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I cacciatori di bufale sono finiti in trappola

Di Piero Vietti
15 Febbraio 2025
«Il fact-checking non è una via per accertare la verità, ma solo per individuare le menzogne esplicite». Parla il sociologo Guido Gili, dopo che Meta ha abolito i programmi di verifica dei contenuti. «Esistono forme di difesa più efficaci per non credere alle fake news»
Un pupazzo di Mark Zuckerberg esposto a Bruxelles nel 2020 (foto Ansa)
Un pupazzo di Mark Zuckerberg esposto a Bruxelles nel 2020 (foto Ansa)

Pochi giorni prima dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, Mark Zuckerberg – fondatore di Facebook e ceo di Meta, la società proprietaria anche di Instagram – ha annunciato la fine del regime di censura dei contenuti sui suoi social. «Le recenti elezioni sembrano anche un punto di svolta culturale verso una nuova priorità della parola», ha detto. Ammettendo di avere eliminato troppi contenuti che non dovevano essere censurati, Zuckerberg ha parlato della necessità di «ripristinare la libertà di espressione» che l’eccesso di moderazione ha frenato negli ultimi anni a causa delle pressioni di politica e grandi gruppi mediatici.
È la fine del fact-checking, che Meta aveva affidato a terze parti certificate come organi di stampa e organizzazioni no profit che censuravano contenuti in base ai propri pregiudizi ideologici e dicevano di farlo in nome della verità. C’è chi dice che così saremo sommersi dalle fake news e non potremo più sapere se quello che leggiamo su quei canali è...

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