I giovanissimi morti in discoteca e il metodo della certezza morale. Chi lo insegna più?

Di Roberto Castenetto
13 Agosto 2015
La strada è il vero problema. Infatti, come scrisse il grande Kafka, è che “manca la strada”. La droga non è una strada; casomai è una falsa scorciatoia, per cercare di raggiungere quella felicità cui tutti agogniamo
Una immagine della Molo Street parade che ha trasformato il porto di Rimini in una discoteca a cielo aperto, 30 giugno 2012. ANSA / US COMUNE DI RIMINI - RICCARDO GALLINI ++NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

Articolo apparso sul Messaggero Veneto – “Mai che vengano lì a farti la domanda giusta, quella che farebbe capire molte cose, quella che ci si fa davvero, prima di calarsi una pasticca: non ‘perché’, ma ‘perché no?’. L’alternativa. L’altra strada. C’è un’altra strada?”. Con queste parole vere Enrico Galliano ha commentato sul Messaggero Veneto l’emergenza droga, che ancora una volta ha al centro le discoteche e i giovanissimi che le frequentano.

La strada è il vero problema. Infatti, come scrisse il grande Kafka, la questione del nostro tempo è che “manca la strada”. La droga ovviamente non è una strada; casomai è una falsa scorciatoia, per cercare di raggiungere quella felicità cui tutti agogniamo. Ma la strada è un’altra cosa: lo sa bene chi va in montagna e non trova il sentiero. Lì il pericolo è evidente: il bosco senza fine, il burrone, la parete di roccia. Ma in pianura ci si può illudere di poter camminare senza strada, oppure percorrendo tante scorciatoie illusorie, come in un deserto pieno di miraggi.

Strada in greco si dice odòs, da cui il nostro termine metodo. Il problema allora è avere un metodo. Lo diciamo spesso a scuola: quel ragazzo non ha metodo. Ma spesso è diventato un modo di dire, vuoto di significato. Il metodo è la strada, per arrivare alla meta. Ogni ambito della realtà ha un suo metodo: c’è un metodo chimico, sperimentale, matematico, filosofico, ecc. Ma il metodo per eccellenza, quello senza il quale non si può vivere, è quello che la natura fornisce a tutti. Si chiama metodo della certezza morale: quello per cui capisci se puoi fidarti o no di una persone, quello che ti fa capire se una ragazza o un ragazzo è fatto per te, quello che ti fa capire quale è la tua vocazione.

Ma questo metodo chi lo insegna più? È stato prima denigrato, come non scientifico e attendibile, e poi abbandonato da tutti, per seguire le illusioni del “mi piace”, che non a caso domina i social. “S’ei piace ei lice”, scrisse il grande Tasso nell’Aminta. Questa è la scorciatoia che ha preteso di sostituire la strada. Ora vogliono insegnarla anche ai bambini, per poi fissarla nella mete degli adolescenti e dei futuri adulti, perché, come scriveva Pasolini, “ai giovani oggi non si propone un impegno, ma solo occasioni di divertimento”. Ma stiamo attenti a non barare con queste cose: le vittime della droga in discoteca o in altri contesti ci ricordano che si tratta di una questione molto seria. Ne va della vita. E tutti, come giustamente scrive Galliano, ne siamo responsabili e prima o poi dovremo rendere conto.

Roberto Castenetto
Insegnante

Foto Ansa

Articoli correlati

15 commenti

  1. Giannino Stoppani

    Cari signori, domandiamoci a chi fa comodo che la gioventù si trasformi in una mandria di smidollati che fugge la realtà con tutti i mezzi invece di affrontarla attivamente…

    1. Emanuele

      …grande Giannino!

      Certamente fa comodo a chi vende (qualunque cosa)… più facile convincere a comprare il superfluo chi dice sempre sì a tutto…

      Ovviamente i pubblicitari preferiscono “desidero ergo sum” piuttosto che “cogito ergo sum”…

      1. Giannino Stoppani

        Ultimamente direi che dal “cogito ergo sum” siamo passati piuttosto al “coito ergo sum”.

        1. Polo

          per me “droga” e’ un termine senza senso. se invece che fare il coglione sai definirlo,sono tutt’orecchi.

          1. Giannino Stoppani

            Preferisco di gran lunga “fare il coglione” che dimostrare di esserlo effettivamente scrivendo solenni bischerate credendo che basti lasciarle cadere dall’alto per farle sembrare cose intelligenti.
            Comunque, se ti interessa, per me, che non sono certo uno che la sa lunga, “droga” é qualsiasi sostanza assunta con lo scopo di alienarsi dalla realtà.

          2. Emanuele

            Preferisci sostanze psicotrope… forse è più scientifico e suona più in?

          3. giovanna

            Scusa, Polo, perché hai cambiato nick, prima Obtorto colo, poi Polo ?
            E’ evidente che sei sempre tu che chiedi la definizione di “droga ” e non fa una bella impressione che forse non ti ricordi il nick con cui hai postato il giorno prima e che è nella stessa pagina !

  2. Paolo

    Certo che si fa fatica a educare i giovani, a scuola e in famiglia, quando è proprio lo Stato il primo a indicare strade cattive, ad esempio attraverso la volontà di legalizzare le droghe leggere solo per poter incassare qualche tassa in più.

    1. Obtort Ocollo

      La droga ovviamente non è una strada; casomai è una falsa scorciatoia, per cercare di raggiungere quella felicità cui tutti agogniamo

      singolare visione del mondo e della vita.
      comunque se l’autore mi spiegasse e mi definisse “cosa e’ ” la droga il suo pensiero mi risulterebbe molto piu’ chiaro.

      1. Giannino Stoppani

        “Comunque se l’autore mi spiegasse e mi definisse “cosa e’ ” la droga il suo pensiero mi risulterebbe molto piu’ chiaro.”
        Ecco un bell’esempio di intervento da cui, nelle intenzioni apparenti dell’autore, il malcapitato lettore dovrebbe intendere che l’autore medesimo la sa lunga più dell’autostrada del sole.
        Come Pilato che chiedeva “cos’è la verità” senza rendersi minimamente conto che la “Verità”, proprio quella con la “V” maiuscola, ce l’aveva proprio davanti il muso.
        Suvvia, caro Obtort Ocollo, diccelo te, con parole tue, “cos’è la droga”, così noialtri, che siamo tutti maliziosi per natura, la si abbozza di pensare che tu abbia voluto solo far cadere dall’alto una frase ad effetto.

        1. SUSANNA ROLLI

          Puntuale!

  3. angelo

    E’ in voga anche oggi (anzi oggi più che mai) la cultura della “liberazione”. Uno per realizzarsi deve eliminare le inibizioni e dar sfogo alle sue tendenze e ai suoi istinti senza le censure. Specie quelle della odiata “morale cattolica bigotta”.
    Oggi questa teoria della “liberazione” riceve ancora più forza dalla cultura LGBT, che per affermarsi richiede che vengano distrutti tutti gli orpelli della morale sessuale “tradizionale” e il comune senso del pudore.
    Eppure dovrebbero capire che questa “liberazione” non è liberazione, ma schiavitù dell’ uomo ai suoi istinti.

    1. xyzwk

      Gli istinti sono naturali quanto ogni altra forma di comportamento. Si puó dire che non sempre sono positivi ma la realtà ha dimostrato che molti dei ragionamenti razionali che vorrebbero imprigionare l’uomo dentro una particolare morale (cattolica o meno) hanno prodotto danni altrettanto gravi. Con una differenza rispetto alla “morale cattolica bigotta”, e cioè che oltre a procurare danni agli altri perché si pone al di sopra di qualsiasi altra visione in modo presuntuoso e arrogante, risulta essere frustrante e autolesionista anche per chi la adotta togliendo qualsiasi piacere derivante dalla vita terrena, l’unica di cui abbiamo certezza. Questo non significa che gli istinti non vadano controllati, altrimenti saremmo animali e non umani ma vanno liberati in modo consapevole e cosciente nel momento in cui si decide di farlo, nel rispetto di chi ci circonda.
      Se la vita fosse fatta solo di regole e doveri ingravescenti, che senso avrebbe vivere?

      1. yoyo

        Di fronte ai morti in discoteca non riesci a trovare di meglio che picconare ancora una volta i pochi punti di riferimento rimasti e predicare la liberazione degli istinti. Nietzsche stesso insegna, con la sua vita, che è un inganno autodistruttivo.

      2. Emanuele

        La tua visione della religione e del cristianesimo in particolare è talmente puerile e zeppa di preconcetti che per riuscire a farti arrivare ad una conoscenza minimale servirebbero mesi. Ripeti compulsivamente le stesse tre quattro frasi che avrai letto in qualche sito tipo UAAR, sui libri di Odifreddi o giù di lì… Ovviamente, non avendo basi culturali in merito, qualunque teoria pseudocomplottista ti pare entusiasmante, come quando Giacobbo parla di Chupacapra, Atlantide o Sirene e viene preso sul serio dai Grillini, tanto da parlarne in parlamento.

        Il Cristianesimo, comunque, è tutt’altro che autolesionismo (autolesiniste sono casomai alcune derive eretiche, come il pauperismo) tant’è che gli antichi Greci e Romani denigravano i primi Cristiani etichettandoli come “coloro che amano il corpo” (in contrapposizione alla visione dualista ellenica che vedeva primeggiare lo spirito sul corpo) proprio per le eccessive cure che prestavano ai bisogni corporali (cibo, cure mediche, riposo, etc.)

        Il vero cristiano, in realtà, è gioioso. Quello che per te sono privazioni, sono in realtà rinuncia al superfluo per rimanere in contatto con il reale (contatto, che come ti ho già detto, tu pari aver perso da un bel po’). Non a caso Gesù dice: “la verità vi renderà liberi”. E’ infatti solo conoscendo la verità che si possono optare schelte consapevoli e libere.

        Ad esempio, se ti trovi ad un bivio e non ci sono indicazioni, sei veramente libera di scegliere al strada… no, tutt’al più ti affiderai al caso, ma non sarai libero. Solo se ci sono i cartelli ed essi sono corretti, potrai liberamente scegliere dove andare o non adare.

        Le regole che tu critichi, in realtà sono i cartelli stradali, libera di seguirli o no. La strada che indicano è quella che porta alla realizzazione dell’uomo vero, priva di lacci. La realizzazione del vero Superuomo che non può che essere felice.

        Certo come tutti i grandi obiettivi serve coraggio, determinazione e fatica. Quello che tu chiami autolesionismo è allenamento: come faticoso è il percorso dello sportivo che vuol vincere una gara, così lo è quello dell’uomo che vuol realizzare se stesso. Ma fatica non vul dire tristezza, soprattutto quando si ha in mente la meta.

        Comunque, se ritieni che questo risultato si possa ottenere per altre vie, sono curioso di sapere come. Ad esempio, tu dici:

        “Questo non significa che gli istinti non vadano controllati, altrimenti saremmo animali e non umani ma vanno liberati in modo consapevole e cosciente nel momento in cui si decide di farlo, nel rispetto di chi ci circonda.”

        1. come si liberano gli istinti in modo consapevole e cosciente?
        2. come si fa a capire se stiamo rispettando o meno chi ci circonda?

        P.S.
        l’altra sera parlavi di toni paternalistici… giusto per la cronaca, dare a me che sono credente del presuntuoso, arrogante, frustrato e autolesionista, che tipo di tono è?

I commenti sono chiusi.