La vita dedicata a Cristo e agli altri di suor Luisa Dell’Orto ad Haiti

Di Marcella Catozza
28 Giugno 2022
«Eravamo rimaste da sole in un paese in cui si tamponano emergenze e non si costruisce mai niente, ma dove il sangue dei martiri un giorno farà generare la vita e la pace». Il ricordo di suor Marcella Catozza della missionaria uccisa a Port au Prince
Suor Luisa Dell'Orto Haiti
Suor Luisa Dell'Orto in un fermo immagine da un video su YouTube (Ansa)

Una suora lecchese di 65 anni, Luisa Dell’Orto, è stata uccisa sabato ad Haiti, nella capitale Port au Prince. Suor Luisa era una piccola sorella del Vangelo di Charles de Focauldad ed era missionaria ad Haiti da 20 anni. Pubblichiamo il ricordo di suor Marcella Catozza, anche lei missionaria ad Haiti e amica di suor Luisa, scritto per Tempi.

«Però se questo paese non fosse così non saremmo qui, non credi?». Mi rispondeva così suor Luisa ogni volta che, parlando, le ponevo la domanda se avesse ancora senso restare in un’Haiti che è diventata un inferno, un paese alla deriva, un paese in cui giovani e bambini non hanno futuro e il popolo non ha presente. Un paese in cui si tamponano emergenze ma non si costruisce mai niente.

Un paese in cui ci eravamo incontrate tanti anni fa, al mio arrivo in Haiti, anni in cui bianchi non ne giravano tanti, e tanto meno donne. Italiane eravamo in quattro: suor Luisa, Fiammetta di Avsi, Maddalena laica missionaria camilliana. E io, ultima arrivata nel 2006. Dopo tanti anni siamo ancora tutte e quattro qui. La vita ci ha diviso: Maddalena non è più nella capitale ma al nord del paese, Fiammetta è diventata la responsabile di un’importante Ong ed è presa da una mole enorme di lavoro, la violenza sulle strade non permette di spostarsi, incontrarsi e fare due chiacchiere come prima. Ma con suor Luisa invece eravamo rimaste legate. La scelta vocazionale ci univa prima di ogni altra cosa. La certezza di un sì detto a Cristo veniva prima di programmi e progetti per i poveri.

Ci sentivamo ogni due o tre giorni, ci lamentavamo del paese che cade nel baratro e del mondo che non se ne prende cura, ridevamo delle cose che ci erano successe, ci confrontavamo su come muoverci per il futuro e ogni sera si ritornava li, a quella fatidica domanda: perché vale la pena restare? Parlavamo una, due ore, a tarda serata, mentre i piccoli della Kay Pè Giuss dormivano e anche suor Luisa aveva chiuso le porte della sua amata Kay Charles. Era un pezzo di Chiesa. Quelle telefonate erano un pezzo di Chiesa nella mia vita, forse l’unico in Haiti, dopo la partenza di tanti amici missionari negli anni scorsi.

Anche lei da sola, le consorelle della Congregazione erano partite tante anni fa, ma lei non ha mollato, è andata avanti con coraggio, passione, fermezza. Negli articoli che in questi giorni stanno uscendo si parla del suo lavoro con i bambini, ma suor Luisa insegnava al seminario, formava i sacerdoti di domani in questo paese maledetto, costruiva la Chiesa. Ma è più facile parlare di bambini e di poveri, fa più scena, si è più santi. Invece la passione con cui seguiva questi ragazzi, il desiderio di formarli e aiutarli a vivere la loro vocazione mi stupiva ogni volta.

In questi giorni aveva seguito alcune tesi finali e si scusava di aver saltato qualcuno dei nostri appuntamenti telefonici perché presa dal lavoro di correzione dei testi. Discuteva con i professori ragionando su come l’esperienza religiosa fosse vissuta in Haiti a volte ai limiti della cattolicità. Ma ogni volta le restava la domanda su come, come poter essere di aiuto alla Chiesa di questo paese e alla sua gente.

Dedicata a Cristo e alla Chiesa. Plasmata dal carisma di Charles de Foucauld. Forte. Volitiva ma anche schiva e umile. In tanti anni non mi ha mai chiamato Marcella o Marci ma sempre suor Marcella a sottolineare che il centro dei rapporti è la vocazione, senza sbavature.

In queste sere sono più sola, più in silenzio. Occupo l’ora che trascorrevo con lei al telefono dicendo il Rosario, chiedendo alla Madonna che l’accolga e la introduca alla presenza di Dio in Paradiso, che le faccia incontrare il suo amato Charles, i santi, i suoi genitori, i compagni di strada che ha perso negli anni, che le faccia vedere che nella Gloria di Dio tutto ha un senso.

Anni fa, dopo il terremoto, i suoi nipoti Simone e Paolo, allora studenti di scuola superiore, erano venuti a trovarla per darle una mano in un momento tanto difficile e fare un’esperienza di volontariato. I ragazzi facevano parte della stessa esperienza di movimento che genera ed educa me, e suor Luisa mi aveva chiesto di accoglierli durante la mattinata per aiutarli a vivere l’esperienza guidata con i criteri della nostra storia: mi aveva colpito la libertà con cui mi aveva chiesto questa cosa che indicava il bene grande che voleva a questi ragazzi accompagnandoli senza pretesa nella strada della loro vita.

In queste ore pesanti, il pensiero va continuamente a lei, alla sua vita strappata così brutalmente da sicari prezzolati, così all’improvviso in questo maledetto paese dove la violenza mangia la bellezza del sole e del mare, ma dove il sangue dei martiri un giorno farà generare la vita e la pace.

Sabato sera l’antifona dei primi vespri diceva “Con volto risoluto Gesù mosse verso Gerusalemme, incontro alla Sua passione”: in queste ore la pace è sapere che qualsiasi strada saremo chiamati a percorrere nella vita, Lui l’ha già percorsa.

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