Giannino: Insisto, discontinuità nel Pdl o vincerà il partito tasse&pm

Di Oscar Giannino
10 Novembre 2011
Spero che Formigoni non si fermi nella sua azione di critica iniziata sui tagli alle autonomie virtuose, e poi estesa a Pdl e governo. Mi auguro che vada avanti senza curarsi di chi alimenta veleni e vendette. Anticipiamo l'articolo di Oscar Giannino che uscirà sul numero 45/2011 di Tempi da giovedì in edicola

Anticipiamo l’articolo di Oscar Giannino che uscirà sul numero 45/2011 di Tempi da giovedì in edicola.

Sono abbastanza senza parole, ma non perché non me lo aspettassi. Chi mi legge su Tempi sa che da molti mesi ho qui indicato la necessità di una forte discontinuità, a chi crede di potersi e doversi battere per un centrodestra che non resti seppellito sotto le macerie di una perdita di credibilità tanto forte del suo leader-fondatore e – purtroppo – del paese per effetto di rinvii, dilazioni e divisioni nel governo che ne hanno minato l’operatività e la capacità di una seria ed efficace risposta davanti alle domande impellenti che ci venivano dall’Europa e dai mercati internazionali.

Francamente, non mi lascia senza parole che il fondatore del Pdl ricorra a quella fatidica espressione, “traditori”, che in politica è sempre il segno di aver smarrito le categorie essenziali dell’azione pubblica, fondata su ben altro che la fedeltà personale che si deve o a tua moglie nel matrimonio, o al tuo signore se ne sei servo. A lasciarmi senza parole è invece il numero ancora troppo ridotto di personalità politiche nel centrodestra che pubblicamente affermino e articolino la necessità di una discontinuità. E quando parlo di personalità del centrodestra mi riferisco al sottoinsieme di coloro che sono dotati di una propria esperienza e testa politica, non sto parlando del vasto numero di beneficati e beneficate, che son stati prescelti in quanto considerati non titolari di un proprio discernimento. Ci sono eccome, e sono tanti, troppi, inutile far finta di no. Singolarmente, ad avermi scaldato il cuore sono i Cazzola, gli Stracquadanio e le Bertolini, che hanno chiesto il passo indietro al premier senza poter essere sospettati nemmeno per un secondo di averlo maturato subdolamente, seguendo il per altro rispettabilissimo piffero di Pier Ferdinando Casini – lo rispetto perché lui del dissenso da Berlusconi ha fatto questione politica sottoposta all’elettorato in politiche e amministrative, e non è facile con questa legge elettorale, e per di più lo ha fatto senza mai trascendere alla Fini, e anche questo fa la differenza –, le suggestioni che molti attribuiscono alla Cei o qualunque altro istinto di pura sopravvivenza parlamentare che spiega fenomeni alla Scilipoti&co.

A colpirmi è che non siano i Sacconi e i Brunetta, per dirne due, ad aver detto a Berlusconi che in politica quando si commettono troppi errori di seguito, quando è a picco la considerazione internazionale prima ancora dei sondaggi domestici, l’unica maniera è tirare una linea. Perché se non lo si fa una sconfitta può diventare una tragedia, una battuta d’arresto un’implosione e un’esplosione. È assolutamente stupefacente assistere al rito delle dichiarazioni a tg e gr di esponenti politici pensanti del centrodestra che fanno a gara a chi ripete che Berlusconi qui e Berlusconi là, la crisi è figlia di un complotto e le opposizioni facciano il piacere di piantarla. Sono gli stessi esponenti che a quattr’occhi ti dicono: «Ma come si fa? Lui non capisce», e non si rendono conto che nel dirtelo ammettono che siamo ormai fuori da ogni vicenda politica, siamo nello psicodramma familistico, una versione italica di Ibsen applicata all’ipocrisia latina invece della disperazione anseatica e calvinista.

In tempi di ferro servono uomini di ferro
Capisco se immaginano che il centrodestra si conclude con Berlusconi, e dunque sono convinti di condividere perinde ac cadaver la sua parabola, sciabl-mano contro una linea di cannoni tutti frementi di bella morte come Ney sul campo di Waterloo. Ma chi non abbia di queste idee tra Byron a Missolungi e l’assenzio bruciacervelli dei decandenti, e pensi invece che la politica abbia ancora vagamente a che fare con l’idea di non darla vinta al partito della patrimoniale per tutti e dei pm per pochi, non può che pensare e dire che il danno provocato all’Italia è infernale e il passo indietro del premier occorre eccome. Ecco perché spero che Formigoni non solo non si fermi, nella sua azione di forte critica pubblica iniziata molti mesi fa respingendo i tagli ingiustificabili riservati proprio alle autonomie virtuose, ed estesa poi al Pdl, alla richiesta di primarie a qualunque livello e anche alla guida del governo. Ma mi auguro il presidente della Lombardia vada avanti, senza curarsi di chi alimenta veleni e arma sciocche e tardive vendette mediatiche.

I tempi sono di ferro, perché Berlusconi rischia ormai quasi imprescrittibilmente di legare il suo nome a una delle più serie crisi internazionali che l’Italia abbia mai dovuto attraversare sui mercati. E nei tempi di ferro servono uomini di ferro. Il paradosso è che nel Pdl ce ne siano pochissimi. E che lo sia invece – ma non me ne stupisco – proprio il ministro al quale si devono, oltre al rigore di questi anni, anche tutte le altre scelte di politica economica che i mercati considerano deficitarie, e per le quali buttano fuori dal ring un Berlusconi che la credibilità l’aveva persa prima e di suo.

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