
Helen Dadayan, vittima della disumanità dell’Azerbaigian

Helen Dadayan è morta lo scorso 14 agosto in un tragico incidente sull’autostrada che collega la capitale dell’Armenia, Erevan, a Gyumri. La giovane studentessa universitaria di 21 anni è deceduta nello scontro tra un minibus e un tir insieme ad altre undici persone. Ma alla tragedia della sua perdita, per la famiglia della giovane donna, se ne aggiunge un’altra: l’Azerbaigian impedisce che il suo corpo sia trasferito nella città di Chartar, in Artsakh, dove la ragazza è nata e dove vivono i suoi parenti.
L’Azerbaigian affama gli armeni
Da 263 giorni il regime di Baku ha chiuso l’unica strada che collega i 120 mila armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh all’Armenia e al mondo esterno. Violando il diritto internazionale e calpestando i più elementari diritti umani, dal 15 giugno l’Azerbaigian impedisce anche ai camion della Croce rossa internazionale di attraversare il Corridoio di Lachin, cercando così volutamente di far morire di fame gli armeni e di convincerli ad abbandonare la loro terra.
Secondo testimonianze dirette raccolte dalla Bbc, cibo e medicinali in Artsakh sono sempre più scarsi. Gli armeni si alzano nel cuore della notte e percorrono chilometri a piedi per mettersi in coda davanti ai negozi e comprare il poco pane rimasto, molti «svengono mentre sono in fila». Il trasporto pubblico e privato è fermo, perché manca la benzina, al pari del gas e della corrente elettrica, tagliati da Baku.
Una morte su tre, secondo le autorità locali, è causata ormai direttamente dalla malnutrizione o accelerata da essa. «Conosco una donna incinta che ha perso il suo bambino perché non poteva raggiungere l’ospedale», racconta una donna. Altre non hanno abbastanza latte per sfamare i bambini appena nati e il latte in polvere non è più disponibile.
Il «progetto genocidario» degli azeri
La situazione è drammatica e il caso di Helen Dadayan dimostra alla perfezione la cruda realtà di quello che gli armeni ed esperti internazionali come Luis Moreno Ocampo, già procuratore della Corte penale internazionale, chiamano «progetto genocidario» dell’Azerbaigian a danno degli armeni.
Il regime di Ilham Aliyev, infatti, non sta solo tentando di far morire di stenti 120 mila armeni, non ha soltanto diviso intere famiglie, bambini compresi, che hanno avuto la sfortuna di trovarsi separati sui due lati del Corridoio di Lachin al momento della chiusura arbitraria, ma dimostra di non avere neanche un briciolo di pietà umana impedendo a una famiglia di seppellire una giovane donna morta in un tragico incidente.
Baku usa come arma il corpo di Helen
Da oltre due settimane i parenti di Helen chiedono invano alla Croce rossa internazionale di ottenere dall’Azerbaigian il permesso di far passare il cadavere della ragazza. Anche le forze di peacekeeping russe hanno cercato di trattare, finora senza risultati.
Se il corpo della giovane non può essere trasportato in Artsakh, ai parenti non è concesso di recarsi in Armenia per i funerali. A tanto arriva l’odio e il cinismo degli azeri, che fanno perfino dei resti di una giovane di 21 anni un’arma politica per portare gli armeni alla disperazione. Nell’indifferenza della comunità internazionale e dell’Unione Europea, che nella persona della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha avuto il coraggio di definire il dittatore Aliyev «partner affidabile» dopo la firma di un ricco contratto per la fornitura di gas all’Ue.
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