
Grazie a Dio, lo Stato è in crisi
«Gloria a Dio»: cosa dà gloria a Dio? La vita, in tutte le sue infinite e meravigliose forme. Cosa toglie gloria a Dio? La morte in tutti i suoi innumerevoli aspetti. «Amante della vita», creatore di tutte tutte le cose per amore («se avessi odiato qualcosa non l’avresti neppure creata», dice il libro della Sapienza), Dio non crea per la morte ma per la vita. «La morte è entrata nel mondo per invidia di Satana», ma i piani di Dio sono disegni di vita. Tanto che per combattere la morte il Padre manda il Figlio. E grazie a Cristo la morte è «ingoiata per la vittoria».
La vita è una battaglia
«Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede», scrive Paolo di Tarso. Quale battaglia? Quella a favore di Dio e del suo amore onnipotente, vittorioso di ogni malattia, di ogni ingiustizia, di ogni sofferenza. Ma perché la battaglia? Perché la morte con cui dobbiamo fare i conti – insieme alle malattie e alle sofferenze che la precedono – produce una tale lacerazione nelle nostre anime che ci mette in una situazione di tentazione. La tentazione di fede di pensare che Dio non c’è. O non si cura di noi. O non è Padre. Perché è proprio la paura della morte che ci rende «soggetti a schiavitù per tutta la vita». Sapendo questo, i cristiani hanno sempre combattuto: per dare gloria a Dio e testimoniare che la morte è vinta. Lo hanno fatto esercitando la carità in una miriade di forme: quelle che le esigenze dei tempi suggerivano. Innanzi tutto lo hanno fatto a favore di tutti i tipi di debolezza. Di chi aveva più bisogno di essere confortato e aiutato nella buona battaglia: i moribondi, i malati, gli abbandonati, i poveri, i condannati a morte, gli appestati, i trovatelli, le ragazze senza dote, i pellegrini. I bambini che hanno bisogno di istruzione come le prostitute, gli assassini, i ladri, gli alcolizzati, i cadaveri abbandonati. La civiltà cristiana da subito si è specializzata nella cura dei fratelli nel bisogno. È così che la Chiesa si è dotata di una quantità innumerevole di congregazioni religiose e di opere pie che hanno costruito una capillare ragnatela di salvataggio per le persone in difficoltà. È così che nel Medioevo ogni persona faceva parte di una o più confraternite. E ogni confraternita, che fosse di origine professionale o di quartiere o di parrocchia o sacramentale, aveva una propria cappella in cui sostenere la carità nell’unico modo che la rende possibile e feconda: la preghiera. È così che l’Europa – e l’Italia in particolare – si è dotata di tutto quel patrimonio di bellezza, di chiese grandi e piccole, sculture, dipinti, oggetti e arredi sacri, in cui la creatività cristiana ha capillarmente manifestato la propria riconoscenza a Dio creatore e perfezionatore della vita.
I figli degli illuminati
La cultura moderna, fondata sul rigetto del cristianesimo, ha voluto sbarazzarsi di tutto questo. Gli “illuminati” delle varie correnti, certi di fare meglio, hanno dato vita ad una carità razionale direttamente gestita dallo Stato, nella convinzione che lo Stato fosse di per sé dispensatore di uguaglianza e, quindi, di giustizia. La Rivoluzione Francese, Napoleone, il liberalismo e il comunismo, hanno fatto tabula rasa di tutte le confraternite, di tutte le congregazioni, di tutte le opere pie. La civiltà moderna ha ostentatamente voluto dimostrare che “vivere come se Dio non ci fosse” non è solo possibile ma anche auspicabile. Che le cose vanno meglio se si prescinde dalla Rivelazione e dalla Chiesa che la interpreta. Oggi questo tentativo è arrivato al capolinea. Non solo perché lo Stato non ce la fa più economicamente, ma perché la cultura egemone ha gettato la maschera. Nel 1845 lo storico massone Giuseppe La Farina – uno dei protagonisti del Risorgimento – in polemica coi cattolici scriveva: «Fuvvi un tempo, né molto da noi discosto, nel quale chi avesse parlato dell’istruzione popolare, sarebbe stato, più che un utopista, un pazzo. Non era già che gli uomini non sentissero i santi dettami della carità; ma essi eran persuasi esercitarsi la carità buttando un pane al povero che dice: ho fame; un mantello al povero che dice: ho freddo. Or la carità non è solo quella che nutre – questa è carità da bestie – la vera carità nutre ed educa, perché l’uomo non vive del solo cibo del corpo, ma anche di quello dello spirito. L’educazione morale ed intellettuale non è, né debb’essere il retaggio esclusivo de’ natali e dell’opulenza; è il cibo delle anime, e le anime sono tutte uguali agli occhi della natura e di Dio». Gli “illuminati” di oggi hanno fatto un passo avanti rispetto a La Farina. Sono passati alla teorizzazione che è meglio non praticare nessun tipo di carità. O perlomeno chiamano carità l’omicidio. Mutando il significato delle parole, dichiarano l’eutanasia più caritatevole dell’assistenza al malato fatta di affetto paziente, amoroso, vigile, intelligente. Chiamano amore per gli handicappati la loro soppressione nel grembo materno. Ritengono auspicabile la pianificazione di figli a proprio piacimento, magari dilettandosi in qualche clone che eternizzi la nostra perfezione e ci offra al contempo qualche pezzo di ricambio. Recentemente un luminare quale Christian Barnard, il primo a praticare trapianti di cuore, ha avuto un incubo che ha raccontato come fosse un sogno (riportato a grandi titoli dai giornali): ha pensato di fare felici le famiglie dando loro bambini geneticamente perfetti. I figli dei migliori.
Non si può vivere senza bellezza
Senza arrivare a tanto, il risultato della razionale pianificazione dei bisogni gestita dallo Stato è sotto gli occhi di tutti. Basta vedere le scuole: è considerato normale che i nostri ragazzi passino la maggior parte della loro giornata in un ambiente che farebbe schifo ai porci. Mura di tutti i colori con ogni tipo di scritta, così le sedie, per non parlare dei banchi. Alle pareti vecchie foto o manifesti spiegazzati e sdruciti che danno prova del concetto di bellezza che va per la maggiore. E della dignità che si ritiene propria di un uomo. Per non parlare dei morti. Quasi tutti oggi muoiono in ospedale. Qui i cadaveri vengono sottratti ad amici e parenti per essere esposti un’ora prima di essere definitivamente sigillati in una bara. Le camere mortuarie poi sono peggio delle scuole. Specie di sottoscala cadenti, torbidi e bui dove i cadaveri abbandonati giacciono come spazzatura. E tali sono considerati. Questa nostra cultura mostra il trionfo della morte. Fa una catechesi all’incontrario. Mostra che non c’è niente da sperare e che l’unica cosa da fare è vivere facendo finta di non vedere. Mostra che la vita dell’uomo, se non c’è bellezza, giovinezza, forza e potenza, prima finisce meglio è. È una fortuna che lo Stato non ce la faccia più a gestire la carità da solo. I cristiani possono ricominciare la buona battaglia. Quella che combatte la disperazione – che sta per tutti dietro l’angolo – con l’amore per la vita in tutte le sue forme. Con la bellezza e il decoro che spettano di diritto ai candidati alla vita eterna che sono tutti gli uomini.
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