Giannino: Troppe polemiche partigiane sul “papello”. Io non ci sto

Di Oscar Giannino
18 Marzo 2012
È da quando sono saltati fuori i nomi di alcuni “numi tutelari” della Repubblica, che una parola chiara non è più venuta sulla storiaccia della “trattativa”, e delle palle siderali raccontate da Ciancimino junior. Pubblichiamo la rubrica "Non sono d'accordo" di Oscar Giannino apparsa sull'ultimo numero di Tempi.

La Cassazione ha sentenziato che il processo a Marcello Dell’Utri è da rifare. Credo che l’unica cosa da dire sia esattamente questa. Che il processo si rifaccia. Leggeremo il dispositivo della sentenza, che non conosciamo e dunque non si capisce su quali basi siano immediatamente fioccate le asperrime critiche al procuratore generale Francesco Iacoviello, da parte di magistrati come Antonio Ingroia e Gian Carlo Caselli.

Alla condanna per sette anni di Dell’Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, si giunse per sentenza della Corte d’Appello, nel giugno 2010. Fu ritenuto colpevole di aver fatto da mediatore tra Silvio Berlusconi e la mafia. L’accusa sostenne allora che Dell’Utri lo avesse sempre fatto. Ma la Corte, nelle 641 pagine di motivazione della sentenza, decise diversamente, pur accogliendo l’accusa: sentenziò che Dell’Utri era stato mediatore solo fino a un certo punto. Per la precisione fino agli anni Ottanta, quando mediare tra Berlusconi e mafia comportava parlare di piccioli e di affari. Successivamente, quando la faccenda divenne politica, secondo la Corte negli elementi addotti dall’accusa non c’era più evidenza che Dell’Utri mediasse tra mafia e Berlusconi per influenzarne la politica. A risultare non credibili erano le dichiarazioni in tal senso rilasciate da un pentito che molto ha fatto parlare di sé nella storia, quel Gaspare Spatuzza che prima fu creduto e dimostrato credibile per quanto disse sull’assassinio di Paolo Borsellino, portando a smantellare tesi in proposito già asseverate da sentenze definitive. Ma lo stesso Spatuzza venne poi totalmente a cadere nella sua credibilità per quanto continuò a dichiarare.

Il punto centrale della presunta funzione mediatoria di Dell’Utri tra mafia e Berlusconi si riferisce a una ricorrente ombra irrisolta nel passato della Repubblica, e cioè all’arcifamosa presunta trattativa sul “papello” con il quale il vertice di Cosa Nostra chiedeva alla politica l’allascamento delle misure per i boss mafiosi di custodia rafforzata in carcere ex 41 bis. Proprio nell’estate del 2010 emersero però particolari prima ignoti, essenziali per ricostruire quella delicata vicenda. Effettivamente governi dell’epoca adottarono misure di revoca del carcere duro per i mafiosi. Ma furono il governo Ciampi nel 1993 e prima ancora quello Amato. Il ministro della Giustizia che assunse la seconda revoca era Giovanni Conso. E Conso nel 2010 dichiarò di averlo fatto per evitare altre stragi, segno che – sapesse o meno del papello – quanto meno per propria forza immaginativa si era convinto che un legame possibile ci fosse fra il carcere duro per i mafiosi e l’attacco armato che le cosche portavano in quei mesi. Conso parlò anche della sostituzione del capo del dipartimento dei servizi penitenziari, e disse che era stato Oscar Luigi Scalfaro a disporla e a proporgli il subentrante.

Naturalmente i nomi di Ciampi e di Amato, di Conso e di Scalfaro suonarono allora totalmente dissonanti dalla tesi che da anni si cerca di sostenere, e cioè che la mafia cercasse in Berlusconi il suo tutore, tanto da averlo finanziato prima e aiutato alla presa del potere poi. Ed è forse anche perché quei nomi sono da sempre iscritti nell’albo d’oro dei numi tutelari della Repubblica, del diritto e della magistratura, che da allora una parola chiara non è più venuta su questa storiaccia del papello, e delle palle siderali raccontate da Ciancimino junior quando ancora le procure lo prendevano per oro colato, prima di capire che trattavasi di interessato e millantatore princisbecco.

Di quella trattativa, dunque, non sappiamo ancora bene, se mai lo sapremo. Come dispero delle nuove indagini sui presunti traditori di Stato nei confronti di Borsellino, a tanti anni di distanza dai fatti e dopo i tanti procedimenti che hanno colpito questo o quell’appartenente a corpi dello Stato nei confronti del quale le procure abbiano nel tempo maturato sfiducia, diffidenza e sospetto. Di sicuro Berlusconi e Dell’Utri non potevano svolgervi alcun ruolo. Al governo stavano altri, siamo ben prima del 1994. E subito dopo, in ogni caso, le revoche al 41 bis furono revocate e il carcere duro ai mafiosi rimesso in vigore.

Finché non leggeremo il dispositivo di Cassazione, non sapremo perché la Suprema Corte ritenga che a Dell’Utri non sia stato riservato un giusto processo. Perché questo è il rilievo essenziale della sentenza. E qui bisogna fermarsi. Tutto il resto appartiene allo smisurato eccesso con cui da 18 anni la partigianeria politica tenta di usare sentenze e magistrati per fare politica e riscrivere la storia politica. Da anni ho smesso di fare polemica contro chi tenacemente persegue questo filone, sia esso appartenente alla comunità mediatica o a quella della magistratura. Ho sperimentato più volte che nei confronti di chi concepisce il diritto come strumento per condannare l’avversario, anzi il nemico, la pura logica deduttiva e il puro amore per condanne che devono intervenire – si studia così – solo oltre ogni ragionevole dubbio vengono confusi e spacciati invece per compiacenza e connivenza. È del tutto inutile. Significa solo perdere tempo.

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