
Herrera e Rocco, il derby (tra amici) che ha fatto grande Milano. Non solo nel calcio
[internal_gallery gid=95430]Ce la si può immaginare la scena: il sole bollente che non dà scampo al piazzale, la macchina di Herrera parcheggiata fuori dal cimitero di Sant’Anna di Trieste, la moglie di Helenio, Fiora, seduta ad aspettare il marito. Più di una volta era capitato che l’allenatore argentino si svegliasse, andasse dalla consorte e le dicesse: «Oggi voglio andare a trovare il Paròn». Perché Nereo Rocco era stato il rivale di una vita, la guida dell’altra faccia di Milano, quella rossonera, in antitesi diretta con la sponda nerazzurra del Mago. Ma tra i due c’era anche una grande stima, riconoscenza e in fondo amicizia. Lo si coglie bene tra le foto della mostra che da da domani sarà possibile visitare al Palazzo Reale di Milano fino al prossimo 8 settembre, dedicata appunto alla “Leggenda del Mago e del Paròn”. A idearla, Gigi Garanzini, storico giornalista sportivo del Corriere della Sera, della Stampa e del Sole 24 Ore, che ha curato il lavoro con l’aiuto del Comune di Milano e di Skira. L’intento, quello di riscoprire un anno in particolare, il 1963, quando la città lombarda si trovò nel giro di pochi giorni ad essere capitale italiana ed europea del calcio, grazie ai successi dell’Inter in campionato e del Milan in Coppa Campioni.
IL BOOM DI MILANO. Era la Milano che catalizzava intorno a sé tutte le forze del boom economico, la Milano della Torre Velasca e del Pirelli, della Motta e dell’Alemagna, di Jannacci e Celentano, di Maria Callas e Renata Tebaidi. Alla fresca intraprendenza di quella città è dedicata la prima sala della mostra, concepita con fotografie d’autore e filmati Rai che puntano a ricreare l’ambiente in cui sorse la straordinaria avventura delle due squadre. Tra scatti della stazione Centrale e istantanee dal Vigorelli si riesce a cogliere anche quale impatto ebbero i successi nerazzurri e rossoneri sulla vita di questa città, tra l’operosità di chi vi era nato e i tanti sogni degli immigrati dal Sud Italia. Una centro urbano che cresce e arriva respirare a pieni polmoni la sua popolarità anche grazie a quanto accade con quei due allenatori, tratteggiati nella loro contrapposizione da tanti cimeli che ripropongono quella diversità.
UNO PARLAVA QUATTRO LINGUE, L’ALTRO SOLO TRIESTINO. Perché Herrera era un calcolatore che si portava in viaggio una lavagnetta con cui spiegare le tattiche ai suoi giocatori, curava maniacalmente la preparazione psicologica ad ogni match, si svegliava al mattino e faceva yoga, viveva quasi da asceta, dava del lei a ogni giocatore e parlava fino a quattro lingue. L’opposto di Nereo Rocco che invece in bocca aveva sempre la battuta in triestino, ai giocatori non solo dava del tu ma ci faceva pure la doccia insieme, amava andare in trattoria e mangiare, oltre che bere. Ci sono due foto esemplari, una di fianco all’altra: il Paròn scherza coi suoi giocatori, giocando allo “Schiaffo del soldato”, mentre il Mago regge serio il pallone su cui fa giurare la squadra, per motivare Facchetti e compagni prima di un importante match. Diversi e rivali, come i cuori sportivi che battono a Milano, tenuti distinti pure nei due ingressi alla mostra (uno nerazzurro e l’altro rossonero) e nel doppio dorso del catalogo della mostra. Ma da quella contrapposizione si arrivò poi alla complicità, alla stima, e infine a un vero rapporto di affetto. Alle sfide a bordo campo fecero seguito le strette di mano e le pacche sulle spalle, gli incontri lontano dalla stampa e i messaggi di conforto dopo le disavventure. Come quando nel ’79 Rocco fu licenziato dalla Fiorentina, ed Herrera gli scrisse per consolarlo: «Caro Nereo, è proprio vero che nel nostro mondo i mona son troppi».
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