La preghiera del mattino

Così il governo prova a resistere a chi vuole destabilizzarlo

Di Lodovico Festa
23 Agosto 2023
Rassegna ragionata dal web su: il lavoro di Crosetto e Nordio per ricostruire un senso dello Stato, l'establishment che punta a indebolire il potere politico, il patto Meloni-Salvini
Meloni Salvini
La premier Giorgia Meloni e il vicepremier Matteo Salvini (foto Ansa)

Fanpage riprende Guido Crosetto: «Mi permetto di dolermi di quanto trovo davvero drammatico e cioè che, soprattutto chi si definisce “di destra” e si riempie la bocca dei concetti di Patria, Onore, Tradizione e Orgoglio nazionale, dimostri di non conoscere, o conoscere davvero poco, cosa vuol dire avere senso dello Stato, delle Istituzioni, rispetto delle leggi italiane e della Costituzione repubblicana».

Il lavoro che stanno facendo due ministri come Crosetto e Carlo Nordio è prezioso non solo per la destra ma per la Repubblica: al fondo è quello di ricostruire un “senso dello Stato” che la lunga stagione di destabilizzazione della nostra democrazia ha profondamente logorato e che implica che un uomo dello Stato, quando esercita un ruolo delicato (spedire in galera dei cittadini o mandare a morire dei giovani per difendere l’Italia) non sia condizionato solo dalla Legge ma anche un codice deontologico a cui deve rispondere. Il ministro della Difesa può muoversi con più agilità nel difendere il “senso dello Stato” mentre quello della Giustizia è opportunamente condizionato dalla necessaria indipendenza dei giudici e quindi da un organismo come il Csm, ahimé troppo influenzato dall’organizzazione ultracorporativa della magistratura.

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Su Startmag Francesco Damato scrive: «”Se faremo qualcosa – ha detto Alemanno a Libero del 15 agosto parlando ambiziosamente al plurale – non sarà la destra della destra, ma un movimento aperto a tutti coloro che si aspettano un vero cambiamento, quindi anche chi viene da sinistra, dal Movimento Cinque Stelle e chi vorrà”, magari pure dalla Lega. Dalla quale si sospetta peraltro che sotto sotto l’ex sindaco di Roma venga corteggiato da tempo, persino con l’offerta di una candidatura nelle liste del Carroccio, come indipendente o in forma federativa con un suo movimento, nelle elezioni europee dell’anno prossimo. Poi nel nuovo Parlamento di Strasburgo non dovrebbe creare certo problemi ad Alemanno la confluenza in un unico gruppo con la destra francese di Marine Le Pen. Che è quella contro la quale dall’Italia il segretario forzista Antonio Tajani, mostrando di parlare anche a nome e per conto del ben più vasto Partito Popolare Europeo, ha messo un veto che Giorgia Meloni ha contestato nella stessa intervista nella quale ha rivendicato il merito di avere deciso da sola, nel governo, di tassare gli extraprofitti bancari derivati dall’aumento dei tassi d’interesse».

Al di là dell’audience che trovano le mosse di zombie come Gianni Alemanno, è interessante notare come alcuni media già autorevoli utilizzino anche vecchie glorie come Mario Borghezio per accusare la Lega di cedevolezza sugli immigrati o Roberto Castelli per denunciare la mancanza di impegno di Matteo Salvini per l’autonomia regionale. È evidente come tutto ciò derivi anche dall’orientamento di ampi settori dell’establishment, tesi a contrastare qualsiasi tentativo di rendere il potere politico italiano contendibile, puntando a indebolirlo in modo che sia fondamentalmente condizionabile. È comprensibile che in questo contesto a destra di facciano mosse per contrastare le operazioni di destabilizzazione, cercando anche in qualche modo di assorbirle come tenta di fare Giovanni Donzelli, al quale bisognerebbe però consigliare di andare a lezione da Crosetto per imparare bene che cosa sia il senso dello Stato.

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Su Dagospia si riprende un articolo di Lucia Annunziata sulla Stampa: «Quello che pare l’unico vero trend della politica attuale: il progressivo consolidarsi di un asse populista tra Giorgia Meloni e Giuseppe Conte».

Bizzarra l’operazione di Annunziata che denuncia – sempre nel quadro delle manovre destabilizzatici – la Meloni per filo grillismo, scambiando le mosse di un avventuriero privo di cultura politica ma dotato di grande furbizia tattica come Giuseppe Conte per la costituzione di un asse tra Cinque stelle e FdI. In realtà i seguaci di Beppe Grillo hanno un’unica vera base, quella di certe aree di disperazione sociale che cercano peronisticamente assistenza invece che lavoro (attività sindacale), e un unico grande alleato internazionale cioè la Cina. E in questo senso sono strutturalmente antimeloniani.

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Su Open Giovanni Ruggiero scrive: «Domenica scorsa la premier Giorgia Meloni e il vice Matteo Salvini si sono visti per circa quattro ore nella blindatissima masseria Bonifacio, a Ceglie Messapica nel Brindisino dove la premier ha scelto di trascorrere le sue vacanze agostane con famiglia al seguito. In Puglia, tra Monopoli e Polignano a mare, anche il leader leghista con la compagna Francesca Verdini, che si sono spostati di appena 50 km per un brindisi che buona parte dei retroscena sui quotidiani racconta cordiale e amichevole. Un’occasione per i due di siglare quello che il Messaggero chiama “il patto della masseria”, con il quale avrebbero fissato i paletti in vista della manovra che si preannuncia complicata, come ha ricordato lo stesso Giancarlo Giorgetti appena ieri dal Meeting di Rimini quando ha detto che “non si potrà far tutto”. L’idea di massima che sarebbe emersa tra un brindisi e una frisa è di dare un segnale all’elettorato in vista delle prossime Europee almeno sul fronte del caro-carburanti, magari sfruttando l’extra-gettito incassato con il boom dei prezzi di questa estate. Su tutti gli altri fronti, a cominciare dal taglio del cuneo fiscale, i conti andranno rivisti. Su tutto un mantra: “Una concorrenza sleale non fa bene a nessuno”, come riporta Repubblica».

Anche Salvini sul caso Vannacci, come Donzelli, cerca di assorbire le operazioni di destabilizzazione costantemente in atto contro la maggiorana di governo: lo fa con uno stile da propaganda social piuttosto che con un approccio da ministro e da leader di partito che vuole far crescere una cultura politica all’altezza degli interessi nazionali, ma le sue scelte avvengono al fondo dentro un quadro di solidarietà politica della destra. Forse però anche queste vicende suggeriscono una riflessione su come in Italia ci sarebbe bisogno – particolarmente in una fase internazionale così aggrovigliata – di un maggiore indirizzo unitario dell’esecutivo e insieme di un articolato pluralismo nelle assemblee legislative. Una simile riflessione dovrebbe spingere a maggiore determinazione nelle riforme istituzionali, non rincorrendo però un impossibile presidenzialismo o un renzianamente pasticciato premierato per elezioni diretta, bensì puntando su collegi uninominali (con annesse primarie) come in Gran Bretagna che definiscano senza incertezze il premier vincente nel voto e insieme lo dotino dei necessari poteri.

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