
Perché faccio politica. Per un tu e un noi

Carissimo direttore, mi ha sempre colpito lo slogan “la prima politica è vivere”, credo sia stato coniato negli anni ’70 agli albori della presenza pubblica dei cattolici popolari. Io che ho meno di 40 anni, allora non c’ero, tuttavia mi ci riconosco pienamente. La mia prima politica è stata crescere nella mia famiglia, studiare, lavorare, costruire una famiglia mia, incontrare le persone, affrontare le circostanze della vita, quelle belle e anche quelle brutte perché ci sono anche quelle. E tutto ciò a partire da un noi, da qualcosa che ci precede e ci accompagna, da una compagnia come si dice in gergo, un’espressione che per me non è stata e non è solo una parola ma volti, circostanze, luoghi concreti e riconoscibili.
Se devo dire perché “faccio politica” devo partire da qui, da questa radice comune, da questo noi che mi sento di far crescere e tutelare per quello che posso. Un noi che non è lobbismo o consorteria ma che si apre immediatamente al mondo, a tutte le persone che si incontrano a partire da quelle considerate ai margini della società e a vario titolo fragili. Da qualche anno sono anche nelle istituzioni: prima nel Municipio 9 poi in Comune a Milano da qualche mese anche in Regione. Le istituzioni non sono la politica ma possono aiutare la comunità e le persone a crescere. Un approccio “di servizio”, rispettoso delle prerogative della persona e della società civile, può creare spazi, opportunità, occasioni di sviluppo. Penso in particolare al tema dell’inclusione scolastica dei ragazzi con disabilità che in quanto mamma mi sta particolarmente a cuore: partecipando al lavoro con il Ministro dell’Istruzione Valditara mi sono resa conto di quanto concretamente si può fare per venire incontro alle difficoltà di tante famiglie. Ho capito quanto la sensibilità delle persone faccia la differenza anche nei contesti istituzionali, quanto sia rilevante che in un certo posto ci sia “Tizio” con quella cultura, quelle radici, quella trama di rapporti e non “Caio”. L’esperienza di questo anno e mezzo mi porta a dire che nella Lega c’è spazio per portare avanti battaglie importanti su temi che ci sono cari come la sussidiarietà, l’autonomia differenziata, una Regione finalmente padrona dei propri mezzi finanziari, un sostegno reale al terzo settore e ai corpi intermedi. E questa battaglia non la faccio da sola ma con i tanti amici eletti nella Lega nei Municipi a Milano e nei consigli comunali della provincia, che si dedicano con competenza e attenzione alla cura delle proprie comunità.
Spesso ci lamentiamo (e giustamente!) che i meccanismi istituzionali non consentono ai cittadini di incidere concretamente sulle scelte. Nel caso della Regione non è così: il livello decentrato e soprattutto la possibilità di esprimere preferenze e quindi di decidere chi saranno gli eletti in Consiglio Regionale fa si che gli elettori abbiano ancora in mano, anzi nella loro matita, un grande potere: quello di delineare uno scenario e di stabilire anche chi saranno gli interpreti della partitura. Non mi convince la via del “terzo polo” a sostegno di Letizia Moratti, vedendoli operare all’interno del Consiglio comunale di Milano totalmente allineati alla visione della città del Partito democratico, senza segnare di fatto alcuna differenza politica.
Se vincerà Majorino prevarrà un’interpretazione statalista e centralista dove lo spazio per i cittadini sarà solo nominale. Lo si vede bene nella gestione tecnocratica ed elitaria del Comune di Milano nella quale Majorino ha svolto per anni un ruolo centrale come Assessore al Welfare. Se vincerà Fontana invece, pur con tutti i limiti di questo centrodestra anch’esso talvolta tentato dal populismo e dall’assistenzialismo, resterà aperto uno spazio di manovra per la società civile e i corpi intermedi.
Per questo mi ricandido in Regione Lombardia a sostegno di Attilio Fontana: perché ritengo che nel centrodestra ci sia tutto lo spazio politico per coltivare certi temi, per combattere nei fatti l’ingerenza della burocrazia nella vita delle persone, per aiutare a crescere tramite i molti fondi a disposizione della regione quelle realtà del privato sociale che nascono dal basso, conoscono il territorio, operano davvero per il bene delle persone. Per questo chiedo il voto anche per me: chi mi conosce sa che non mollo mai e soprattutto non mi monto la testa, almeno ci provo con l’aiuto di mio marito e degli amici. Ho imparato a riconoscere le lusinghe del potere e ne sono in qualche modo vaccinata anche se, come ha detto papa Francesco nell’Udienza Generale del 14 dicembre scorso, «se manca la vigilanza, è molto forte il rischio che tutto vada perduto. Non si tratta di un pericolo di ordine psicologico, ma di ordine spirituale, una vera insidia dello spirito cattivo. Questo, infatti, aspetta proprio il momento in cui noi siamo troppo sicuri di noi stessi, è questo il pericolo: “Sono sicuro di me stesso, ho vinto, adesso sto bene…” è quel momento che lo spirito cattivo aspetta, quando tutto va bene, quando le cose vanno “a gonfie vele” e abbiamo, come si dice, “il vento in poppa”».
Io so di rispondere sempre a qualcuno là dove sono. E questa consapevolezza è la miglior garanzia del mio impegno.
Deborah Giovanati
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