
Greci in miseria, ma con i conti in ordine. I “benefici” dell’austerity

Articolo tratto dal numero di Tempi di novembre
Quando il 20 agosto scorso il commissario europeo per gli Affari economici Pierre Moscovici ha annunciato la fine del programma di salvataggio della Grecia affermando che «le grandi riforme che la Grecia ha realizzato hanno preparato il terreno a una ripresa sostenibile. (…) Adesso Atene può finalmente girare la pagina di una crisi che è durata troppo a lungo. Il peggio è alle spalle», probabilmente ha realizzato il record della dichiarazione più mendace di tutta la storia dell’Unione Europea.
La Grecia che esce dagli otto anni di cura della Troika (Commissione europea, Bce e Fondo monetario internazionale) non ha nessuna speranza di riprendersi, nonostante Bruxelles affermi il contrario. Per evitare il tracollo delle banche tedesche e francesi che avevano prestato imprudentemente miliardi di euro al paese di Omero o in alternativa il collasso della moneta unica europea, l’Unione Europea ha imposto a un paese insolvente di accumulare ulteriore debito sotto forma di “aiuti”. Dei 290 miliardi di euro dei tre pacchetti di intervento messi insieme facendo la colletta fra i paesi europei, 230 sono andati alle banche straniere creditrici. Dopo otto anni di cure a base di tagli delle pensioni, della sanità e dei salari e di aumenti delle tasse, il Pil greco è inferiore del 25 per cento a quello pre-crisi, la disoccupazione è più che raddoppiata al 20 per cento (44 per cento quella giovanile), il rapporto debito pubblico/Pil si è degradato dal 120 per cento al 180 per cento, gli investimenti si sono contratti del 70 per cento, 420 mila greci in età lavorativa su una forza lavoro totale di 4 milioni e 880 mila sono emigrati all’estero e i greci con un posto di lavoro sopportano prelievi fiscali e previdenziali in busta paga pari al 39 per cento dei salari, secondi in classifica fra i paesi Osce dopo la Francia (l’Italia è terza), ma in cambio di un welfare miserabile; infatti i poveri ammontano ora al 20 per cento della popolazione, mentre nel 2009 erano solo il 2 per cento.
CONDIZIONI IRREALISTICHE
Però i conti sono in ordine e la ripresa è iniziata, dicono a Bruxelles, dove si vantano di avere prestato soldi ad Atene a tassi di favore e procrastinando la scadenza delle restituzioni fino al 2060, quando il rapporto debito/Pil dovrebbe essere sceso al 100 per cento. Ma le condizioni poste sono totalmente irrealistiche: la Grecia dovrà rispettare un avanzo primario di bilancio pari al 3,5 per cento del Pil fino al 2023, e poi pari al 2 per cento fino al 2060, un obiettivo mai raggiunto da nessun paese europeo. Per fare il paragone con l’Italia: siamo in avanzo primario da 28 anni, ma solo fra il ’95 e il 2000 esso è stato superiore al 3,5 per cento, mentre in 13 anni su 28 è stato pari o inferiore al 2 per cento. E con tutto questo il rapporto debito/Pil italiano è salito dal 105 per cento del 1992 al 131,5 per cento dell’anno scorso.
Bloomberg ha fatto una simulazione realistica, prevedendo un avanzo primario greco del 2 per cento fino al 2023 e poi dell’1 per cento fino al 2060, e il risultato è che il debito greco raggiungerà il 275 per cento in quel lontano anno. Lo stesso Fondo monetario internazionale ha bocciato lo schema dell’Unione Europea, scrivendo nero su bianco che senza la cancellazione pura e semplice di almeno il 50 per cento del debito greco (150 miliardi di euro) per la Grecia non c’è speranza.
Come possa tornare la crescita economica nel paese non si riesce proprio a capire: la domanda interna è stata azzerata dall’austerità, il mercato immobiliare è fermo (i prezzi sono caduti del 42 per cento rispetto all’epoca pre-crisi) e le banche non sono in grado di prestare denaro per i consumi o per investimenti a causa del fatto che il 48 per cento di tutti i prestiti per mutui, attività imprenditoriali, eccetera sono diventati crediti in sofferenza. A causa dell’emigrazione e dell’invecchiamento della popolazione la forza lavoro si ridurrà dell’1,1 per cento all’anno per i prossimi 40 anni. Si attendono investimenti dall’estero, ma con lo Stato impossibilitato a spendere in joint ventures e i privati poco o nulla solvibili, le speranze rischiano di andare deluse.
L’unica soluzione sembra essere la vendita del paese al migliore offerente straniero, ma anche il programma di privatizzazioni finora ha portato solo 6 miliardi di euro anziché i 50 previsti. La Grecia sembra pronta per un’Opa cinese. L’antipasto è già stato servito con l’acquisto della quota di controllo del porto del Pireo da parte della cinese Cosco due anni fa con un investimento di 280 milioni di euro.
Foto Ansa
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