
Gli orrori del'”amore”
Monsieur Finkielkraut, in un’intervista a Le Monde sulla corruzione nella vita politica francese Lei ha detto che «nulla è peggio per la morale e per il mondo che la visione morale del mondo». è vero anche nel caso dell’atteggiamento pubblico oggi prevalente nei riguardi del conflitto israelo-palestinese?
Penso proprio di sì. Ben prima di me, la “visione morale del mondo” è già stata denunciata da Hegel all’interno della sua riflessione, molto precisa e profonda, sulla Rivoluzione francese. La domanda che egli si poneva era: perché un tale slancio di libertà è sfociato nel Terrore? E la risposta è stata che quando qualcuno è convinto di agire in nome dell’umanità a vantaggio dell’umanità, non ci può più essere nessun avversario legittimo: ogni avversario diventa per definizione nemico dell’umanità. Dunque, più il fine è morale, più è grande il rischio di intolleranza e di violenza. Malraux sottolineava che la propaganda stalinista conosceva un solo registro, quello dell’indignazione, e non smetteva mai di denunciare i mascalzoni. In altre parole, la “visione morale del mondo” sottomette il mondo allo schema dell’alternativa unica giusti-ingiusti, che oggi viene applicata al conflitto israelo-palestinese: essendo i palestinesi i più sofferenti, le vittime, gli oppressi, a questo titolo li si adorna di tutte le virtù e di tutte le giustificazioni; gli israeliani, invece, considerati come gli oppressori, sono messi al bando.
Questo non significa che si debba escludere la morale dalla politica, al contrario: auspico una morale politica che tenga conto della singolarità delle situazioni e del loro carattere problematico. Ma questo è proprio ciò che la visione morale del mondo rifiuta. La visione morale del mondo trasforma sistematicamente la tragedia in melodramma. In una tragedia, i due protagonisti hanno almeno una certa legittimità: in ciò consiste il tragico. Nel melodramma, invece, ci sono soltanto dei buoni sottoposti ai maltrattamenti, agli inganni, alla violenza dei cattivi. Prima di ogni altra cosa, io invoco la restituzione del suo carattere tragico al conflitto israelo-palestinese. A partire dal momento in cui gli uomini politici e l’opinione pubblica prenderanno coscienza della tragedia, le parole ritroveranno senso e forza. Ma siamo ben lontani da ciò, come dimostra il fatto che il Parlamento europeo ha avuto l’ardire di votare una mozione che chiede sanzioni commerciali e un quasi boicottaggio contro Israele per punire Sharon per una guerra che non ha niente a che vedere con Sharon come persona, e che è stata resa quasi inevitabile dall’ondata di attentati del mese di marzo. è giusto sorvegliare da vicino questa guerra, e forse occorre dire che essa non porta a niente, che anzi essa soddisfa l’estremismo palestinese, perché favorisce quell’isolamento di Israele sulla scena internazionale che è l’obiettivo delle brigate dei martiri di Al Aqsa e di Hamas. Ma una condanna unilaterale di Israele non fa altro che gettare olio sul fuoco e in più discreditare l’Europa proprio nel momento in cui i due contendenti hanno bisogno di mediatori. Ma l’Europa non può più essere mediatrice a causa di questa iniziativa ridicola, imbecille e ipermorale.
Lei ha anche scritto che in politica la morale deve essere “sollecitudine per il mondo”. Come si applica ciò al conflitto israelo-palestinese? Nella forma della mediazione?
La “sollecitudine per il mondo” dovrebbe consistere nel prendere la misura di quello che accade laggiù fra palestinesi e israeliani, e di fare tutto il possibile per migliorare la situazione. Ma oggi la sollecitudine per il mondo ha lasciato posto alla “posa virtuosa”: si tratta di mostrare che si è buoni e che si condannano i cattivi. E, ironia e paradosso della sorte, ciò che oggi nutre la visione morale del mondo è la memoria della Shoah. In Europa la Shoah occupa tutto il campo della memoria, e ciò ha per risultato di rafforzare il manicheismo. Infatti, se si identifica ogni conflitto al modello nazista, allora è ovvio che non c’è più posto per l’elemento della tragicità, e sono gli israeliani, per di più, a vedersi accusati di nazismo. E se gli israeliani occupano il posto dei nazisti, allora l’unica cosa che possono fare è pentirsi. Oggi tutta l’Europa sembra aver fatto proprio il pensiero totalmente imbecille di Barbara Spinelli, secondo cui in Europa tutti hanno pronunciato atti di contrizione tranne gli israeliani. Così il circolo della memoria si chiude: si è fatto del pentimento una regola a causa di ciò che l’Europa ha fatto agli ebrei, e ora si constata che soltanto gli ebrei sono impenitenti, perciò si chiede loro di conformarsi.
Lei ha parlato di “pose virtuose” che sono il contrario della moralità. I pacifisti che si interpongono come “scudi umani” fra l’esercito israeliano e i palestinesi compiono una scelta morale o assumono “pose virtuose”?
Anzitutto sono dei mentitori, ubriachi della loro propria moralità. Ci sono tante forme di ebrezza: c’è l’ebrezza del potere, ma c’è anche l’ebrezza della morale. Ubriachi della loro propria moralità, i pacifisti si appropriano di un nome che non meritano in nessun modo. Nel contesto di questa guerra, infatti, prendono completamente le parti dei palestinesi e, al pari di questi, denunciano Israele come stato razzista e colonialista. Facendo questo si iscrivono in una logica di guerra assoluta, perché non si limitano a condannare la politica di Israele, ma denunciano il significato stesso dello stato di Israele. Non sono dei pacifisti, sono dei partigiani dei palestinesi che non condannano, se non a parole, il terrorismo palestinese. Questa storia degli scudi umani, poi, è completamente grottesca: gli israeliani non hanno mai avuto l’intenzione di uccidere Arafat. Questo atteggiamento implica una doppia menzogna: non sono veramente pacifisti, e non sono nemmeno scudi umani. Il loro principale rappresentante, un personaggio famoso in tutto il mondo, José Bové, a proposito di quel che fanno gli israeliani parla di campi di internamento, di retate, di filo spinato: tutti termini che hanno lo scopo di richiamare il nazismo. E ha insinuato che gli attentati antisemiti in Francia sarebbero stati organizzati dal Mossad. Quest’altra menzogna ci fa ripiombare nel clima intellettuale dei Protocolli dei Savi di Sion, cioè nell’antisemitismo apocalittico.
E fa veramente sorridere il fatto che tutti questi sedicenti pacifisti fanno parte del movimento no-global. Perché Israele è stata creata da ebrei che non ne potevano più di essere accusati di esercitare occultamente un potere mondiale. Per loro si trattava di rispondere a questa accusa mostruosa creando una realtà politica all’interno di frontiere delimitate. E oggi eccoli di nuovo accusati, benché si trovino all’interno delle loro frontiere, di incarnare la mondializzazione in forza del loro legame con gli Usa: come se la creazione di Israele non fosse servita a niente. E come se dovesse toccare proprio ad Israele di assumere oggi su di sé questa immagine totalmente delirante di un potere mondiale e tentacolare.
è una semplice incoerenza di giudizio o è un segnale rivelatore di qualche dimensione profonda del movimento no-global?
è un segnale che rivela il suo carattere profondamente stalinista, ovvero la sua incapacità di fare i conti con l’esperienza totalitaria. Il movimento no-global è cieco di fronte alla realtà in quanto riduce la realtà a uno scontro fra oppressi e oppressori. Dove gli oppressori sono, in maniera generale, gli occidentali, mentre gli oppressi sono il resto del mondo; gli israeliani allora sono l’emblema dell’Occidente oppressore e i palestinesi sono l’emblema del mondo dominato e colonizzato dall’Occidente. Ma la prova che questo movimento no-global è totalmente ideologico sta nel fatto che gli attentati dell’11 settembre non l’hanno scosso per nulla. In quel momento abbiamo scoperto che l’Occidente aveva dei nemici pericolosi, terrificanti, e che dunque lo schema oppresso/oppressore doveva essere, se non rivisto, almeno proposto in termini più complessi e problematici. Dopo qualche settimana di esitazione, il movimento no-global si è ricomposto e ha ripreso i suoi attacchi unilaterali e ossessivi contro l’Occidente come se niente fosse. E ha guardato agli attentati di Bin Laden come ad una forma di giustizia immanente: la punizione dell’Occidente per la sua strapotenza.
Pensate che in Francia il libro oggi più venduto è un testo in cui si sostiene, a partire da una voce diffusa attraverso Internet, che nessun aereo si è schiantato sul Pentagono. Ecco, qui l’ideologia di cui il movimento no-global è portatore culmina nella mostruosità, suggerendo che l’Occidente non ha affatto nemici, ma inventa i suoi nemici per far credere alla propria innocenza e giustificare la propria tirannia. è la stessa logica dei negazionisti dell’Olocausto: i negazionisti dicono che gli ebrei hanno inventato la storia delle camere a gas per polarizzare l’attenzione su di un delitto immaginario, mentre sono loro che incarnano il crimine. Oggi ci troviamo di fronte alla versione ultima di questo negazionismo. Evidentemente esso non caratterizza il movimento no-global nella sua interezza, ma proviene da lì.
Riferendosi agli exploit dei pacifisti, in Italia un noto editorialista ha scritto che non è accettabile che si voglia far politica attraverso “l’esercizio pubblico dell’amore” per gli oppressi, perché questo esercizio genera odio e menzogne nello spazio politico. I pacifisti sono unilaterali per un eccesso di amore? Oppure qui l’amore non c’entra?
No, l’amore c’entra eccome. Qui è proprio questione d’amore e di nient’altro che di amore e degli orrori dell’amore. Quell’editorialista ha assolutamente ragione. Re Salomone pregava Dio di dargli un cuore intelligente. E cosa significa questa preghiera se non che il cuore, lasciato a se stesso, può causare gli esiti peggiori? E d’altra parte, il XX secolo ci insegna proprio questo: il XX secolo è stato stritolato per troppo amore. Lo stalinismo stesso è stato qualcosa di spaventoso grondante d’amore. E quando dico che il movimento no-global non ha fatto i conti con la realtà totalitaria, penso esattamente a questa logica del cuore che nessuna intelligenza viene a limitare o ad illuminare.
A proposito degli schiamazzi antiberlusconiani al Salone del libro di Parigi, lo scrittore Pierre Milza ha commentato che si trattava di «camicie nere camuffate con gli abiti della sinistra progressista». Adesso vediamo le critiche alla politica militare israeliana accompagnate da assalti alle sinagoghe in Francia. Non sarà che la sinistra, in Italia come in Francia, ha qualche penchant fascista?
No, non credo che la sinistra italiana abbia dei penchant fascisti; la sinistra ha dei penchant totalitari antifascisti. Penso spesso a questa frase straordinaria di George Orwell: la sinistra è antifascista, non è antitotalitaria. E di questo abbiamo un’illustrazione clamorosa con le aggressioni antisemite: queste aggressioni provengono dal campo degli oppressi, ed è per questo che la sinistra prova un grande malessere – è il meno che si può dire – e per un certo tempo si è rifiutata di condannarle. è la sua vigilanza antifascista che l’ha portata alla cecità; la sua vigilanza, anziché uno stato di veglia, si è trasformata in un grande sogno, un sogno che dice: il male può venire soltanto dai vecchi demoni, dal fascismo europeo. Adesso la sinistra comincia a rendersi conto del suo errore, ma è troppo tardi. E non riuscirà mai ad andare fino al fondo di questa presa di coscienza.
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