Guerra democratica ed ecologica, ma poco economica

Di Tempi
05 Maggio 1999
La settimana 16

Guerra democratica In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera e al quotidiano americano Herald Tribune, martedì 20 aprile, il ministro degli Esteri francese Hubert Vedrine ha dichiarato che l’obiettivo finale dei bombardamenti è, come d’altra parte titolava trionfale il Corriere, “far rientrare la ex Jugoslavia nell’alveo europeo e farla diventare un paese democratico”.

Notoriamente il miglior modo per riportare un paese “nell’alveo” della civile Europa e rafforzare le sue istituzioni democratiche è bombardargli strade, fabbriche, ponti, raffinerie, città, centrali elettriche, telefoniche ecc. Finiti i bombardamenti i serbi, uscendo da un cumulo di rovine fumanti, ringrazieranno lo spirito democratico dell’illuminata Francia e si sentiranno molto civili.

Uomini e panda Mercoledì 21 aprile, durante una seduta parlamentare quattro parlamentari verdi hanno inscenato una protesta contro la guerra nella ex Jugoslavia. Con la bocca coperta da mascherine hanno innalzato striscioni contro la Nato e scandito slogan contro i raid. La seduta parlamentare è stata sospesa e i deputati contestatori hanno spiegato che la protesta era contro i “rischi ambientali” che la guerra comporta.

In effetti, chissà quante specie animali sono a rischio sotto il fuoco delle bombe Nato. Per non parlare dell’inquinamento: forse anche un’eccessiva concentrazione di morti umani è inquinante… Fosse una barzelletta ci sarebbe da ridere, ma è tutto vero. A questo punto il timore è che proprio a coloro che dovrebbero guidare il Paese in un simile frangente stiano saltando anche gli argini del buon senso.

Economia di guerra A proposito di quanto potrebbe pesare la guerra sull’economia italiana (vedi Tempi n° 15, 22-18 aprile 1999), mercoledì 21 aprile il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio ha dichiarato che “una conseguenza logica del conflitto nel Kosovo sarà un rallentamento della crescita economica”. Secondo Sergio Billè, presidente della Confcommercio, “la guerra peserà sul Pil per lo 0,3% e, quindi, la crescita prevista dell’1,5% si ridurrà all’1,2%. Appena sopra la soglia della recessione”. Secondo indiscrezioni il governo sarebbe perciò costretto a varare una manovra correttiva da 12mila miliardi. Carlo Scognamiglio, ministro della Difesa, assicura che non ci saranno nuove tasse mentre dal ministero delle Finanze annunciano che, se necessario, i costi saranno coperti con una nuova estrazione del Superenalotto o, in ultima istanza, con un aumento della benzina.

I dati dell’Europa socialdemocratica parlano di un generale rallentamento dell’economia soffocata dai mille lacci e vincoli che ne imbrigliano il mercato. Mancava giusto la guerra: con un po’ di impegno “il nano politico e verme militare”, secondo una definizione americana dell’Europa, potrà vedere ridimensionata anche la sua statura di “gigante economico”. Come profetizzava il celebre economista liberal americano Lester Thurov in un suo libro di qualche anno fa, “Head to head”, dopo il secolo americano il terzo millennio si sarebbe aperto non con il “testa a testa” economico-politico tra Usa e Giappone (come si pensava ancora agli inizi degli anni ’90), bensì con quello tra America e Europa. Forse, solo i socialdemocratici europei e i professori di Liberal non si sono ancora accorti che la guerra può essere anche una forma di concorrenza condotta con altri mezzi.

Appello per la pace Il collettivo “Non à la guerre” (che risponde a un indirizzo francese: BP 9, F-95240 Cormeilles) ha diffuso un appello contro la guerra per “l’apertura di veri negoziati politici e diplomatici miranti a conciliare le parti attorno a un piano di pace duratura, cioè rispettosa del diritto di tutti i popoli a disporre del proprio destino”. L’appello è stato sottoscritto, tra gli altri, dallo scrittore russo Aleksander Solzenicyn, il direttore del settimanale “Marianne” Jean-François Kahn, gli storici Max Gallo e Franco Cardini, abbé Pierre fondatore della comunità di Emmaus, il ricercatore Bruno Etienne, gli scrittori Peter Handke e Aleksander Zinoviev, il filosofo Thomas Molnar e decine di altri noti personaggi della cultura internazionale oltre a una lunga lista di persone comuni.

Considerata la scarsa eco avuta da questo appello nonostante il lungo elenco di personaggi famosi che lo sottoscrivono, si capisce come oggi le ragioni della pace siano molto meno popolari di quando si urlava “meglio rossi che morti”.

Governo d’azzardo Boom di incassi per il fisco grazie alla passione degli italiani per i giochi che nel 1998 hanno fruttato all’erario ben 15.847 miliardi con un incremento del 43% rispetto al 1997. Il merito va soprattutto al Lotto e al Superenalotto. Mentre dall’Irpeg, cioè l’imposta sui redditi da impresa, le Finanze hanno incassato 41.051 miliardi, cioè 4050 miliardi in meno del 1997.

Se, come spiega la scienza statistica (Tempi n° 47 anno 2, 11 dicembre 1996) la febbre del gioco sale in proporzione alle difficoltà economiche di un paese per le quali madri e padri di famiglia sono indotti a tentare la fortuna; e se il benessere economico di un paese si misura dalla capacità delle sue imprese di produrre ricchezza, questi dati indicano che le aziende sono in crisi, le famiglie pure e anche noi non ci sentiamo troppo bene… E che, per intanto, siamo nelle mani di un governo biscazziere abile a giocare d’azzardo, ma incapace di fare il suo dovere.

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