Gli eroi dimenticati del terremoto

Dal sisma che colpì il centro Italia nel 2016, giorno dopo giorno, i nostri connazionali si sono sentiti sempre più dimenticati e abbandonati. Soffocati dalla burocrazia, alcuni cercano di resistere



Sono passati due lunghi e spietati anni dalla scossa agostana del 2016 e da quelle successive di fine ottobre. Articoli e servizi strappalacrime e commemorativi (talora purtroppo inutili), assieme a quelli di denuncia (troppo pochi), si sono succeduti.
Nel frattempo, giorno dopo giorno, i nostri connazionali terremotati si sono sentiti sempre più dimenticati, sempre più abbandonati. Poi, alla rassegnazione più nera, nel cuore di molti è subentrato un sordo risentimento. Noi, che “viviamo sicuri nelle nostre tiepide case”, intercettiamo qualche notizia qua e là, ci commuoviamo facilmente – un’emozione narcisistica per sentirci buoni a poco prezzo -, ci indigniamo per qualche giorno e poi ritorniamo nella nostra ignoranza per quanto riguarda luoghi, comunità e persone.
Alcuni tra noi, invece, anime eccelse, si impegnano in altre solidarietà, applauditi dalla politica, dagli intellettuali e – perché no – da certa Chiesa, laddove la mano sinistra sa benissimo cosa fa la destra e lo pubblicizza, esibendo un “alto” senso morale, che ovviamente squalifica nell’ignominia ogni tiepido o scettico. Si tratta di coloro che per aiutare ‘i bisognosi’ vanno per forza e sempre in luoghi remoti, perché qui da noi la solidarietà non paga per autocompiacersi o per ricuperare uno smarrito prestigio morale. Oppure si tratta di coloro che i disperati li fanno venire qui a frotte, assommando incuranti, senza dare soluzione alcuna, disagio a disagio, dramma a dramma.
E poi ci sono loro, i terremotati, che sono di gran lunga migliori di noi. Non sono migliori di noi perché sono vittime. L’essere vittima non rende una persona migliore. Sono migliori di noi perché stanno tentando disperatamente e tenacemente di continuare a esistere, di esserci, di non darla vinta a lu tirimotu, alla burocrazia incomprensibile, gigantesca e immobile, alle ruberie endogene ed esogene, all’inesorabile e impietoso trascorrere del tempo. Ai nostri silenzi colpevoli.
Lu tirimotu ha mietuto quasi trecento vittime. Ma il computo dei morti è molto più alto. Circa un morto al giorno per suicidio negli ultimi due anni. Il suicidio ha concretizzato la disperazione di coloro che avevano perso tutto, che han rinunciato a combattere, straziati nelle menti e nei cuori. È il rantolio di coloro che, per lo più anziani, hanno deciso di congedarsi per sempre, unendosi alle sorti disgraziate dei loro amati borghi in rovina, vittime dello sradicamento e di quell’indeterminatezza che sempre procrastina e che talvolta uccide. Dall’ascolano al fermano e al maceratese, da Amatrice a Norcia, incombe un silenzio di morte in un’area vergognosamente ancora troppo estesa, con case sprangate, muti campanili pericolanti (se va bene), rovine sovente non ancora rimosse dopo due anni. Non vi sono più famiglie che aprano terrazzi e logge. Non è risorto il romorio, non è tornato il lavoro usato. Per non impazzire, per tirare a campare, molti si imbottiscono di psicofarmaci, con picchi di consumo che lasciano attoniti. Ma di questo politica, salotti e stampa preferiscono parlare poco e per sibili. Gli esseri umani si spezzano, gli Stati falliscono nelle loro missioni fondative, il senso di nazione si smarrisce.
Conosco molti umbri e marchigiani: gente schietta, ben temprata, abituata a molto sopportare. Gente forse un po’ diffidente e ruvida, ma laboriosa, educata e dignitosa. Mi è caro l’accento maceratese, naif e un po’ strascicato.
Conoscevo luoghi e persone ben prima dell’agosto 2016. So che il territorio dei Sibillini coincideva con uno splendido esperimento, coronato da successo, di investimento sulla montagna appenninica, voluto e condotto dalla sua popolazione autoctona. Un unicum (e un modello) in tutto l’Appennino, questa stupenda e bistrattata macro-regione italiana, priva di qualsivoglia statuto speciale, per cui non esistono seri e realistici piani di sviluppo economico-energetico e culturale da decenni, ove abita ben oltre il 30% del nostro popolo.
So che vi era un turismo florido e in crescita, coniugante arte, cultura, fede, natura ed eno-gastronomia, troppo ignoto agli italiani ma fortunatamente apprezzato e ricercato da moltissimi stranieri. I Sibillini: un eccezionale eco-museo. Un’opportunità. Un’opzione socio-economica che permetteva di frenare lo spopolamento della montagna; di mettere in gioco vivaci ed eterogenee energie culturali; di vivere con dignità, gusto e soddisfazione a moltissimi agricoltori e allevatori. Tutto questo è stato crudelmente divelto dal terremoto. Ogni nostro colpevole ritardo –sia della politica sia dell’opinione pubblica- assomma sisma a sisma, morte a morte, diniego a diniego. Perché se si vuole -come è doveroso- che queste zone risorgano, il fattore tempo è elemento essenziale e primario, prima che il tessuto sociale si sfilacci al punto da risultare perso per sempre.
In un’epoca di pusillanimi e di assenza di modelli, tra questi “monti azzurri” ho conosciuto esseri umani che una volta si soleva definire ‘veri uomini’ (e donne). È il caso di Rodolfo e Noemi de La Valle delle Aquile (due giovani, lui di Norcia lei di Arquata del Tronto) a Castelluccio, che mantengono aperta la loro struttura ricettiva superstite, permettendo che il turismo non si spenga. È il caso di Gino e della sua famiglia, del Rifugio degli Alpini a Pretare (frazione martoriata della distrutta Arquata), che cucina e serve le sue prelibatezze tipiche in un container adattato all’uopo, rendendo così possibile il turismo e, soprattutto, mantenendo in essere la vita e l’aggregazione tra le persone che hanno scelto di restare e che dimorano nelle casette. È il caso di Anna e Alberto del b&b Il Poggio delle Armonie a Pievebovigliana che per lunghi mesi hanno ospitato circa una decina di loro compaesani, rimasti senza nulla ma intenzionati a non abbandonare il proprio paese. È il caso di decine di contadini e allevatori umbri e marchigiani che ogni giorno, per mesi, hanno continuato -e continuano ancora oggi- a macinare decine di chilometri (a loro spese!) dal mare, dove sono sfollati, ai loro campi e ai loro pascoli montani. Tra costoro, alcuni, stremati, hanno costruito nelle loro proprietà delle capanne di fortuna per rifugiarsi e per dormire, per ovviare ai continui spostamenti, alle spese e alla spossatezza: sono stati vittime di denunzie penali per abusivismo edilizio. È il caso di Alessandro Gentilucci, il giovane e dinamico sindaco di Pieve Torina, un ameno borgo lesionato al 90%, che vive in un’improvvisata e spartanissima casetta di legno e che è riuscito con ingegno e passione a far avanzare i lavori, pur tra mille traversie, più che in altri luoghi feriti dal sisma. Per farlo, più che assumere ingegneri, ha dovuto ricorrere all’ausilio di tre avvocati, per decriptare gli oscuri sensi e intendimenti dei vari provvedimenti governativi. Si lamenta Gentilucci: “Noi sindaci siamo esausti, siamo stati inascoltati. La partecipazione doveva essere fondamentale all’interno dei processi di decisione”. E aggiunge allarmato: “Rischiamo di perdere un ecomuseo del territorio. In questi territori il valore tempo è fondamentale: ha un prezzo, un costo”.
Queste persone sono tutti eroi italiani. Eroi veri, delle cui storie l’Italia ha bisogno per sanarsi da troppe cattive e stupide idee (o pose intellettuali e politiche) da cui siamo affetti. Sono eroi veri, e dunque dimenticati, perché smascherano la nostra ipocrisia e la nostra colossale inadeguatezza. Sono eroi, nonostante siano offesi, arrabbiati e, giustamente, molto preoccupati.
Tre proposte pratiche ho raccolto, che ripropongo al lettore perché se ne faccia a sua volta carico. La prima, dato che la beltà dei luoghi è rimasta illesa, è che riprenda il turismo di tutti gli italiani in queste parti d’Italia: un turismo che voglia comprendere quel che è successo e succede qui e che merita tutta la nostra attenzione e condivisione. La seconda è che per il prossimo anno il Giro d’Italia e la benemerita Mille Miglia, passino per queste terre: da Norcia a Castelluccio, da Visso a Pievebovigliana e Pieve Torina, sino a Camerino e alla costa. Questo obbligherà al serio rifacimento delle principali strade, sarà un volano economico e porterà l’attenzione del mondo sul dramma dei nostri connazionali. Al riguardo, tutti possiamo scrivere e fare pressioni e petizioni in vario modo. Infine, la preghiera è che il Presidente della Repubblica, dinanzi a questo fallimento delle Istituzioni, ospiti presso il Quirinale, la ‘casa degli italiani’, i manoscritti di Leopardi, custoditi, sino a prima del terremoto, presso il Museo Diocesano di Visso. Che il lascito del Poeta della Nazione, nella Lingua della Nazione, dia testimonianza della rovina e dell’auspicato risorgimento di una splendida parte dell’Italia più vera, sì che le visite ai suoi manoscritti da parte di migliaia di italiani possano finanziarne quanto prima il ritorno a casa.

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