Giannino: Il Comune di Milano lo vorrei più sussidiario

Di Redazione
17 Maggio 2012
Intervista a Oscar Giannino. «Un nuovo Comune sussidiario, al posto di quello solidamente e arcignamente incardinato a difesa del modello di socialismo municipale».

Esce oggi con il settimanale Tempi, lo speciale Più mese dedicato a Milano. Il titolo di copertina è “Largo a chi ha voglia di fare” e, al suo interno, vi si trovano sette interviste a voci illustri della città, cui sono state poste nove identiche domande. Hanno risposto Oscar Giannino, editorialista e conduttore di radio 24, Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni, Jacopo Tondelli, direttore del sito web Linkiesta, Paola Soave, Sindacato delle Famiglie, Danilo De Biasio, ex direttore di radio Popolare, Luca Fois, designer e docente del Politecnico di Milano, Gabriele Albertini, ex sindaco della città ed europarlamentare. Cominciamo oggi con la pubblicazione delle interviste. Ecco quella a Oscar Giannino.

Il debito del Comune di Milano ha assunto le stesse patologie del debito dello Stato. Continua a crescere e non c’è diretta corrispondenza tra i sacrifici richiesti ai cittadini e i servizi erogati.

Nomini un servizio pubblico che potenzierebbe e perché.
Il sostegno alla famiglia. Le risorse a disposizione per strutture direttamente comunali sono e resteranno inadeguate. Occorre un’integrazione reale con nidi offerti e realizzati dal tessuto di medie e grandi imprese cittadine in una logica di trade-off tra sgravio autorizzazioni e vincoli da contrattare con Assolombarda; andrebbero inoltre rivisti criteri Isee per l’ammissione a graduatorie di diritto al servizio, da concordare il più possibile con analoga iniziativa da parte di Regione Lombardia, al fine di evitare il classico bias italiano di servizi offerti per mero criterio di anagrafe tributaria personale, come sappiamo assai distorcente. Infine aggiungerei l’adozione di quoziente Famiglia 2.0 rispetto ad esperienze Parma e analoghe, per l’intera struttura di tariffe e imposte di pertinenza comunale.

E un servizio che non farebbe fare più al Comune?
La gestione diretta di impianti sportivi, piscine campi etc, e anche quella delle biblioteche decentrate di zona. Si tratta di centinaia di dipendenti. Le strutture e l’offerta nel comparto fanno certamente parte di un’offerta di base pubblica qualificante, da determinare secondo standard di qualità di servizio attentamente monitorati, ma può e deve essere più efficientemente gestita da privati prescelti mediante gara.

Le tasse non bastano mai. Come potrà sopravvivere Palazzo Marino?
È tempo di operazioni straordinarie, innanzitutto. Dismettendo partecipazioni e controllate. Avviando nel settore immobiliare un’azione analoga a quella che a livello nazionale nessun governo riesce sinora – incomprensibilmente – a varare, con la costituzione di un fondo chiuso da affidare a players del mercato il cui obiettivo sia la cessione vantaggiosa di decine di proprietà attuali, a cominciare dal grande complesso di via Larga, la realizzazione a minor costo di nuove sedi concentrate, la valorizzazione dell’intero patrimonio immobiliare così rideterminato.

Non sarebbe opportuno ripensare il suo ruolo?
Da tre decenni si trascina il dibattito nazionale sulle grandi aree metropolitane, e sulla profonda revisione delle loro competenze e dotazioni, rispetto a un ordinamento che quanto ad autonomie comunali restava improntato a una modellistica amministrativa pazzoticamente standard, dal più piccolo municipio di 80 abitanti alla metropoli di un paio di milioni. A questo si è aggiunta la torsione del Patto di Stabilità interno, centralisticamente congegnano ai soli fini di determinare i livelli di corresponsabilità al raggiungimento degli obiettivi di rientro di finanza pubblica nazionale – il che è giusto; ma evitando di distinguere tra chi si presentava con bilanci virtuosi e chi invece con debiti ingenti, che abbiamo continuato a ripianare, con meccanismi discrezionali in ragione della vicinanza tra questa e quella amministrazione cittadina in semidefault e il decisore politico protempore a palazzo Chigi; a ciò si è infine aggiunta anche la pregiudicazione, in questa legislatura, di un ordinato passaggio in un orizzonte breve e certo a un quadro credibile di maggior autonomia impositiva basata su princìpi di accountability e di federalismo fiscale: sono molto pessimista sul fatto che si possa giungere al traguardo nel 2019.

Immagini un Comune dimagrito del 90 per cento: personale, spesa corrente, quote azionarie, patrimonio immobile, rappresentanti politici. Le piace?
Migliaia di Comuni su 8.100, diciamo quasi la metà, potrebbero e dovrebbero sparire accorpando a un livello superiore dotazioni e servizi. Il Duce del fascismo ne fece sparire duemila, poi naturalmente restituiti dalla Repubblica. Rispetto ad allora faccio sommessamente notare che l’economia, quanto a studio delle aree ottimali di offerta di servizio, ha fatto qualche piccolo passo avanti, come la tecnologia… Il punto non è di tagliare tutti allo stesso modo, ma di darsi un criterio energico coerente al ridisegno generale della pluralità – eccessiva – di livelli politico-amministrativi.

Un giorno senza Comune. È un pensiero assurdo?
Sì, lo è. Perché il Comune è il primo livello di prossimità per le politiche sociali e infrastrutturali. Il problema non è abolire il Comune, ma l’idea di un nuovo Comune sussidiario, al posto di quello solidamente e arcignamente incardinato a difesa del modello di socialismo municipale.

Dal Comune che fa e spende per te al Comune che stabilisce regole e spinge a fare. È d’accordo?
Fatta a me, la domanda è ultronea. È il salto in avanti che dovrebbe fare l’intero apparato pubblico in Italia, non solo il Comune. Da noi “pubblico” resta sinonimo di “gestito da amministratori e dipendenti pubblici”. Idea sbagliata, quando il pubblico intermedia direttamente ormai oltre la metà del reddito nazionale, al costo di una pressione fiscale in continua crescita all’inseguimento di spesa corrente che fa da lepre. “Pubblico” è ciò la cui offerta va decisa dalla politica e invigilata da Autorità il più possibile indipendenti, ma gestito da dipendenti privati e senza garanzie pubbliche sul debito derivante da cattive gestioni.

Inventi un servizio che ancora non esiste. 
La revisione del bilancio esterna agli organi preposti nell’attuale ordinamento al ruolo di sindaci e certificatori.

A chi lo farebbe fare?
Sul conto economico come sulla parte patrimoniale, dal collegio dei commercialisti all’associazione degli analisti finanziari, fino a banche piccole medie e grandi, ogni anno a rotazione senza instaurare rapporti cristallizzati. E con un rendiconto alla cittadinanza, aperto via internet con procedura di consultazione ante approvazione aperta all’intera società civile per osservazioni e controproposte. Non deve valere solo per il Pgt, ma per l’intero bilancio di quella grande holding che è il Comune di una metropoli come Milano. Ogni anno.

 

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