 4 giugno si è svolta a Roma nella Sala Koch del Senato la premiazione del primo concorso “Io e i miei nonni” alla presenza del presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati e del senatore Massimiliano Romeo. Il concorso è stato indetto dall’associazione Nonni 2.0, in collaborazione con Tempi, che ha raccolto i componimenti 2.414 allievi appartenenti a istituti scolastici di ogni ordine e grado, diffusi su tutto il territorio nazionale. Gli elaborati sono stati poi sottoposti al vaglio di una giuria composta da Davide Rondoni, poeta, Marina Corradi, giornalista, Luisa Ribolzi, professore ordinario di sociologia dell’educazione, Gianni Torriani, esperto di comunicazione e organizzazione, Mauro Grimoldi, docente, Innocenza Laguri, docente, e Maurizio Redaelli, esperto di comunicazione.
Di seguito pubblichiamo i componimenti, con la motivazione del premio espresso dalla giuria.

PREMIATI CONCORSO “IO E I NONNI” 2018/2019

Primarie

1° Premio: Dario La Russa, scuola G. Marconi – Trapani 4 C

Commovente lettera, segnata da una viva capacità di osservazione (il bianco vitale della farina sul vestito a lutto è un piccolo capolavoro) e da una intensità affettiva netta e chiara.

Cara nonna Nice,

mi hai conosciuto così poco e mi hai donato così tanto. Nonna mia, che mi dai sempre la buonanotte sorridendomi dalla foto sul comodino. Dicono che non ci sei più, ma io sento che non è così! Certo prima mi bastava scendere due piani di scale per venirti a trovare, ora invece la tua porta resta chiusa. Se mi avvicino posso quasi sentire il tuo profumo di acqua di rose. Lo sai, una volta ho pure bussato e con la mia mente sono entrato. Tu eri lì che mi prendevi per mano e mi accompagnavi in cucina. Mi sono seduto a guardarti mentre preparavi le busiate. La farina si posava sul tuo vestito nero. Quel vestito, indossato in ricordo di tua figlia, si imbiancava del cibo e della vita che tu regalavi a tutti noi. Quanto dolore hai dovuto sopportare e nonostante tutto ci portavi ancora tanta gioia! Nonna mia, mi mancano le tue vecchie canzoni, mi manca quando mi facevi vincere a scopa, la pazienza che avevi con me, i tuoi bacetti piccoli e veloci, il calore morbido dei tuoi abbracci! Adesso la tua porta è chiusa, nonnina, e tu resti dentro una cornicetta bianca e dentro al mio cuore. “A matinata fa a iurnata”, lo dicevi spesso. Allora io la mattina quando mi sveglio me lo ripeto. Ricambio il tuo sorriso del buongiorno e mi alzo, promettendo di fare sempre del mio meglio come tu mi hai insegnato con il tuo esempio e il tuo breve ma grande, grandissimo ricordo. So, che questa lettera non può arrivare mai a te, ma spero che le mie parole arrivino lassù dove ti trovi tu.
Tuo Dario! Ti voglio bene

2° Premio: Jacopo Pintaldi, IC Ome (BS)   3 B

Notevole talento nei ritrattini poetici della nonna e bisnonna, Jacopo mostra ottima capacità di trarre dai ricordi scene e elementi significativi, dal sapore agrodolce, come quello del soldato austriaco arreso al nonno cuoco per fame.

Ora so delle cose del mio passato

Pochi fa mesi fa è morta la mia nonna siciliana, Angelina . Quasi tutti nella  mia “famiglia siciliana” si chiamano di cognome Vasile e quasi tutti sono ferrovieri. Lo era nonna Angelina, lo erano entrambi i suoi genitori, bisnonno Matteo e bisnonna Rosalia e lo era pure suo marito, nonno Rosario. Anche il mio papà è ferroviere.

La mamma invece, della sua famiglia, mi ha raccontato questo:

Il mio bisnonno Emilio era muratore e durante il lavoro si era tagliato un dito, così in una mano aveva solo quattro dita.

Ѐ stato catturato dalla “banda” di Hitler e solo dopo tanti anni è ritornato: l’avevano usato per combattere e per fortuna è ritornato vivo!

 Ѐ stato prigioniero in Inghilterra.  Ha sofferto tanto la fame ed un giorno, lui che non aveva mai rubato, prese un pezzo di cioccolata senza il permesso dei superiori. Fu subito scoperto e per punizione gli fecero scavare una fossa come per fargli capire che l’avrebbero ucciso e sotterrato lì.

Poi per fortuna fu liberato.

Bisnonno Emilio aveva fatto anche la campagna di Russia. Raccontava sempre del freddo tremendo che faceva là e di come i loro abiti non fossero adatti per quell’inverno così rigido. 

Quando, a turno, facevano la guardia alla caserma per venti minuti ciascuno, le suole delle loro scarpe, per quel freddo terribile si incurvavano.

C’è un episodio poi che risale addirittura al  trisnonno materno  e che mi ha fatto ridere anche se parlava di guerra.

Il trisnonno Norberto aveva partecipato alla prima guerra mondiale.  Stava in una tenda e cucinava per i soldati al fronte.

Un giorno, improvvisamente, nella tenda/cucina entrò un soldato austriaco con le braccia alzate. 

Si era arreso per la fame, poverino!  Il trisnonno lo sfamò.

Nell’accampamento c’erano molti meridionali, che esclamarono ridendo:

‘U  cuciniere  ha fatto  ‘u  prigioniero!

Devo poi ringraziare mio nonno Gianfranco che è venuto a scuola, con i miei compagni, per raccontare a tutti, non solo a me, come si viveva una volta.

Ѐ stato molto chiaro e preciso, noi attentissimi. Anche lui era contento di essere tra i bambini perché sapeva di poter spiegare cose importanti.

Anche attraverso i racconti di altri nonni e nonne ho scoperto che ai loro tempi non esistevano cose elettroniche, si giocava più all’aperto, con gli amici.

I maschi si vestivano sempre con i pantaloncini corti e un maglione, non c’erano i jeans.

A scuola gli insegnanti sgridavano tanto e davano le bacchettate sulle dite delle mani con dei rametti di legno, oppure ti mettevano delle orecchie finte da asino e ti facevano girare così per tutta la scuola. Una brutta umiliazione.

Dai loro racconti ho imparato che sono cambiate molte cose: alcune migliorate, altre peggiorate.

Oggi, per esempio, le maestre sono più buone e non picchiano più. Le nostre aule sono ben riscaldate.

Noi bambini però abbiamo tantissimi impegni e ci rimane poco tempo per giocare insieme.

I nostri nonni invece stavano tanto in mezzo alla natura.

Capisco però che oggi siamo molto fortunati e dobbiamo apprezzare di più quello che abbiamo.

“ I tre porcellini”

La nonna Silvana
si mette sul mio letto.
Mi racconta “I tre porcellini”.
Tiene il libro
come fosse qualcosa di prezioso.
Legge il titolo.
Pausa.
Mi guarda.
Ѐ il segno che inizia.
Ma…
Io
ho già chiuso gli occhi.
Sorride
nonna Liliana.
Esce dalla camera
silenziosa
come carta non letta.
(Jacopo)

3° Premio: Elena Dimartino, IC via Aretusa – Roma     2 D

La limpidezza della lettera di Elena la rende rappresentativa, specie in quell’apice di nostalgia per una presenza sconosciuta della quale però si hanno continui segni.

Lettera per la nonna

Cara nonna, purtroppo non ti ho mai conosciuta perché sei diventata un angelo volato in cielo… troppo presto!

La tua casa è diventata ora la mia, vivo qui già da qualche anno con la mia famiglia e sono felice. Tutto ci parla di te. Ci sono dei tuoi mobili bellissimi, di legno, di cui un’angoliera dove nel cassetto ci sono i tuoi gioielli. Io li metto, ci gioco e mi sento accanto a te.

Sento la nostalgia dei tuoi abbracci, baci e carezze che purtroppo non ho mai potuto avere.

Quando la mia mamma mi parla di te, è orgogliosa, le brillano gli occhi e mi racconta che eri speciale. Anche lei sente la tua mancanza ma insieme parliamo di te ed è come se tu fossi qui con noi.

Quando veniamo a trovarti al cimitero ti portiamo sempre i fiori. Quando è primavera, raccolgo le rose che hai piantato nel tuo giardino. Sono rosse come l’amore che io ho per te.

Ti voglio tanto bene nonna.
Elena

Secondarie 1° grado

1° Premio: Sofia Nelem Singh, Istituto Canossa – Lodi   3 A

Un mondo intero, dall’India alla Polonia, con senso della diversità delle storie, tratteggiate con acume, entra in questo racconto-diario, sei nonni, due continenti e gli occhi e il cuore grande di una bambina.

Com’è bello appoggiare la propria guancia su un’altra rugosa. Com’è bello lasciarsi accogliere in un abbraccio amorevole e poter sentire quel battito famigliare. Com’è bello passare del tempo con loro.

Come sono belli i nonni. Belli per la loro genuinità, belli per come sono. Spesso diamo per scontato loro e la loro presenza e non ci rendiamo conto che per quanto siano ‘’normali’’ sono speciali e soprattutto importanti. Ci vedono come il più grande dono sempre, in tutte le nostre imperfezioni e nonostante tutti gli sbagli che commettiamo.

Quando ero piccola adoravo farmi raccontare dei miei nonni, e guardare e riguardare le loro foto. La mia famiglia è un po’ sparsa per il mondo, mia mamma è polacca e mio papà indiano. E mi sono resa conto che hanno due famiglie con storie completamente diverse.

Mia nonna Marysia (Maria) e mio nonno Mieciu ebbero un incontro da ‘’favola’’ un vero colpo di fulmine. Mrysia era andata a riportare un libro a una sua amica e proprio lì incontrò Mieciu che prontamente il giorno seguente si recò davanti alla contabilità dove lavorava la nonna. Come biasimarlo! Infatti mia nonna Marysia da giovane era una vera bellezza, come testimoniano le foto, e si distingueva e distingue tutt’ora per la sua eleganza. Il suo più grande sogno era di studiare arte ma non ne ebbe la possibilità. La passione per l’arte l’ha trasmessa a mia mamma e anche a me. Ha uno spirito artistico, e questo si manifesta in tutto: per esempio progettava i suoi vestiti che poi cuciva la sua sarta di fiducia con grande ammirazione del suo circolo di amiche.

Nella vita ha avuto molti momenti difficili perché nacque nella Seconda guerra Mondiale.

Non lo fa vedere ma è una piaga aperta, ha sofferto, ma ha fortificato un carattere forte e positivo, infatti ha una capacità meravigliosa di far vedere le situazioni da un punto di vista diverso.

Mi ha raccontato di nonno Mieciu, un uomo magnanimo e dall’animo gentile, era il sotto colonnello militare dell’aviazione e ingegnere costruttore di motori aerei. Viaggiando molto non si dimenticava mai della sua famiglia, gli piaceva scrivere delle poesie sui posti dove si trovava che spediva con le lettere alla nonna. Era molto stimato al lavoro dove nacquero molte amicizie, purtroppo scomparve a quarantanove anni ma lasciò di sé un bellissimo e indelebile ricordo.

Quando la nonna parla di lui le brillano gli occhi, non di nostalgia, ma di orgoglio e felicità di aver avuto al suo fianco una persona così speciale, il cui ricordo riempie il cuore della sua famiglia.

Si dice che l’apparenza inganna l’esempio in carne e ossa è il mio bisnonno Jὀsef (Giuseppe) un ometto pelato dall’aspetto ordinario, ma dalla personalità decisamente straordinaria! Era timido, impacciato e preferiva una vita semplice campagnola. Aveva la particolarità di paragonare tutti gli acquisti alla quantità di panini che si potevano comprare ai loro posti. Come quella volta che la bisnonna Filomena, presa dall’aria dell’innovazione propose di comprare la tv, ‘’Pensa a quanti panini si potrebbero comprare al posto della tv’’ cercò di persuadere il bisnonno, ma invano! La determinazione della bisnonna era nota a tutti. E dopo un po’ di tempo Jὀsef cominciò ad apprezzare quello scatolone chiamato televisione. Il nonno allevava oche, galline e conigli. Fino a qua sembra tutto normale ma non sapete che…Nutriva le oche con spaghetti cotti prendendone uno alla volta e facendolo scendere lentamente nel becco! Ma non finisce certo qui, anche per le galline era riservato un trattamento speciale: preparava le ortiche tagliate che lui stesso raccoglieva, perché le uova ottenute dalle galline nutrite in questo modo erano migliori. La sua ingenuità era tale che quando la bisnonna Filomena andò in visita da una sua cugina e gli disse: ’’Giuseppe ti lascio la zuppa di pomodoro, devi soltanto metterci dentro la pasta’’ lui seguì l’indicazione alla lettera mettendo la pasta cruda. Al ritorno di Filomena che gli chiese com’era stato il pranzo rispose: ’’Era davvero buonissimo, solo che la pasta era un po’ croccante!’’

Dal punto di vista professionale era un infermiere e durante la Seconda Guerra Mondiale fu chiamato a lavorare all’ospedale militare come medico-chirurgo. A causa della guerra la bisnonna e la nonna Marysia, che all’epoca aveva solo tre anni, furono cacciate da Lwὀw (l’attuale Leopoli in Ucraina ) che era stato occupato dalle truppe russe al sud-est della Polonia. Alla fine della guerra il bisnonno cominciò a cercare la moglie e la figlia. Scoprì che si erano fermate a Rzeszὀw, ma non conoscendo né la via né l’indirizzo si recò al mercato dove la bisnonna vendeva i vestiti che cuciva e dove probabilmente l’avrebbe ritrovata. E così si ritrovarono e poterono cominciare il nuovo inizio più uniti di prima.

La bisnonna Filomena era una vera donna campagnola: religiosa, dolce e dotata di un grande buon senso. Sana come un pesce e con un’energia formidabile in corpo, quando il dottore le prescriveva un farmaco, lei buttava la ricetta e diceva: ‘’Il dottore mica è dentro di me!’’

Era così determinata che dopo un anno di frequentazione con il bisnonno gli chiese di portare i documenti necessari per sposarsi in chiesa, il nonno intimidito non portò i documenti nel giorno prestabilito ma la nonna con un dolce sorriso stampato sulle labbra non si arrabbiò e gli disse che sarebbero andati lo stesso dal prete che accettò la loro richiesta dicendo che i documenti si potevano portare dopo. Che coppia! Due personaggi ma nel vero senso della parola!

Pensandoci bene i miei nonni polacchi e quelli indiani sembrano essere vissuti in due mondi separati!

Marysia e Mieciu, Filomena e Jὀsef si sposarono per amore, mentre Puran e Pritam ebbero un matrimonio combinato secondo le tradizioni di quell’epoca, ma tra loro nacque grande stima e rispetto, non litigarono mai e dopo tempo nacque l’amore.

Il motto del nonno Puran era: ‘’Per ogni problema c’è sempre una soluzione’’. La sua vita fu molto difficile.

Suo padre tornando dai campi di lavoro vide la bandiera Pakistana svettare sul villaggio perché il Pakistan si era impadronito di una parte dell’India. Aveva due possibilità: diventare musulmano o altrimenti lasciare il villaggio con la famiglia portando con sé solo le cose necessarie. Gli diedero un’ora e permisero di portare due buoi, due bufale, un carro e una coperta per ogni persona. E il nonno Puran a soli ventidue anni dovette affrontare questo cambiamento lasciando tutto quello che aveva. Dopo circa tre mesi di cammino arrivarono nel Punjab dove poterono ricostruirsi una vita. Questa esperienza fece emergere il carattere forte di tutta la famiglia e il nonno Puran cresciuto in questo ambiente acquisì una visione di vita dove non bisogna mai abbattersi.

Nella cultura indiana i nonni sono gli alberi maestri della famiglia. Mia nonna Pritam si prese cura di tutta la famiglia, unendola sempre di più, e migliorandola con i suoi preziosi consigli.

In realtà una cosa che accomuna entrambe le famiglie c’è: l’amore che alimentava il coraggio nei momenti più difficili.

Come sono belli i nonni. Dicono che noi siamo il loro dono più grande quando loro ne sono uno davvero unico per noi. Com’è bello vedere i loro occhi colmi di amore e orgoglio. Com’e bello che esistano.

Credo che siano i nostri angeli custodi, sempre pronti a proteggerci con le loro forti ali e a spargere polvere di stelle sulle nostre preoccupazioni.

2° Premio: Mariastella Giunta, Scuola Media C. A. Dalla Chiesa – San Mauro Torinese  3 B

Con lucidità e assumendo una metafora (nonni come alberi) come centro della sua riflessione, Mariastella riesce a dire cose profonde e semplici, sentite e universali.

Chi sono per me i nonni? Per rispondere a questa domanda potrei fare una similitudine con gli alberi. Se paragono me stessa ad un giovane albero che si affaccia alla vita, i miei nonni potrebbero rappresentare le radici.

I miei nonni sono molto diversi tra loro per età, per esperienze di vita, per carattere e per interessi: questa loro diversità la considero una grande ricchezza perché mi permette di conoscere più punti di vista e avere maggiori riferimenti per affrontare la vita.

Per questo motivo, tornando al paragone con le radici di un albero, considero i miei nonni come un apparato radicale molto robusto e ben sviluppato che può nutrire al meglio la pianta e tenerla ben salda al terreno.

I miei nonni paterni erano dei coltivatori di agrumi in Sicilia: mio nonno paterno non l’ho mai conosciuto e questo ha sempre rappresentato per me un grande vuoto perché, non avendo mai potuto ascoltare i suoi racconti o confrontarmi con lui, sento che manca qualcosa alla mia stessa storia. Tuttavia, attraverso i racconti di mia nonna paterna, posso trovare in loro l’esempio di una vita spesa per il lavoro, senza spazio per agi, lussi o frivolezze. Da essi ho imparato che nella vita occorre concentrarsi su ciò che è veramente essenziale e duraturo senza sprecare il tempo e le proprie energie in cose superflue ed effimere. Spero che il loro esempio di umiltà, determinazione e dignità possa servirmi ad affrontare le difficoltà che potrò incontrare sul mio percorso. Da loro, inoltre, credo di aver ereditato l’amore per la vita all’aria aperta a contatto con la Natura.

Mia nonna materna rappresenta perfettamente l’ immagine della nonna che ogni bambino, ma anche chi bambino non è più, vorrebbe avere: una nonna dolce, premurosa, altruista, gentile e creativa. Con lei le regole dei miei genitori per fortuna non valgono, e trovo quindi spazio per un divertimento più libero. Con lei ho avuto modo di confrontarmi molto e di ascoltare i racconti di quando lei era bambina e le condizioni di vita sicuramente più difficili. Raccontandomi della sua famiglia molto numerosa, della sua scuola e delle sue amiche di infanzia, mi ha fatto riflettere su quanto l’assenza di tecnologia avesse i suoi vantaggi in termini di rapporti fra le persone, solidarietà e semplicità della vita. Con lei ho apprezzato l’importanza di un sorriso, di una parola dolce e di una coccola, che spesso portano più benefici di qualsiasi medicina.

Mio nonno materno è un’autentica forza della Natura: su di lui potrei scrivere un libro, ma mi limiterò a descrivere le sue caratteristiche principali e come queste abbiano influito sul nostro rapporto. Pur essendo quasi ottantenne ha lo spirito, l’aspetto e la forza di un trentenne. Sin da bambino ha avuto un grande amore per lo studio e l’impegno e, pur provenendo da una famiglia molto povera, ha affrontato ogni genere di difficoltà per poter studiare e laurearsi. Dopo una carriera che lo ha portato ai vertici di un’azienda pubblica, ha resistito in pensione solo pochi mesi per poi trovarsi subito un’altra occupazione. E’ appassionatissimo di storia, filosofia, e cultura in generale. E’ anche espertissimo di vita di mare e di campagna: ha acquistato una barca proprio per permettere a noi nipoti di divertirci ed apprezzare al meglio il mare del Salento durante l’estate, dalla quale riesce ancora a tuffarsi come un ragazzino; nella sua campagna coltiva verdura e frutta con cui prepara anche ottime conserve che poi spedisce a noi nipoti per poterci garantire un’alimentazione più sana. Ama viaggiare e conoscere nuovi posti e nuove persone: è capace di rimanere incantato a lungo davanti a monumenti ed opere d’arte. Questi pochi elementi bastano a far capire come la sua forte e variegata personalità influisca sulla mia personalità, il mio modo di essere, e i miei interessi. Non sarei la stessa con un nonno diverso da lui: il mio amore per i viaggi, per la lettura, per le nuove scoperte e per la cultura classica derivano direttamente da lui ma, allo stesso tempo, mi accorgo che molto ho ancora da imparare da lui in termini di tolleranza, di pazienza, di capacità di perdono, di gentilezza e generosità, di motivazione, di impegno e disponibilità verso gli altri.

In base alla mia esperienza il ruolo dei nonni è fondamentale per la crescita e lo sviluppo di ogni bambino; con il loro vissuto, le loro vicende, il loro modo di essere, il loro carattere, è come se i miei nonni mi avessero allungato e allargato la vita: me l’hanno allungata perché mi hanno offerto una prospettiva temporale su un passato che non ho potuto conoscere ma che, grazie ai loro racconti, ho potuto ricostruire; me l’hanno allargata perché grazie alla loro diversità mi hanno permesso di fare molteplici esperienze che non tutti i miei coetanei hanno avuto la fortuna di poter fare.

Allo stesso modo credo che anche i nipoti rappresentino un ampliamento ed un allungamento della vita dei nonni: coi nipoti i nonni possono rivestire un ruolo diverso da quello che hanno avuto come genitori ed educatori. Allo stesso modo, i nipoti rappresentano per i nonni un allungamento della loro esistenza verso il futuro. Se i nipoti sapranno accogliere gli insegnamenti dei nonni, il loro esempio, la tenerezza e l’amore che da loro hanno ricevuto, per i nonni sarà come vivere più a lungo: per i nonni non esisteranno ricompensa e soddisfazione più grandi.

È, perciò, questa la responsabilità di cui ogni nipote dovrebbe farsi carico con gratitudine e riconoscenza.

3° Premio: Federico Giuliana, Ist. Falcone Borsellino – Favara (AG) 1 C

In un testo di evocazione poetica, Federico sa cogliere e rappresentare con parole esatte un elemento importante: quella “muta richiesta di compagnia”, mostrando così occhio vigile e cuore vigilissimo.

Io e i miei nonni

Dolce il suo sorriso
dolci le sue carezze.
Ricordo i capelli bianchi.
E la muta richiesta di compagnia.
Scopa, briscola e ruba mazzetto,
ferri e uncinetti,
sciarpe e calde calzette,
Natale con dolci e dolcetti.
Lettere biglietti e niente telefonini.
Un cuore grande
una grande compagnia.
Nonna mi manchi
Ora che sei andata via.
Federico

Secondarie 2° grado

1° Premio: Angelica Ippolito, ISIS Magrini Marchetti – Gemona del Fr. (UD)         Liceo Scient. 2 B

Di violenta dolcezza, di forza struggente è tessuto il racconto ricordo di Angelica per sua nonna. Non censura nulla né del dolore né della bellezza smagliante. Ferisce, e dà speranza in una umanità di sorrisi e cielo, di doni di bambole e montagne.

Non ti scordar di me

Avevi delle mani bellissime, sai, a volte mi sembra ancora di vederle mentre stringono la stoffa dei pantaloni del pigiama che indossi. Ricordo anche quello; come ricordo la tua tuta grigia e pesante e tutte le volte in cui papà ti ha nascosto le pastiglie nei fagiolini pur di fartele prendere.

Ti vedo sulla poltrona, seduta accanto al nonno, e poi sul letto, mentre Loredana ti cambia. Ti sento cantare i ritornelli che avevi imparato da bambina, e mentre inutilmente cerchi tua madre.

Penso a tutte le volte in cui, come se una vita non fosse bastata a distinguere le fattezze delle tue nipoti, mi hai chiamata Anna, nome breve e facile da tenere a mente, anche se io non capivo. Ripenso a quando, prima di Loredana, Renata ti distraeva con le sue battute stupide o ti cantava quei motivetti senza senso che alla fine a casa abbiamo imparato tutti, e ti faceva indossare i miei occhiali da sole tondi. Tu ridevi sempre, in ogni occasione, questo non è mai cambiato.

Se mi concentro riesco anche a riprovare il senso d’impotenza e la stessa rabbia per ciò che ti succedeva e che trovavo così profondamente ingiusto, dato che eri sempre stata gentile con tutti. Sento pesare l’angoscia delle notti passate in bianco quando stavi male, le ore interminabili, in cui tutto era buio e silenzioso, trascorse col cuscino premuto sulle orecchie nel terrore che il telefono squillasse.

Ricordo quel pomeriggio in cui avevi iniziato a cullare la mia bambola, per un qualche istinto materno che in te era sempre stato innato, e tutti mi avevano chiesto di lasciartela, ma io non avevo voluto. Me ne vergogno moltissimo, ma perdonami, ero piccola. Ora come ora, di quelle bambole te ne regalerei a migliaia.

Sai, tutto riaffiora: le svariate occasioni nelle quali Anna mi ha ricordato che, se proprio non ne potevo fare a meno, quando stavi male dovevo piangere in bagno o in camera, ma mai di fronte al nonno; la gioia enorme nel vederti a casa, anche se con il sondino; i baci sulla fronte e gli omogeneizzati.

Vorrei poter raccontare di gite al parco e fiabe lette, di baci della buonanotte e di te che vieni a prendermi alla fermata del pullmino, di pomeriggi passati a giocare e di pensieri condivisi, ma non sarebbe la nostra storia. Non lo sarebbe perché a noi non è stato concesso il tempo di fare queste cose, non ne abbiamo avuto l’occasione. Ma sono infinitamente grata per aver avuto quella di amarti con tutto l’amore del mondo, di essermi potuta rendere conto di quanto una persona possa essere fondamentale anche se non si ricorda il tuo nome e non ti riconosce più.

Mi accontento del filmino tutto sgranato della mia prima Pasqua, dove mi tieni in braccio e ridendo dici: “Ma cja ce biela fruta” *.

Anche la tua risata era bellissima, in realtà eri bella tu, di uno splendore disarmante, lo sei sempre stata. Nonostante i giochi che non abbiamo fatto, i discorsi mai pronunciati, gli abbracci a senso unico e i muri che c’erano senza che nessuno li avesse eretti, sei il mio primo ricordo: tu e io sui sedili posteriori dell’auto a cantare.

Non poterti più venire a baciare la sera mi ha svuotata completamente, per settimane non sono più stata capace di guardare nella tua stanza, sapendo di trovarci un letto vuoto.

Scrivere di te è sprofondare tra ricordi che ormai mi sembrano lontanissimi, significa tornare a inquadrare nitidamente il tuo viso, provare in tutta la loro concretezza sensazioni che credevo di aver sepolto. È doloroso ma è bellissimo, è come una presa di coscienza. Mi hai segnata profondamente, eri completamente assente e allo stesso tempo avvertivo potentissima la tua presenza, eri immobile eppure percepivo in te un’energia quasi violenta.

Ne avessi ancora l’occasione, dipingerei per te tutto quello che non hai visto, ti racconterei tutto ciò che ti sei persa dal duemila all’anno scorso, ma soprattutto ti farei viaggiare, ti porterei ovunque pur di farti mettere il naso fuori dalla tua Carnia. Anche se alla fine tutto conduce lì, unico luogo dal quale nemmeno io riesco ad allontanarmi per lungo tempo, dove ci sono le montagne che hai visto sin da bambina, il lago dove hai portato i tuoi figli a fare il bagno, e tutto quello che mi fa pensare a te, che sei casa.

*(“ma guarda che bella bimba”)

2° Premio: Caterina Nonne, Liceo Musicale F. Casorati – Novara   1 M

C’è tanta sofferenza e tanta pazza gioia nel racconto promemoria di Caterina, una forza e una consapevolezza rare. E soprattutto una gratitudine per questa figura di nonno che nei giri in bici e nelle occhiate ha dato tanto a una ragazzina che come tante ha sofferto ma sa riconoscere dove guardare per attingere forza e sorriso.

Caro nonno,

Vedendo la tua sedia vuota al pranzo di Natale ho iniziato a pensare a te e finalmente ho avuto il coraggio di prendere in mano carta e penna e scriverti. Ti penso tutti i giorni, ma oggi ancora di più. Oggi è martedì, il nostro giorno speciale. Quest’anno la mia festa preferita è caduta nel mio giorno preferito, ma senza te è come se vivessi in un film muto in bianco e nero: mancano i colori e la musica. Tutti i martedì mi venivi a prendere fuori da scuola e andavamo insieme a fare lunghi giri in bici, non ti importava se piovesse, nevicasse o il sole fosse così forte da bruciare la pelle, volevi farmi assaporare ogni singolo angolo della tua città, dove hai passato i tuoi momenti migliori. Ogni strada, casa o panchina era un tuo ricordo e diventava un mio. Tu ridevi spesso durante quei viaggi e ora quando al martedì passo da sola fra le case e i marciapiedi sento ancora la tua buffa e contagiosa risata. Ho avuto paura quando te ne sei andato nonno, non della solitudine ma di dimenticare, allora ho preso quel bellissimo quaderno rilegato che mi avevi regalato e ho iniziato a scrivere. Forse una parte di me sapeva che non potevo dimenticare, ma sentivo il bisogno del concreto, del palpabile. Ci ho messo tutta la notte, non mi sono fermata fin quando non ho sentito di aver scritto tutto ciò che dovevo. Cercavo una certezza e me la sono creata, proprio come mi hai insegnato tu. Non so se te ne sei mai reso conto, ma se io sono quella che sono lo devo a te e ora se mi sentirò persa mi basterà leggere di noi e tornerà la luce nel mio cuore perchè tu ci sei ancora ad abbracciarmi ed ad insegnarmi, ti trovo ovunque. Non è sempre facile, non lo è stato nemmeno per te eppure sei arrivato in questa terra col sorriso e con il sorriso te ne sei andato, piangevi tanto ma lo nascondevi, io l’ho capito tardi e non credo di aver imparato abbastanza da te, mi hai insegnato tantissimo ma sono ancora piena di insicurezze, di lividi invisibili, ho bisogno di te… Quando mi manchi mi basta andare a fare un giro in bici o leggere quel bellissimo quadernino che mi hai regalato. Sei nel sole, sei nel vento e a volte sei pure nelle mie risate o in quelle di mamma. Al tuo funerale mi sono vestita coloratissima come mi ripetevi tu: “Piccola mia, come tutti sono destinata a morire, ma non vuol dire che sparirò, rimarrò qua a proteggerti, ma dovrai imparare a vedermi. Quindi vestiti colorata, ridi e balla e non piangere io sarò sempre.” Ho provato a fare ciò che mi hai detto e in parte ci sono riuscita, ho ballato sotto la pioggia fortissima, ridendo, ma anche i miei occhi piovevano con il cielo e non ho potuto fermarli. Non ero mai rimasta sotto una pioggia così forte così a lungo, le mie lacrime si sono mescolate al temporale, avevo lampi e tuoni nel cuore. Tu dicevi sempre che sono un’anima delicata, di quelle che rendono ogni goccia del mare importante. Ma a me non piaceva essere così, dare importanza ad ogni cosa, emozionarmi per tutto finché, il giorno in cui ti abbiamo salutato ufficialmente, ho capito che la tua anima è come la mia. Delicata e fragile. Se non fosse così non mi avresti mai portata a fare quei giri in bici, ad osservare ogni particolare, e non ti saresti messo a ridere perché il sole ti stava illuminando il viso e il vento accarezzando i capelli, non avresti sofferto in silenzio di tutto ciò che è successo a mamma e papà, anche se i tuoi occhi sembravano cielo nuvoloso, di quelli che porta pioggia io l’ho notato troppo tardi. Senza te nonno non so che fine avrei fatto, la mamma si è spenta da quando papà se n’è andato e non può di certo prendersi cura di me. Sai ora mi prendo io cura di lei, qualche volta i suoi occhi si illuminano e sono sicura che con un po’ di tempo riuscirò a riaccendere il sole nel suo cuore, tornerà l’estate. Io voglio essere come te nonno, aiutare gli altri e sorridere fino alla fine, la vita è la cosa più bella che mi sia capitata e devo viverla al meglio. Questo Natale voglio farti un regalo, dato che sei sempre stato tu a farli a me, un regalo da un’anima delicata ad un’altra. Tutti i martedì andrò a fare un giro in bici, ci porterò tutta la città, urlerò il tuo nome alle colline e tu mi risponderai. Sarò felice per te che mi hai insegnato a esserlo. Quando i miei capelli argento verranno spostati da una brezza leggera con in braccio i miei nipoti sussurrerò “grazie” al vento sarà rivolto sempre a te, mio fantastico e incredibile nonno.

3° Premio: Francesca Eccel, liceo A. Rosmini – Trento          3 D

Con la misura della poesia e del sentimento non esibito, tipico di certe terre di montagna, Francesca medita, come fan sempre i poeti, sul senso del tempo. E così gli occhi di aurora, di tramonto e anche la notte sono il luogo, gli emblemi del tempo in cui un segno, pur in forma di cicatrice, un caro segno, non svanisce.

– Senza titolo –

Ti guardavo
con occhi di bambina
il sole in un sorriso sdentato
la tua mano nella mia.
Un’eternità di vissuto
che ne stringe
un frammento inviolato.
Ti guardavo
camminando al tuo fianco
la purezza dell’aurora nei miei occhi
la dolcezza del tramonto nei tuoi.
Non vedevo che anche tu
ti preparavi alla notte.
Ti guardo ora
con occhi di ragazza
ma vedo soltanto un ricordo sbiadito
dallo stesso tempo che
così abilmente aveva scolpito
le tue mani e la tua verità.
Forse
fra le mie cicatrici
una è ciò che mi è rimasto
di te.

Foto Senato

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.