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Gli artisti del Gulag

locomotiva gulag

Si sono appena concluse in Russia le iniziative legate alla «restituzione dei nomi», durante le quali centinaia di semplici cittadini, in fila dalla mattina alla sera, leggono sulla pubblica piazza i nomi delle vittime delle repressioni staliniane «restituendole» così alla memoria. E nell’ambito del recupero del recente passato, a metà ottobre presso il Museo del GULag a Mosca è stato presentato il progetto che intende salvare alcuni dipinti realizzati da artisti detenuti nello StepLag, un sistema di campi di lavoro coatto del Kazachstan, paese che fino agli anni ’90 faceva parte dell’Urss.

L’artista in lager, scrive Solženicyn, se ci sa fare è un privilegiato. Ovviamente questa affermazione va calata nel contesto del sistema concentrazionario sovietico, dove poteva vivere relativamente bene chi aveva una dote particolare, come un pittore, se riusciva ad entrare nelle grazie dei capi del campo e ottenere lavori «leggeri» (ritratti, imbiancature, cartoline, ecc.). Ovviamente tutto dipendeva dal tipo di condanna, di lager e da chi lo dirigeva. In questo senso si può concludere con lo scrittore che «tutto sommato, un pittore può vivere in un lager». La storia del GULag sovietico annovera anche alcuni nomi di artisti divenuti famosi in carcere, come Michail Sokolov, Lidija Pokrovskaja, o l’estone Ülo Sooster bravissimo nel ritratto.

I campi dello StepLag, «lager della steppa», istituiti nel febbraio del 1948 presso la cittadina mineraria di Džezkazgan (nel centro del Kazachstan), furono destinati ai detenuti «politici» e rimasero attivi fino al 1956 (dopodiché i detenuti vennero trasferiti in domicilio coatto nella cittadina). Nel ’48 il sistema dei campi ospitava circa 10.000 «politici», in maggioranza di nazionalità ucraina, saliti a 27.855 già due anni dopo.

Allo StepLag i detenuti lavoravano nelle miniere di carbone, nelle fabbriche metallurgiche e in vari cantieri di Džezkazgan. Tra il maggio e il giugno del ’54 lo StepLag fu teatro della rivolta più famosa della storia concentrazionaria, «i 40 giorni di Kengir» ricordati da Solženicyn nell’Arcipelago GULag.

E oggi, tra le rovine della mensa di un campo sono affiorati, sotto l’imbiancatura, due paesaggi minerari e un ritratto maschile dipinti ad olio. Ne ha dato notizia alle autorità competenti Ermolaj Solženicyn, uno dei figli del grande scrittore il quale aveva trascorso parte dell’esilio proprio in uno sperduto villaggio kazako.

Può sembrare esagerato mobilitare studiosi e politici per recuperare alcune pitture in una sperduta località della steppa e che dal punto di vista artistico non è detto siano dei capolavori, ma non è questo che importa: «La storia va ricordata e rispettata», ha sintetizzato Žanar Kolbačaeva, diplomatica kazaka presso la Federazione russa. Il paese centroasiatico è molto sensibile a queste tematiche dato che fra l’altro la sua popolazione è composta da oltre 150 gruppi etnici comprendenti molti discendenti delle deportazioni staliniane, e non c’è città industriale che non abbia qualche edificio o struttura pubblica costruita direttamente dagli zek, i detenuti dei lager. Non per niente Solženicyn ricorda che, scherzando tra loro, gli zek chiamavano il paese Kazekstan…

«Non si sono conservati molti reperti simili, né in territorio russo né negli altri paesi ex-sovietici», ha spiegato il giovane direttore del Museo moscovita, l’intraprendente Roman Romanov, che considera prioritario salvarli e mostrarli al pubblico.

Il progetto congiunto tra il Museo del GULag e il Fondo per la memoria, con il sostegno del museo storico-archeologico di Džezkazgan e di alcuni sponsor privati, prevede tre passaggi: l’analisi dell’integrità del campo dello StepLag dove sono state rinvenute le pitture (documentazione sulle condizioni attuali della mensa e dell’infermeria, delle baracche, della parete divisoria tra la zona maschile e quella femminile); il restauro dei reperti da effettuare in Russia e il loro ritorno in sicurezza nel paese centroasiatico.

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