
Gli eroi della terra ferita contro il partito unico della burocrazia

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – L’Italia sospesa sta tutta nel fermo immagine che pubblichiamo in copertina, con quella mucca placidamente basita e tirata su da una gru per metterla in salvo dalle macerie ghiacciate del terremoto. Pochi ricordano che gli Italici primigenii stanziati al centro della penisola, secondo una delle varianti mitistoriche sull’origine delle genti nostre, erano detti Vituloi (la V è muta) ovvero i “Vitelli”, i giovani uomini-toro che nel carducciano pio bove, il Bos taurus primigenius, ebbero uno spirito guida animato da «un sentimento di vigore e di pace». Di qui il nome originario di Viteliù!, Italia!, la Patria dei Tori, scandito a pieni polmoni dalle popolazioni marso-sannitiche che nel I secolo avanti l’èra attuale, dopo le guerre sociali (dal termine socius che sta per alleato ed è alla base della societas), avrebbero infine trovato in Roma, nell’Urbe di Cesare, il centro di gravità del proprio istinto federativo. Fecisti patriam diversis gentibus unam, scrive Claudio Rutilio Namaziano nel tardo antico De reditu suo.
L’ho presa un po’ alla larga, o se volete dall’alto, ma la domanda fondamentale è chiara: oggi, di questa unità, che cosa rimane? Assai poco sulla scena consunta della politica nazionale, lì dove la parola totemica dominante è “scissione”: si separano collericamente gli alleati delle vecchie coalizioni, guerreggiano fra loro le fazioni e le correnti di uno stesso partito, mentre i gruppi residuali di un micropotere finanziario che si volle italiano guardano allo straniero per conservare un minimo di pulviscolare centralità. Lavora sodo il dèmone disgregatore.
Nell’insieme, sembra di assistere alla secessione del ceto dirigente dalla realtà dell’Italia profonda, la quale a sua volta si fa attraversare e muovere da onde crescenti di rancori plebei, sbotti violenti e ciechi perché privi d’una luce ideale da seguire. L’insipienza, l’inadempienza e il distacco delle élite dalle forze vive della nazione trovano una rappresentazione compiuta in ciò che sta accadendo nei luoghi feriti dal terremoto. Qui, tra l’Umbria e le Marche, l’Abruzzo e il Lazio appenninico, alla cultura del risentimento verso la res publica usurpata dal partito unico dell’autoreferenzialità sta subentrando un movimento spontaneo, civico e morale, nel quale confluiscono le reti della solidarietà nazionale, in nome di una delle espressioni più alte del vivere civile: la generosità. Da varie latitudini e longitudini italiane, una poderosa mobilitazione di energie private, sorrette dalle associazioni di categoria (Coldiretti in testa) e dal volontariato, sta cercando di soddisfare le necessità primarie degli allevatori, dei contadini e degli sfollati che non hanno voluto espiantare le proprie radici. Il più delle volte questo sforzo tenace incontra la resistenza della burocrazia statale, cavilli disseminati sulla via come cespugli acuminati, segnacolo della trascuratezza in cui giace, tradito, il patto fondante d’una comunità di destino.
Tempi, oggi, racconta questa vicenda attraverso voci e testimonianze fattuali di alcuni protagonisti del bisogno e del soccorso: a modo loro, sono gli attuali eroi della terra nostra e, prima ancora che elettori di non so quale schieramento, sono i depositari di un carattere e di uno stile sui quali dovrà poggiare ogni possibile disegno di rinascenza italiana.
Foto Ansa
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