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Gino Bartali, campione di generosità e coraggio in bicicletta

25<<Il bene si fa ma non si dice>>. E’ il modo di dire di coloro che non hanno bisogno di pubblici riconoscimenti che confermino – spesso in modo inutilmente retorico – la bontà delle loro azioni. E’ anche il motto di coloro che fanno del bene per il prossimo il proprio stile di vita, la propria missione. Ed infine, è stata anche una frase ricorrente di Gino Bartali, il campione di ciclismo, vincitore di due Giri d’Italia (1936 e 1937) e del Tour de France (1938), che con le sue due ruote ha rischiato la propria vita per salvare quella di altre persone. Esce oggi, nella Giornata della Memoria, il libro La Bicicletta di Bartali (notes edizioni, euro 9,50), che narra come oltre ottocento ebrei hanno potuto salvarsi dai campi di sterminio nazisti grazie ai documenti falsi che Gino nascondeva nella canna della sua bicicletta verde. La testimonianza del figlio del campione, Andrea Bartali, è stata raccolta da Simone Dini Gandini, mentre le illustrazioni che accompagnano il testo sono di Roberto Lauciello.

Siamo nel 1943-44 e la bicicletta da corsa di Ginettaccio, come lo chiamavano negli ambienti del ciclismo, sale e scende le colline toscane, porta la speranza e la sua aura magica rende il racconto ambientato in un contesto amaro, dolce come una fiaba. Si, perché dopo l’8 settembre i tedeschi erano diventati nemici e avevano cominciato con rappresaglie e deportazioni, facendo fuori, come se non bastassero, dieci italiani ogni tedesco scomparso. Con l’esercito allo sbando e l’inferno dietro ogni porta, pensiero comune è quello di salvare la propria pelle. Gli atti eroici sono un dono per pochi eletti. Un dono che Bartali sa usare bene: infrange la legge, perché in certi casi è l’unica cosa giusta da fare, e trasmette in solitaria quei documenti correndo sulle strade dissestate dalle bombe. Solo così potrà donare una nuova identità agli ebrei che alcuni religiosi nascondono in vari conventi della Toscana. Una missione quasi impossibile che non confessa né alla moglie Adriana, né al piccolo Andrea. Una volta avuti i documenti, per il tramite di preti e suore, al di sopra di ogni sospetto, gli ebrei possono uscire dai nascondigli e recarsi a Genova per imbarcarsi verso la libertà: il Sud America, l’Argentina, l’Uruguay.

Ma a un certo punto qualcosa va storto e Bartali viene fermato per una lettera sospetta che il vescovo di Firenze gli ha mandato per ringraziarlo della sua carità. Fermato e portato a Villa Trieste, verrà salvato dalla sua fama, che sempre lo ha preceduto. Il resto ve lo racconterà il libro, che alla fine riporta la testimonianza di Andrea Bartali che racconta gli anni della guerra, quando lui era un bambino, e altri momenti di vita del padre campione e della famiglia.

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