Gigi Simoni: «Vi racconto quando la mia Cremonese conquistò Wembley»

Di Daniele Guarneri
27 Marzo 2013
Era il tecnico dei grigiorossi, che vent'anni fa esatti vincevano a Londra il loro primo trofeo internazionale. «Fu una gioia pari solo alla Coppa Uefa vinta con l'Inter. Non dimenticherò mai quello stadio».
Ronaldo (S) posa con Gigi Simoni al termine del suo primo allenamento con l'Inter, in una immagine del 26 luglio 1997. ANSA/PINO FARINACCI

Vent’anni sono passati, ma è come se fosse ieri. Le vie del centro di Cremona gremite di tifosi in festa, bandiere grigiorosse sventolate da balconi e macchine, cori a inneggiare gli eroi della squadra guidata da Luigi Simoni che qualche ora prima aveva conquistato il primo, e per ora unico, trofeo internazionale della Unione Sportiva Cremonese. Sabato 27 marzo 1993, stadio Wembley, Londra. La Cremonese sfida il Derby County di Arthur Cox per la conquista della Coppa Anglo-Italiana. La formazione inglese, nata nel 1884 è tra i membri fondatori della Football League; nella sua bacheca sono esposti due titoli nazionali, una Coppa di lega, una Supercoppa inglese. Vanta addirittura una semifinale di Coppa dei Campioni, persa contro la Juventus. La formazione di Cox, i Rams (gli arieti), hanno la fama di squadra spettacolo. Le cronache dell’epoca non li descrivono come una formazione eccezionale tecnicamente, ma in quanto a fisicità e agonismo non sono meno a nessuno. Al contrario, i grigiorossi di Simoni hanno dimostrato fin dall’inizio della stagione di potersela giocare anche con formazioni di Serie A; forse la difesa non è la migliore di sempre, ma il tasso tecnico del centrocampo è di categoria superiore: pressing asfissiante, verticalizzazioni e giocate di prima. In attacco, le punte sono rapide e letali.

“OLD LONGOBARDS”. A Wembley, in quello che era considerato una delle meraviglie dello sport mondiale, al seguito dei giocatori e di tutta la dirigenza si presentano oltre un migliaio di tifosi grigiorossi con magliette personalizzate “Old Longobards”. La Cremonese è la terza squadra di club italiana a giocare nel mitico stadio, la seconda a vincere. Prima di lei il Milan e la Sampdoria in due finali di Coppa Campioni. A sostegno dei Rams 40.000 tifosi, scesi a Londra da Derby, una delle principali città delle Midlands Orientali. Al fischio d’inizio la tensione in campo e sugli spalti si fa sentire, ma gli uomini di Simoni prendono subito in mano il pallino del gioco, costringendo gli avversari a difendersi. Sarà così per novanta minuti. Sembra una gara d’altri tempi, con duelli epici come quello tra Gualco e l’inglese Gabbiadini. Sul piano del gioco non c’è partita: la Cremonese domina e passa tre volte con Verdelli (uno dei rarissimi gol del capitano); pareggia Gabbiadini con una bella azione di contropiede; Nicolini sbaglia un rigore e le squadre vanno negli spogliatoi sul punteggio di parità. A riportare in vantaggio la Cremonese ci pensa Maspero, su rigore; la Cremo potrebbe passare ancora ma il definitivo 3 a 1 arriva solo all’83esimo e porta la firma dell’amatissimo goleador della stagione: Andrea Tentoni. Più che una vittoria, un trionfo.

«LE DUE TORRI DI WEMBLEY, SIMBOLO DELL’IMPERO». «Due cose mi rimangono nel cuore di quel 27 marzo 1993: i tifosi che ci hanno accompagnato e lo stadio. Da bambino guardavo le partite di Coppa d’Inghilterra, per me era la cosa più bella del mondo con quelle due torri gemelle simbolo dell’impero. Trovarmi in quel teatro, su quel prato: non lo dimenticherò mai», parla così Luigi Simone, il tecnico dell’impresa, quello che ha reso grande la società lombarda con tre salvezze consecutive in Serie A, quello che ha lanciato molti ragazzi che hanno poi fatto la fortuna di tanti club italiani. «È stata una tappa fondamentale, ma ci siamo resi conto solo più tardi di quello che avevamo fatto». Quella stagione si è conclusa poi con la conquista della Serie A. «Emozioni diverse, il campionato è lungo, un anno di sacrifici. Però io ne ho vinti 11, quindi diciamo che sono un po’ più abituato. La vittoria di Wembley la paragono solo alla Coppa Uefa che ho conquistato con l’Inter. Una competizione lunga, faticosa, con trasferte lontane. Si pensava partita dopo partita e arrivati in finale eravamo già contenti, siamo scesi in campo tranquilli, c’era un’emozione positiva. E abbiamo stradominato la partita». Valori individuali incredibili, ma la vera forza era il gruppo: «Messi assieme eravamo un bella squadra e lo abbiamo dimostrato negli anni. Chi è partito da Cremona ha dimostrato di avere le doti tecniche e umane che servono per sfondare e infatti lo hanno fatto. Sono stati anni splendidi e questo ti fa pensare che tutto era meglio di oggi, però io sono stato assunto e lavoro per progettare un futuro degno di questa città. Sono arrivato a gennaio, a progetto iniziato, sto valutando situazioni e valori ma sto già progettando il domani».

«CREMONA ERA UN’ISOLA FELICE». Tra i protagonisti dell’Anglo-italiano anche Ettore Ferraroni. Titolare inamovibile per tutto il torneo, la finale invece l’ha vista dalla panchina. «E questo è l’unico rammarico. Avere giocato tutte le partite e non la finale fa male, ma la vittoria mi ha fatto dimenticare tutto». Anche Ferraroni sottolinea che quella vittoria è stato il punto di partenza degli anni successivi: «È stato un risultato importante, straordinario, ma quello che abbiamo fatto dopo lo è stato ancora di più. Tre salvezze consecutive, 8 vittorie consecutive in trasferta, ovunque andavamo facevamo bella figura, abbiamo fermato Milan, Inter, Juve. Sono stati anni fantastici e il merito va diviso tra giocatori, dirigenza, tifosi e stampa. Eravamo tutti uniti, Cremona era un’isola felice. E pensi che le potenzialità economiche di allora erano molto inferiori alle attuali. Eppure dallo Zini sono passati campioni: il migliore è stato Chiorri, un pittore, estroso, un giorno non faceva altro che parlare, l’altro ti salutava all’arrivo e quando andava via. Io mi cambiavo vicino a lui, è stato il migliore con cui ho giocato. Il nostro centrocampo con Nicolini, Maspero e Cristiani faceva grandi cose e poi in attacco Tentoni, Dezotti e Florijancic. Con Montorfano e Verdelli come uomini spogliatoio e Simoni come maestro di tattica e di vita».

Foto Ansa

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