Giuseppe, il migliore muratore d’Italia, non è choosy: «Faccio qualcosa che durerà per sempre»

Di Chiara Rizzo
26 Ottobre 2012
È calabrese e lavora in cantiere da quando ne aveva 16: «Penso agli edifici dell'antica Roma, li hanno fatti a mani nude e durano per l'eternità. Mi spiace che oggi i ragazzi siano “specializzati a essere disoccupati”»

Giuseppe Macrì, 48 anni, da San Giorgio Murgeto (Rc) è insieme al suo collega Emiliano Mileto il miglior muratore d’Italia. Lo scorso 22 ottobre si è classificato al primo posto, sbaragliando tutti e mostrando una Calabria diversa dai soliti stereotipi. In silenzio, alacramente, Giuseppe e il collega si sono messi all’opera alla fiera di Bologna per realizzare una panchina circolare con una fiorera al centro, che adesso sarà donata alla Protezione Civile, perché sia posta in una dei comuni colpiti dal sisma dell’Emilia Romagna. «Avevamo cinque ore di tempo – racconta Giuseppe a tempi.it –, ma eravamo così concentrati che non abbiamo guardato nemmeno gli orologi. Era la prima volta che partecipavo. Con Emilio ci conosciamo da anni, perché siamo dello stesso paese, oltre che colleghi in una cooperativa edile a Polistena (Rc)».

NOT CHOOSY. Giuseppe è muratore da una vita: «Da quando avevo 16. Anche mio padre faceva questo lavoro e io ho iniziato perché mi non piaceva tantissimo stare sui libri. Mio padre lavorava in Svizzera, mia mamma lavorava in paese e con i miei quattro fratelli stavamo da mia nonna. I miei, a dire il vero, mi dicevano di andare a fare l’elettricista. Però a me piace fare il muratore, e così iniziai ad andare nei cantieri». E fu colpo di fulmine. «Oggi devi avere un’assicurazione antifortuni, il lavoro è regolare e sai di essere tutelato. All’epoca eravamo, come dire, più “all’avventura”. Ho spesso lavorato in nero e, per arrotondare, ho fatto anche l’operaio stagionale nei campi. Nessuno si è messo lì ad insegnarmi le cose, ho imparato con l’esperienza e, soprattutto, con la passione. Ora sono specializzato sulle rifiniture, e mi piace da morire, mentre amo un po’ meno stare alle strutture di cemento armato».
Giuseppe ama seguire ciò che gli succede intorno. Ha letto delle polemiche sulla frase della Fornero (sui giovani “choosy”, schizzinosi, nello scegliere il lavoro): «Non so se siano schizzinosi. Però ieri su un giornale locale ho visto un titolo che mi ha colpito: “Ragazzi specializzati per essere disoccupati”. Purtroppo ora non ci sono le possibilità di trovare sempre lavori che ci piacciono. E allora a che serve la specializzazione? Se si sa invece che in un certo campo si trova occupazione, un ragazzo sarà invogliato. Il lavoro è tutto per un uomo, se non c’è quello tutto il resto è niente. Quello che mi ha dato di più nella vita è stato semplicemente farlo con passione».

DIFFICOLTA’. Ammette Giuseppe che «non è semplice di questi tempi e anche la cooperativa edile dove lavoro ha messo molti in cassaintegrazione. Altri sono stati licenziati. Noi per fortuna tiriamo ancora un po’ avanti con un cantiere in Sardegna, e poi chissà. Ma devi essere pronto a fare tutto: qui ad esempio facciamo lavori ad “acqua bianca (canali per l’acqua piovana) e acqua nera” (l’impianto fognario): non è quello che mi piace, però lo faccio con la stessa passione che metto nella muratura. Quando lavoro ad una casa curo tutti i dettagli. I pavimenti, le pareti, l’intonaco: e non posso dire la gioia che mi dà ricevere i complimenti di chi ci va ad abitare».

COME NELL’ANTICA ROMA. Dopo una vita tra cazzuola e malta, si commuove ancora a spiegare perché lo affascina il suo mestiere. «È la soddisfazione di vedere le cose a cui si è lavorato durare per anni». È per quello che gli piacciono particolarmente anche i mattoni a “facciavista”, a vista, grazie ai quali ha vinto. «A “facciavista” significa con le pietre non coperte, naturali, e senza elementi artificiali a parte la malta. Un po’ come avveniva nell’antica Roma. Ecco: noi li abbiamo ripresi anche nelle costruzioni moderne. A volte penso ai palazzi antichi delle nostre città, di Roma, fatti solo con le mani. Eppure durano per sempre. Ecco, mi piace pensare che anche io lavoro a qualcosa che può durare per sempre».

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