Grasse intese. Il governo delle banche alla fase due

Di Alessandro Giuli
30 Novembre 2006
Mentre Prodi inanella vittorie sullo scacchiere dell'alta finanza, i Ds ancora cercano riscatto dopo la batosta Unipol. È una guerra di uomini e poltrone

Secondo una regola aurea della finanza, bisogna rimanere immobili quando tutto intorno si agita e muoversi soltanto quando gli altri si fermano. Secondo una regola basilare del potere, finché c’è posto per tutti è bene evitare il conflitto; ma in ogni caso le alleanze sono sempre a geometria variabile. Combinando queste due profonde ovvietà diventa più facile comprendere cosa significa la cosìddetta “fase due” di governo, nel cuore dei Ds, e cosa può diventare nel ventre mai sazio del prodismo bancario. Lì dove per “fase uno” non bisogna soltanto intendere il manovrare malmostoso e incerto impresso fin qui dal premier, condizionato ampiamente dall’ala radicale dell’Unione, al proprio governo. Perché di risultati il Prof bolognese ne ha ottenuti più di quanto forse appaia a un occhio ingenuo. E quasi tutti non disprezzabili perché maturati in campo economico. Li ha riassunti da ultimo, se pure con molta enfasi, il Riformista diretto da Paolo Franchi, come a sigillare l’avvenuta – temporanea? – pacificazione tra la Quercia e la merchant bank di Palazzo Chigi dopo la stagione storpia e cruda del caso Unipol-Bnl.
Di Romano Prodi si sa che ha nella superbanca Intesa-SanPaoloImi un istituto di riferimento grande e forte guidato dall’amico Giovanni Bazoli e dal più giovane Corrado Passera, azionisti di minoranza ma in forte crescita dentro Rcs (Corriere della Sera). Si sa anche che la banca di Bazoli, frutto di una fusione oligarchica che non è troppo piaciuta al governatore di Bankitalia Mario Draghi, è attualmente l’unica che possa mirare all’egemonia in Mediobanca e Generali, la cassaforte del potere finanziario nazionale. Si sa infine che questa super banca si sta proiettando nella scena internazionale con grande appetito. Prima preda: il terzo istituto di credito egiziano (Bank of Alexandria), fagocitato all’80 per cento con la benedizione crassa di Romano Prodi.
Si aggiunga a questo il successo recentissimo, per quanto non definitivo, sulla partita Telecom. Cioè il fatto che, con il solo sacrificio (si fa per dire) del fido Angelo Rovati (come un alfiere nel gioco a scacchi), Prodi ha costretto all’arrocco rabbioso Marco Tronchetti Provera (dimissionario e contropattista nel vertice dell’azienda di telefonia) e la filiera dei suoi amici in Rcs (Diego Della Valle e Luca di Montezemolo). E ancora: si tenga conto che negli ultimi mesi Prodi ha per lo meno assistito all’ascesa di alcuni suoi consanguinei ai vertici dei servizi segreti, della Rai (Gianni Riotta al Tg1) e presto anche della maggiore agenzia di stampa italiana (l’Ansa), fermo restando che potrebbe riuscire il colpaccio di raggrupparle attorno pure le altre, con la scusa del riordino dei fondi per l’editoria. Giudizio sospeso sull’affare Autostrade-Abertis, sul quale pende il verdetto inespresso dell’Europa ma che di fatto vede declinare un altro sodale di Tronchetti Provera, il gruppo Benetton. Non male, considerato che siamo a nemmeno otto mesi dall’insediamento del nuovo esecutivo.
Si potrebbe allora sentenziare così: aveva ragione Orazio Carabini quando scriveva, qualche giorno fa sul Sole 24 Ore, che la formidabile merchant bank di Palazzo Chigi sta infliggendo ai Ds una seconda umiliazione dopo il fallimento delle acrobazie azzardate due estati fa da Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti. È vero ma solo in parte. Nella realtà i dirigenti della Quercia si stanno muovendo, e senza nemmeno evitare di dare nell’occhio. La fase due, in mancanza di sicurezza politica, per Piero Fassino e Massimo D’Alema prevede solide manovre di assestamento finanziario. Una di queste è la sistemazione di Alfonso Iozzo alla presidenza della Cassa depositi e prestiti. Un gran colpo, se si considera che la grande banca pubblica (quasi un Istituto per la Ricostruzione Industriale aggiornato ai tempi attuali) potrebbe rivelarsi centrale nelle grandi partite economiche sui buchi neri industriali italiani: da Alitalia a Ferrovie dello Stato. In altre parole i Ds guadagnano terreno, ma senza contrapporsi violentemente a Prodi, lì dove transitano i dossier nazionali che contano.

L’agitato Rutelli e la questione morale
Oltretutto Iozzo libera un posto d’onore proprio nella SanPaoloImi da poco fusa con la bazolian-prodiana Intesa, lì dove resta con fuligginosa prospettiva un altro campione del Botteghino, inviso a Passera ma non a Bazoli: Pietro Modiano. Cosa significa? Dipende dalla fine di Modiano, dato forse in esubero con eccessiva fretta all’indomani del matrimonio finanziario meneghino-torinese. Se Modiano resiste e prospera, verosimilmente diventerà l’espressione vivente del patto dei patti stabilito tra Ds risorgenti e prodiani dilaganti. Diversamente, chissà. Certo è che quando Fassino sbraita contro il provincialismo di Bazoli per l’abbandono della piazza strategica sudamericana («un assassinio»), oltre a fare una figura un po’ rozza (in quelle stesse ore la Santa-Intesa sbarcava in Egitto), segnala un nervosismo preventivo tutto da indagare.
Non è escluso – ma siamo nel campo vaporoso delle suggestioni psico-finanziarie – che il rinnovato interesse dei bazoliani per Alitalia, concomitante all’agitazione forsennata di Francesco Rutelli sul fronte francese, generi negli ex comunisti una specie di madeleine politica dolorosissima. Perché rievoca il tribunale partitico-economico che condannò i Ds alla gogna etica in quanto colpevoli d’intelligenza col nemico. E siamo sempre lì, all’estate dei furbetti del quartierino intimamente legati a Consorte e Sacchetti e alle loro “provviste” su conti esteri.
Ma siamo lì anche perché nella parziale ricostruzione di quell’orizzonte così indecidibile si sta consumando un attacco grandioso agli azionisti di Rcs più in difficoltà. Guardacaso sono i soliti avversari di Prodi. Cioè Tronchetti Provera, Della Valle e Montezemolo (dunque anche la quota più mondana di Fiat) che vengono stritolati dal vice direttore ad personam del Corriere della Sera, Massimo Mucchetti, insieme con il loro direttore totemico Paolo Mieli. Mucchetti ha appena pubblicato un libro (Il Baco del Corriere, Feltrinelli) amatissimo dalle anime belle della riserva giornalistico-moraleggiante che piace ai ragionieri calvinisti persi nel sogno di assomigliare a Enrico Cuccia.

Tutti pazzi per Profumo
Inutile insistere sul fatto che Mucchetti – il quale comunque sa documentare le proprie intemerate – colpisce con precisione quasi tecnologica. E lascia fra le macerie del suo ordigno editoriale anche il patron di Capitalia, Cesare Geronzi. Ora, non è trascurabile il fatto che Geronzi, con la sua Capitalia, rappresenti un ostacolo credibile all’invasione della finanza bazolian-prodiana in Mediobanca e Generali. Per opporre una resistenza plausibile c’è bisogno che l’istituto romano si mostri molto appetibile nei confronti della mitteleuropea (ma equa e solidale) Unicredit di Alessandro Profumo, se non altro prima che i banchieri olandesi (Abn Amro) dilaghino a Roma dove il giovane Matteo Arpe (ad di Capitalia) è sempre pronto ad abbassare il ponte levatoio. Geronzi avrebbe in mente di allestire una specie di Grande coalizione bancaria con la sinistra, se necessario perfino con i senesi di Mps, i quali a loro volta devono difendersi dai baschi del Bilbao. Ma certo Unicredit sarebbe il partner ideale per togliere un po’ di ossigeno a Bazoli.
Sicché non è casuale che Prodi stia cercando ultimamente di attrarre Profumo nell’orbita dei banchieri che non hanno bisogno di bussare a Palazzo Chigi (è direttamente la presidenza del Consiglio a ricercarli). Su questa scia si muove anche il timone diessino. Basta leggere la lista degli invitati al “gran consiglio” finanziario che la fondazione dalemiana ItalianiEuropei ha convocato dall’1 al 3 dicembre a Milano. Fra loro luccicano i nomi di Montezemolo e Profumo. Il secondo è come una gemma nello scrigno diessino, il primo è uno di quelli che arrancano nel tentativo di reinventarsi un ruolo di prim’ordine (magari anche in politica, chissà) e fino a poco tempo fa sorrideva nei convegni economici organizzati a Frascati dalla Margherita rutelliana. In effetti anche Rutelli, sempre così benvoluto dal Corriere mielista (quello antiprodiano e antidiessino), quanto ad appannamento non può invidiare nessuno.

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