Gli arbitri? A dirigere il Festival

Di Roberto Perrone
24 Marzo 1999
Sport über alles.

Nei mitici anni Settanta l’unico nemico buono era quello morto. Nei ruggenti anni Novanta, quasi Duemila, l’uni arbitro buono è quello che presenta Sanremo. Ognuno ha gli avversari che si merita, c’era una volta il movimento, o i movimenti, a riempire i sabati con manifestazioni di ogni colore, ma con un denominatore comune: al lunedì saliva il budget di carrozzieri e vetrai. Adesso, a riempire il sabato italiano c’è solo il calcio. Si gioca per tutto il week-end e il lunedì trippa. In tv si discute e si fa il tiro all’arbitro: ha sbagliato tutto.

O meglio, ha sbagliato quello che non ha dato il rigore alla mia squadra (o l’ha concesso agli altri). Clamoroso, in questo senso, il caso Sensi, il presidente della Roma che ha urlato al complotto minacciando di rivolgersi ai tribunali (ed è stato prontamente convocato da Guariniello, il Di Pietro del football). Una storia degli anni Duemila, non molto elevati nel dibattito. Nessuno ama gli arbitri, questa è la verità. C’è chi propone di raddoppiarli, ma non per risolvere il problema, solo per avere due bersagli. L’arbitro piace solo quando presenta Sanremo, come ha fatto uno dei migliori in circolazione, Collina, il pelato di Viareggio, che si è esibito con successo accanto a Fabio Fazio. L’unico arbitro nazional-popolare è quello del Festival, gli altri sono dei nemici, o, nella migliore delle ipotesi, compagni che sbagliano.

È venuto il momento della rivoluzione, altro che doppio arbitro: aboliamoli del tutto e mandiamoli a Sanremo. Giochiamo senza, perché come succedeva all’oratorio, alla fine, vince sempre il migliore, con o senza un tale col fischietto. Chi non ci crede Biscardi è.

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