
Generazione Covid e Generazione Dad

Ieri su Repubblica lo psicanalista Massimo Recalcati ha scritto un commento intitolato “No alla Generazione Covid”. Il filo del ragionamento è questo: mai come in questo momento ci siamo accorti dell’importanza della scuola. Ora, però, si può fare lezione solo attraverso la didattica a distanza. È l’ideale? No, certo che non lo è: «Si tratta di una contraddizione in termini perché la didattica implica come tale la relazione, la presenza dei corpi, lo stare insieme in una comunità vivente senza l’asettica mediazione assicurata dalla tecnologia. Si potrebbe certamente indugiare, lato docenti e lato allievi, sugli innumerevoli limiti di questa didattica».
Tuttavia, scrive, poiché ogni processo di formazione implica l’avere a che fare anche con contraddizioni e ostacoli, è ora di finirla con le lamentele. «Ogni processo autentico di formazione non è mai un percorso lineare, privo di interruzioni o di avversità, non è mai come percorrere un’autostrada vuota. Il movimento proprio di ogni formazione è spiraliforme e riguarda innanzitutto la capacità di rispondere alla ferita e al trauma: come ci si rialza dopo essere caduti?».
Il lookdown come destino
Per Recalcati gli adulti che non vedono di buon occhio la Dad sono quei tipici «genitori contemporanei» che «vorrebbero escludere per i loro figli l’esperienza dell’ostacolo e dell’impatto aspro con il reale, la sofferenza e la frustrazione. Per questo essi oggi possono apprensivamente gridare al trauma, preoccuparsi di tutto il tempo irreversibilmente perduto dai loro figli, maledire le rinunce alle quali essi sono stati ingiustamente sottoposti. Ma in questo modo correranno l’inevitabile rischio di vittimizzare i loro figli e una intera generazione».
Insomma, secondo lo psicanalista, si tratterebbe di genitori che vogliono far vivere i propri figli in un mondo ovattato, preservandoli dalle asprezze del reale, anziché mostrare loro che le avversità si superano affrontandole. Bel discorso, solo che quel che scrive Recalcati è vero solo in parte. È vero che ci sono insegnanti eroici che “fanno scuola” nelle condizioni date e che bisogna fare i conti con il mondo così com’è, piuttosto che lagnarsi del fatto che non è come lo si vorrebbe. Ma, detto questo, perché arrendersi al lookdown come destino? Si può essere professori o genitori eroici continuando a svolgere il proprio compito e, al tempo stesso, chiamando le cose con il loro nome.
Tutti procioni e contenti
E chiamare le cose con il loro nome significa dire che la Dad non è scuola, ma solo un surrogato. Non sappiamo che Dad abbia in mente Recalcati, ma se è quella di cui fanno esperienza tutti, bisogna sottolineare l’ovvio e cioè che esiste una fetta di alunni che ha difficoltà a farla per problemi di connessione; esistono poi ragazzi con bisogni educativi speciali (Bes) per i quali il sostegno in presenza di adulti è essenziale all’apprendimento; esiste poi la stragrande maggioranza degli studenti per i quali la Dad è, per dirla in termini gergali e immediati, una “pacchia”. Il vocabolo non è scientificamente corretto, ma rende l’idea. Qualsiasi studente o insegnante può confermare: affrontare una verifica o interrogazione “a distanza” non ha la stessa difficoltà che in presenza. Ne siamo tutti così consapevoli che ci siamo arresi al fatto che una reale valutazione sia quasi impossibile: tant’è vero che l’anno scolastico si è concluso a giugno senza bocciature. Un fatto macroscopico, educativamente devastante: non si è bocciato perché non si è potuto valutare. E anche quando lo si sarebbe potuto fare, non si è bocciato per paura dei ricorsi (altra rovina, ma questo è un altro discorso).
Quindi il ragionamento di Recalcati va in parte rovesciato. Il nostro psicanalista dice il vero quando afferma che un’educazione basata sulla lamentela è deleteria, ma anche qui si tratta di intendersi sulle parole. Lamentarsi mai, ma insegnare a essere critici, questo sempre. Gli adulti che spronano i loro studenti a non confondere la scuola con la Dad non li stanno tenendo sotto una campana di vetro, preservandoli dagli attriti e dagli urti del mondo, ma al contrario li stanno esortando a non adagiarsi nella bambagia della relazione a distanza, della scuola via internet, dell’apprendimento modello Cepu.
Recalcati cerca la “colpa” negli educatori smidollati, ma farebbe bene a guardare la condizione cui abbiamo costretto i nostri giovani. Li stiamo obbligando a un destino molto più simile a quello del procione dello spot tedesco che alle vittime che lui compiange. Che i procioni trovino degli adulti che facciano levare loro le terga dal divano, questa è la via maestra per evitare di ridurli a bamboccioni. Ma non è che per evitare di avere una “Generazione Covid” che allora possiamo condannarli a essere una “Generazione Dad”.
Foto Ansa
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