Gianni De Michelis: «L’antipolitica è vuota»

Di Emanuele Boffi
20 Settembre 2007
L'antipolitica di Grillo e le prediche sulla casta sono solo l'altra faccia della medaglia di una politica che non sa più decidere. «Ma una soluzione per la demagogia e l'immobilismo esiste. Ed è vecchia di quindici anni».Parla uno dei bersagli preferiti dei qualunquisti sfanculanti d'Italia

E’ morto questa notte Gianni de Michelis, 78 anni, socialista, ministro. Ripubblichiamo una sua intervista a Tempi del 2007, periodo in cui il suo nome veniva denigrato in piazza da Grillo come emblema della Casta.

Sarà questione d’eleganza, o forse più precisamente di stoffa umana, ma Gianni de Michelis – più volte ministro italiano, figura storica del socialismo nostrano, oggi europarlamentare e presidente del Nuovo Psi – non fa nemmeno per un attimo accenno alle insolenze che quel guitto di Beppe Grillo ha urlato in piazza al suo indirizzo. Per la cronaca, tra un vaffa e l’altro, il comico genovese ha urlato: «Pavarotti è morto e De Michelis è ancora vivo: nemmeno Dio è democratico». Strano paese l’Italia. E strani i suoi rappresentanti. Uno va in piazza a insultarli e loro quasi quasi lo ringraziano. Fausto Bertinotti, presidente della Camera, ha trovato il modo di dare dignità d’argomento a una villania: «C’è una crisi grande della politica, ma Grillo riempie un vuoto con materiale discutibile. La sua denuncia però va raccolta». Giuliano Amato, ministro dell’Interno, ha sottilmente chiosato che «certi calci nel sedere servono». Giulio Santagata, ministro per l’Attuazione del programma, s’è dichiarato «pronto a firmare e a sostenere in Parlamento le istanze di Grillo». Antonio Di Pietro, ministro per le Infrastrutture, s’è identificato totalmente con lo spirito fanculesco: «Oggi mi sono tolto la giacchetta da ministro e ho messo quella da cittadino perché sento il bisogno di appoggiare un’iniziativa che è un ddl di iniziativa popolare (sic) affinché il Parlamento venga scosso da un’ondata di democrazia diretta». Il capogruppo al Senato del Prc, Giovanni Russo Spena, ha ritenuto doveroso precisare che «molti degli obiettivi del V-Day sono del tutto condivisibili e condivisi». Walter Veltroni, candidato in pectore alla guida del Partito democratico, ha dato una timida adesione. A destra, non sono mancate le parole d’assenso e più di un leader – da Gianfranco Fini a Roberto Calderoli – ha asserito che la questione è seria e il problema non è da sottovalutare. «Dobbiamo aggredire la cattiva politica dei privilegi e degli sprechi con un risposta netta, senza eccessive prudenze. Dobbiamo incarnare la buona politica», ha spiegato ai suoi il leader di An. Grillo, per non sbagliare e per non dimenticare nessuno, li ha risfanculati tutti.
Onorevole De Michelis, il V-Day di Grillo è stato su tutti i quotidiani per giorni. Il libro La casta di Gianantonio Stella e Sergio Rizzo ha avuto un grande successo. L’ultima copertina dell’Espresso se la prende col ministro Clemente Mastella per un viaggio su un aereo di Stato al Gran premio di Monza. è un diluvio di commenti e prediche sui privilegi dei parlamentari, sui costi della politica, sulla inadeguatezza della classe dirigente, inefficiente e sprecona.
Ma sa, questi sono gli articoli più facili da scrivere. Ma è il solito circo, il solito trucco: contrapporre il benessere di pochi privilegiati al malessere di molti.
Ma questo malessere e questo benessere esistono o no?
Certo esistono dei privilegi che possono essere ridimensionati e sicuramente esiste un malessere generalizzato, ma se questo malessere anziché affrontarlo lo si indirizza solo su aspetti – criticabili – ma marginali rispetto ai problemi veri, non si risolverà nulla. Se si usa la pancia al posto del cervello non si modificherà un bel nulla delle posizioni in cui si è trincerata la casta.
Invece vediamo molti nostri politici inseguire Grillo sul suo stesso terreno.
Grillo è identico agli esponenti della politica che critica. Perché l’antipolitica è vuota: ha come unico argomento quello di non voler avere nessun argomento. Basta vedere le tre proposte che Grillo ha fatto firmare in piazza: è evidente che nessuna di esse ha nulla a che fare con la situazione del paese. la crisi del paese è la vera ragione del malessere.
Si spieghi.
Le tasse, le pensioni, il lavoro. La gente ha sentore di problemi urgenti ma che paiono irrisolvibili. Faccio un altro esempio macroeconomico, forse meno popolare, ma indicativo. L’inserto economico di Repubblica ha recentemente pubblicato un grafico che compara la produzione industriale di Germania e Italia. La Germania cresce e ci sono buoni presagi per il futuro. L’Italia ha avuto una crescita fino alla fine del 2006 – tuttavia procedendo a un ritmo che non è nemmeno la metà di quello tedesco – ma, dalla prima metà del 2007, ha registrato un brusco stop. Il futuro è nero e il divario con la Germania, il traino dell’Europa, è destinato ad ampliarsi.
Fin qui l’analisi del dato, ma, politicamente, che conseguenze ne dobbiamo trarre?
Una sola: da 15 anni il paese non è governato. Le manipolazioni politiche, elettorali e istituzionali che sono state introdotte hanno creato un sistema che consente la lotta di potere, ma non il governo del paese. Sono tre lustri di non decisioni, di mancate decisioni. E questo, in un periodo di grandi trasformazioni, ha un costo elevatissimo.
Insomma, ci sarebbe bisogno di più politica, non di meno.

La cosa grave è che nel momento in cui bisognerebbe concentrarsi, confrontarsi e, se necessario, dividersi sul modo per porre rimedio a questa mancanza e discutere sulle decisioni che andrebbero adottate, invece articoliamo il dibattito tra politica e antipolitica nel comune intento di non saper o di non voler risolvere i problemi.
Non si sa o non si vuole, è diverso.
Non si vuole, mi correggo. In realtà una soluzione ci sarebbe.
E sarebbe?
L’ho detto tante volte, ma tutti fanno orecchie da mercante. Il sistema politico per come è stato organizzato (o meglio, di-    sorganizzato) dopo Mani Pulite ha condotto solo a un bipolarismo bastardo che impone al paese una ingovernabilità perpetua. Che ci sia la destra o che ci sia la sinistra il risultato è il medesimo: non si riesce a prendere delle decisioni. Leggo i giornali di oggi e vedo lo scontro sul nucleare fra i ministri Pecoraro Scanio e Bersani. è stato impossibile ieri trovare accordi condivisi tra le coalizioni, lo è oggi, lo sarà domani.
Non rimane altro…
Che la grande coalizione.
Un’ipotesi un po’ accademica, non le pare?

Al contrario. è l’unica possibilità, non c’è scelta. è l’unica via d’uscita per l’Italia per non precipitare nel baratro. è evidente che con la grande coalizione, e con l’esclusione delle posizioni estremiste e marginali di destra e di sinistra, inevitabilmente si avrebbe un governo che farebbe quello che ha fatto la Germania di Angela Merkel. Almeno una parte dei nodi che abbiamo verrebbero risolti. Perché la verità è che noi non solo sappiamo quali sono i problemi dell’Italia (le infrastrutture, le pensioni, il welfare state), ma sappiamo anche come risolverli. Se noi sciogliessimo questi nodi recupereremmo in competitività e ritorneremmo a crescere. E ritornando a crescere potremmo affrontare anche altre discussioni che riguardano i giovani, i più deboli, i poveri, la ridistribuzione del reddito e così via. Tutti questi ultimi temi che ho elencato non possono essere affrontati seguendo una strada che ci obbliga a legami con la Cosa rossa a sinistra e la Lega a destra.
Secondo lei a che percentuali potrebbe arrivare la grande coalizione?
Penso attorno al 65, 70 per cento.
Grillo e sodali non sarebbero molto contenti di questo ritorno alla Prima repubblica, all’Italia pre-1993.
Ma è questo il problema! è Tangentopoli il vulnus. è l’origine dello sconquasso del sistema, e non tanto per motivi giudiziari, quanto per l’uso manipolatorio che ne è stato fatto. Alcune forze hanno imposto un cambiamento che però non rispondeva, e non risponde ancora oggi, in alcun modo, alle aspettative e alle rogne del paese.
Esistono assonanze tra l’antipolitica di ieri e quella di oggi?
Sì, ma con una fondamentale differenza. Nel ’93 c’era una lotta e una logica politica, che io non condividevo, ma che in qualche modo serpeggiava sottotraccia. Oggi c’è solo un uso di posizioni propagandistiche per mantenere delle rendite di potere. Ma così non si va da nessuna parte, né in Europa né in Italia.
Perché parla di Europa?
Penso ai grandi settimanali internazionali che hanno messo in copertina Angela Merkel, Gordon Brown e Nicolas Sarkozy. In questa Europa che si rimette in moto, che supera certe differenze, è inevitabile che se l’Italia non si mette al passo sarà esclusa. La grande stampa internazionale s’è accorta che qualcosa sta cambiando e lo sottolinea. D’altronde se s’è svegliata pure la Francia…
In che senso?
Quel che ha fatto Sarkozy è sotto gli occhi di tutti. In poche settimane ha preso la guida di un paese che con Jacques Chirac era rimasto la retroguardia dell’Europa, e lo ha capovolto. Certo, vedremo se alle premesse seguiranno i risultati, ma rimane il fatto che i nostri vicini europei cambiano e si adeguano ai grandi cambiamenti globali. Noi in Italia rimaniamo legati da lacci che ci siamo noi stessi imposti.
Non cambierà nulla nemmeno col Partito democratico o con il Partito della libertà?
Sono due non progetti. Sono iniziative divergenti e centrifughe rispetto alla direzione che ha preso l’Europa. Non hanno nessun futuro. Sono non progetti che servono solo a salvare il bipolarismo bastardo e che hanno come unico risultato di rendere ingovernabile il paese. Tra l’altro, mi pare non interessino molto alla gente.
Governo Prodi. Ciriaco de Mita, riportando una battuta di Giulio Andreotti ha detto che «per un governo è meglio tirare a campare che tirare le cuoia».
Come sempre, le battute di Andreotti contengono delle grandi verità pratiche. Il problema è che continuando a tirare a campare alla fine si tirano le cuoia.

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