Giannino: I manifesti, le paure e le disillusioni degli industriali

Di Oscar Giannino
05 Ottobre 2011
Non si tratta più di esaminare il fondamento delle indagini codice alla mano. La saturazione verso il premier è stata raggiunta per la compromissione pubblica dei comportamenti e della credibilità. Anticipiamo l'articolo di Oscar Giannino "Ecco perché per gli industriali l’emergenza non è più la giustizia", in uscita sul numero 40 di Tempi di domani giovedì 6 ottobre

Anticipiamo l’articolo di Oscar Giannino “Ecco perché per gli industriali l’emergenza non è più la giustizia”, in uscita sul numero 40 di Tempi di domani giovedì 6 ottobre

Quest’oggi il quesito rivoltomi dal direttore di Tempi è apparentemente paradossale. Ma come mai dal fronte delle imprese italiane vengono segnali o tutti compresi nell’ambito delle politiche economiche e fiscali – il manifesto firmato da Confindustria insieme a cooperative, banche, assicurazioni, artigiani e commercianti – o sindacali – l’uscita della Fiat da Confindustria – o ancora in un terreno a metà più politico che economico, come la dichiarazione-manifesto pubblicata a pagamento sui media da Diego Della Valle? Come mai in nessuno di questi eclatanti pronunciamenti di marca imprenditoriale si sente una sola parola dedicata alla giustizia, la vera sabbia negli ingranaggi politici ed economici del nostro paese?

La mia risposta è del tutto opinabile. Ma, in effetti, in tutti i più recenti sondaggi che mi siano capitati recentemente sott’occhio, svolti da istituti demoscopici o per conto di associazioni d’impresa, la priorità della giustizia viene molto dopo, rispetto al sostegno alla crescita economica che si teme vada a zero se non sotto nel 2012, alla preoccupazione per il credit crunch verso imprese e famiglie visti i costi del rischio-paese introiettati nella provvista di capitale delle banche e traslati alla clientela, e rispetto alla perdita di credibilità ed efficacia del governo. Può cambiare l’ordine di questi tre fattori a seconda delle settimane, ma sono loro ad essere in vetta alle preoccupazioni degli imprenditori. Non dico che la giustizia sia assente, ma viene molto dopo.

Se dovessi azzardare un’interpretazione, direi che pesano almeno tre fattori diversi. Il primo secondo me è il meno rilevante, ma riguarda le imprese stesse e direi che funziona da riflesso condizionato. Quando alle imprese è capitato di esprimere giudizi in qualche modo critici o almeno problematici nei confronti di atti giudiziari o di sentenze della magistratura, nel mondo dei media e delle istituzioni è scattata puntuale una reazione di immediata sanzione. Faccio un solo esempio, del quale ho per altro qualche responsabilità, che ho ammesso. Quando alle assise di Confindustria di Bergamo, presenti ben seimila imprenditori da tutta Italia, ho dato personalmente la parola all’amministratore delegato di Thyssen Italia, condannato in primo grado per omicidio volontario (si è trattato della prima applicazione nell’intero mondo avanzato di un simile capo d’imputazione, per il capoazienda di un’impresa nella quale avviene un incidente grave sul lavoro), ho pronunciato qualche parola del tutto mia personale sull’opportunità di una tale novatio giurisprudenziale, e sono scattati applausi. L’effetto mediatico è stato pesantissimo. Confindustria si è dovuta scusare con le famiglie delle vittime e ha dovuto diramare un comunicato durissimo. Mancavano pochi giorni all’assemblea annuale nella quale doveva intervenire il capo dello Stato, e se non si fosse proceduto in quel modo magari il Quirinale avrebbe potuto riconsiderare la disponibilità già data. Ricordo a tutti che le imprese italiane hanno da qualche anno a che fare con una legge, la 231, che consente al pm di bloccare conti e l’intera operatività dell’azienda in caso di ipotesi di reato di manager o dipendenti, anche questa una norma senza eguali in Occidente. Diciamo che le imprese hanno imparato che devono stare molto attente, quando si parla di giustizia.

C’è anche un po’ di interessato cinismo
La seconda ragione pesa di più, ed è collegata non al sistema-giustizia ma agli effetti d’impresa che negli ultimi anni hanno esercitato le indagini di molte procure collegate a casi eclatanti. Dalle compagnie telefoniche per le indagini sulle false sim al danno all’immagine di Finmeccanica nel mondo per il succedersi tumultuoso da un anno e mezzo di notizie provenienti da indagini aperte da diverse procure, non sono mancati esempi molto rilevanti nei quali i tempi lunghi e le ripercussioni mediatiche immediate provocano cali negli ordini e abbattimento di valore. Se pensate che proprio per questo le imprese dovrebbero protestare, ignorate che più ancora in tempi di crisi l’effetto è invece approfittare dei danni al concorrente e confidare in se stessi.

Infine il terzo fattore, quello che pesa di più. La politica, caro direttore e caro lettore. L’effetto che sulle imprese hanno generato gli ultimi due anni, dall’apertura del caso Ruby alle escort pugliesi, non è diverso da quello suscitato nella media del paese. O ai vertici della Conferenza episcopale italiana. Disillusione, scoramento, fastidio. Non si tratta più di esaminare il fondamento delle indagini codice alla mano, o se sia giusto che una e anzi più procure dichiarino di perseguire una tentata estorsione al premier che nega per parte sua di averla subita ma solo perché così si indaga comunque il premier. L’effetto-saturazione è stato toccato grazie alla compromissione pubblica dei comportamenti e della credibilità personale. Per questo in sempre minor numero cittadini e imprenditori si scandalizzano della giustizia, piuttosto che di chi essa tiene nel mirino.

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