Grecia. Perché Mitsotakis, pur avendo vinto, chiede di rivotare

Di Rodolfo Casadei
23 Maggio 2023
Il premier ha doppiato gli avversari, ma vuole tornare alle urne con un sistema diverso per avere la maggioranza. Come sta il paese, tra segnali positivi e negativi
Il primo ministro e leader di Nuova Democrazia, Kyriakos Mitsotakis vota ad Atene, Grecia, 21 maggio 2023 (Ansa)
Il primo ministro e leader di Nuova Democrazia, Kyriakos Mitsotakis vota ad Atene, Grecia, 21 maggio 2023 (Ansa)

Come spesso accade, i sondaggi non ci hanno preso quasi per niente: Nuova Democrazia, il partito liberal-conservatore del premier Kyriakos Mitsotakis, doveva vincere le elezioni politiche di domenica scorsa con 6 punti di vantaggio su Syriza, il partito di sinistra dell’ex capo del governo Alexis Tsipras (2015-2019), e invece ha vinto con ben 20 punti di vantaggio, raccogliendo addirittura il doppio dei voti: 40,8 per cento contro 20,1 per cento.

La tornata elettorale doveva essere caratterizzata da un alto tasso di astensionismo, a motivo dello scetticismo e della delusione prevalenti presso l’elettorato greco, provato da tredici anni di austerità, e invece si sono recati alle urne il 61 per cento degli aventi diritto, cioè una percentuale in linea con i tassi registrati nell’ultimo decennio (solo nel 2009 la partecipazione aveva superato il 70 per cento).

Una previsione facile

I sondaggi prevedevano significativi successi per i partiti antisistema: Mera25 dell’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, esponente dell’estrema sinistra, i populisti di destra di Soluzione greca, i comunisti stalinisti del Pkk. Solo questi ultimi sono stati effettivamente premiati dalle urne, che gli hanno permesso di passare da 15 a 26 seggi. Il partito di Varoufakis non è riuscito nemmeno a entrare in parlamento.

Su una cosa sola i sondaggi ci hanno azzeccato, ma era una previsione molto facile: nessun partito avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi, e così è stato, ma solo a causa della legge elettorale in vigore, risalente all’epoca in cui governava Tsipras.

Il paradosso elettorale

Per due volte, quest’anno e nel 2019, i greci hanno votato secondo le vecchie leggi elettorali anziché secondo quelle nuove approvate dal parlamento in carica, perché quelle nuove non avevano ottenuto i due terzi dei voti al momento dell’approvazione e quindi sarebbero entrate in vigore sì, ma solo dopo una tornata elettorale svolta secondo la vecchia legge.

Da qui il paradosso che vede Mitsotakis vincitore con un punto percentuale in più di cinque anni fa (40,8 contro 39,8 per cento dei voti), ma portando a casa ben 12 seggi in meno rispetto ad allora, perché quando vinse le elezioni di quattro anni fa vigeva un sistema uninominale con bonus di 50 seggi per il partito primo classificato, mentre stavolta il sistema era proporzionale e il premio di maggioranza scattava solo se un partito conquistava almeno il 45 per cento dei voti.

La nuova legge

La prossima elezione si terrà sulla base della legge elettorale promossa dal governo uscente, che ripristina il bonus di seggi per il partito che si classifica al primo posto con un risultato compreso fra il 25 e il 40 per cento dei voti, e proporziona il bonus di seggi alla percentuale di voti ricevuti.

Da ciò si comprende perché Mitsotakis abbia già dichiarato che non farà governi di coalizione, ma punterà allo svolgimento di nuove elezioni a fine giugno o inizio luglio (praticamente certe, perché coi risultati usciti dalle urne i partiti dell’opposizione di sinistra non raggiungono la maggioranza assoluta parlamentare nemmeno sommando i seggi di Syryza con quelli dei socialisti del Pasok e con quelli dei comunisti del Pkk), nelle quali gli basterebbe ripetere il risultato del 21 maggio per garantirsi la maggioranza assoluta in parlamento.

Da ciò si comprende anche perché la Borsa di Atene abbia festeggiato la vittoria dei liberal-conservatori, benché non risolutiva per la formazione di un governo stabile, con un più 6,7 per cento del valore dei titoli dell’indice principale, e perché i titoli del debito greco a 10 anni siano scesi a un tasso di interesse del 3,93 per cento, migliore dell’equivalente italiano (4,16 per cento).

Come sta la Grecia

La vittoria di Mitsotakis è figlia della strana miscela di soddisfazione e rassegnazione che regna nell’elettorato greco: le cose vanno meglio che al culmine delle politiche di austerità imposte da Ue, Bce e Fmi negli anni fra il 2008 e il 2018, ma il paese resta più povero di quanto fosse prima dello scoppio della crisi finanziaria del 2008, e nessuna politica diversa da quelle finora messe in campo su pressione dei creditori appare credibile o praticabile.

I titoli del debito greco sono a un passo dall’investment grade, cioè dal ritorno all’affidabilità di investimento che è andata persa ben tredici anni fa, dopo che nell’aprile scorso S&P ha migliorato la loro valutazione a BB+/B con prospettiva positiva.

Segnali positivi

La Grecia ha segnato una delle migliori riprese economiche post-Covid in Europa, con una crescita del Pil dell’8,4 per cento nel 2021 e del 5,9 per cento l’anno scorso. I crediti in sofferenza delle banche sono scesi dal 50 per cento del totale nel 2016 al 7 per cento attuale. Dopo essere arrivato al 206 per cento, il debito pubblico in percentuale del Pil è sceso al 171 l’anno scorso, e si prevede che se le politiche resteranno le stesse dell’ultimo governo nel 2026 sarà sceso al 135 per cento: si realizzerebbe così il sorpasso sul debito pubblico italiano, che scende più lentamente e che fra tre anni dovrebbe essere attestato intorno al 136 per cento secondo S&P.

Il tasso di disoccupazione, che nel 2013 era arrivato al 27 per cento, da allora è costantemente diminuito e oggi è valutato all’11 per cento. In aprile il salario minimo è stato portato a 910 euro al mese, tornando così per la prima volta a un livello superiore a quello di dodici anni fa.

Segnali negativi

Ma non è tutto oro quello che luccica: il tasso di indebitamento sta scendendo rapidamente anche grazie al fatto che il tasso d’inflazione è decisamente alto, superiore all’11 per cento. Gli stipendi restano inferiori di un buon 25 per cento a quelli del 2009, e la Grecia risulta essere il terzo peggior paese dell’Unione Europea per quanto riguarda la popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale (superata solo da Romania e Bulgaria).

La produttività resta di un 20 per cento inferiore a quella del 2007 e la popolazione in età di lavoro (15-64 anni) è scesa da 7,4 a 6,7 milioni di unità, per effetto soprattutto della “fuga dei cervelli”: nel giro di dieci anni si calcola che un milione di greci diplomati o laureati altamente qualificati abbia abbandonato il paese alla ricerca di condizioni lavorative migliori. Il governo Mitsotakis ha cercato di riportarli a casa, offrendo esenzioni fiscali importanti (50 per cento in meno di Irpef da versare per sette anni di seguito) a chi accetta un impiego in Grecia o apre un’attività autonoma, ma finora il ministero incaricato delle procedure ha ricevuto soltanto 1.689 domande (ne sono state accettate 1.232). Il trattamento pensionistico e l’assistenza sanitaria dei contratti di lavoro greci non sono paragonabili a quelli dei paesi dove la maggior parte dei “cervelli” greci è emigrata (Germania, Regno Unito e Olanda).

A orientare una maggioranza di elettori su Mitsotakis e la sua Nuova Democrazia sarebbero anche preoccupazioni di politica estera: le tensioni fra Grecia e Turchia nel mare Egeo restano alte, e con la prospettiva di una rielezione di Erdogan a capo dello Stato turco il 28 maggio p.v., appare auspicabile che anche Atene disponga di un governo che non sia indebolito da trattative e ricatti fra partner di coalizione.

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