«Giussani mi ha insegnato a sfidare la cultura dominante»

Di Leone Grotti
24 Agosto 2018
René Roux, rettore della facoltà teologica di Lugano, racconta al Meeting perché ha organizzato un convegno sul Giussani teologo e perché non ha ascoltato i consigli di chi gli diceva: «Sei matto? Ci creerà problemi»

Non manca certo il coraggio a René Roux. Quando il rettore della facoltà teologica di Lugano, l’unica in lingua italiana al di fuori dello Stivale, ha proposto l’anno scorso per celebrare i primi 25 anni di vita dell’istituto un convegno su don Luigi Giussani, la risposta del comitato organizzativo è stata secca: «Sei matto? Non si può fare».

«QUALCOSA DI MATTO». Lo studio del pensiero filosofico e teologico del sacerdote brianzolo era infatti considerata una proposta che «ci creerà dei problemi». E Roux, valdostano di origine, specializzato a Roma, Parigi, Oxford, ordinato sacerdote nel 1991, ha risposto: «Ogni tanto bisogna anche fare qualcosa di matto nella vita». E ha tirato dritto per la sua strada.

PERCHÉ GIUSSANI. Presentare il pensiero di Giussani, in realtà, non era un’idea campata per aria ma rispondeva perfettamente agli obiettivi del convegno, che si è poi svolto dall’11 al 13 dicembre nella Svizzera italiana. Lo scopo infatti era trovare un pensatore contemporaneo, di cultura italiana, il cui pensiero avesse avuto un impatto concreto e positivo sulla vita della gente, e non solo riempito le polverose biblioteche degli atenei, e che avesse avuto un influsso importante sul cattolicesimo del Canton Ticino. «Il primo nome che mi è venuto in mente non poteva che essere Giussani».

CULTURA DOMINANTE. Ma come spiegato da Roux al Meeting, c’è anche un motivo più personale che ha spinto il rettore a proporre la figura del fondatore di Comunione e liberazione. «Negli anni in cui ho lavorato in Germania», racconta, «mi sono accorto che si erano affermati molti modi di pensare derivati dalla cultura dominante. Si tendeva ad affermare in modo superficiale che dopo Immanuel Kant lo studio della metafisica fosse ormai impossibile, nonostante sia fondamentale per il nostro credo. Poiché ormai si era imposto un concetto di razionalità del tutto incompatibile con il cristianesimo, si tendeva a eliminare tutto ciò che contrastava con questa riduzione per timore di non potere più parlare con il mondo».

L’INCONTRO AL LICEO. Roux, invece, era convinto che «fosse nostro compito mettere in crisi le forme del pensiero dominante, avendo il coraggio di porre domande», anche scomode. Ma chi aveva insegnato a questo placido professore a essere così pugnace e coraggioso? «Alcune letture di un certo Giussani fatte al liceo e alcune scuole di comunità a cui avevo partecipato quando vivevo ancora in Val D’Aosta. Anche in Germania ovviamente c’erano pensatori così, sarebbe superfluo citare Ratzinger. Ma, per arrivare al punto, quando a Lugano è emersa la possibilità di approfondire il pensiero di Giussani in un convegno, mi è parso provvidenziale e ho sostenuto questa idea in ogni modo».

UN CLIMA NUOVO. Gli atti del convegno sono stati appena pubblicati da Cantagalli in un volume dal titolo: Luigi Giussani. Percorso teologico e apertura ecumenica. Il rettore non si dilunga nell’elencazione di tutti i contenuti del libro o degli atti del convegno, si limita prima di tutto a sottolineare due aspetti che l’hanno colpito: «Il primo è quello che mi hanno detto tanti ciellini: “Abbiamo scoperto aspetti di Giussani che non conoscevamo”. Cosa che mi ha fatto molto piacere. Il secondo è quello che mi ha confidato un mio collega, a proposito del clima che si è creato in facoltà grazie a questo approfondimento: “In questi giorni mi è sembrato di rivivere l’esperienza degli inizi della facoltà teologica”».

«GENERARE UNITÀ». E siccome di teologia e filosofia stiamo parlando, Roux aggiunge che «studiando mi ha impressionato molto l’impatto ecumenico del pensiero di Giussani: se si va al cuore dell’esperienza cristiana ci si ritrova uniti ad esempio con i nostri fratelli ortodossi. Giussani era capace di generare unità». Il secondo aspetto rimasto impresso al rettore, e che ha approfondito in prima persona in vista del convegno, è la capacità del sacerdote brianzolo di leggere e comunicare gli episodi del Vangelo: «Lui riusciva a fare entrare la gente dentro le Scritture. In quegli anni andava di modo lo studio esegetico-critico, che partiva da presupposti opposti al cristianesimo e non faceva che portare tanti professori e tanti alunni all’ateismo».

UN APPROCCIO UMANO. Giussani, invece, «seguendo l’insegnamento dell’arcivescovo di Milano Montini, che poi sarebbe divenuto papa, recuperò il concetto di senso religioso, sottolineando che quell’incontro fatto da Giovanni e Andrea alle 4 del pomeriggio poteva essere un’esperienza concreta anche per noi oggi, in ogni momento. Gli studi critici del tempo, invece, si sarebbe soffermati al massimo sulla possibilità che quell’incontro fosse davvero avvenuto alle 4, piuttosto che in un altro momento». È «l’approccio umano» che rendeva Giussani così interessante. Non solo come educatore: ma anche come teologo e filosofo.

@LeoneGrotti

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