La furia di Putin non sarà fermata dalla nostra indignazione

Di Gloria Amicone - Emanuele Boffi
07 Marzo 2022
Concentrarsi solo su buoni e cattivi anziché su aggressore e aggrediti è opera da “anime belle”. Atto morale è tentare la via di un accordo che porti alla pace
Soldato ucraino ad un checkpoint a Kiev
Soldato ucraino ad un checkpoint a Kiev

Caro direttore, leggevo “Berlusconi, Putin, Solzenicyn e un giudizio sull’Ucraina” e non capisco perché la lettera di Berlusconi del 2015 sia in contrapposizione con il dolore vero e reale del popolo ucraino, o come giustifichi la mossa sciagurata di Putin. Certo non c’è «errore di prospettiva» che tenga di fronte al dolore di queste persone senza colpe. Ed è vero che la cosa più vera che possiamo fare è portare la loro sofferenza nelle cose che facciamo, facendole meglio. Come ha scritto un’altra lettrice. Però lei scrive anche che «quando tuonano i cannoni, il punto più urgente non è stare dalla “parte giusta”, ma esercitare un corretto uso della ragione».

E come è vero che si è già detto molto sugli «errori di prospettiva», è vero anche che «articoli e lettere che praticamente trattano da scemi gli ucraini e danno la colpa del macello a loro e all’Occidente anziché a Putin», come dice un altro lettore, non sono mai stati scritti. “Non c’è stato nessun genocidio”. Nessuno, a parte al Cremlino, ha mai parlato di genocidio. Piuttosto di fratricidio o guerra civile. (Difatti l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani parla di circa 34 mila morti e feriti tra civili e militari nella zona del Donbass, tra il 2014 e il 2017. E m’impressionava guardare, qualche giorno fa, una delle foto di Andrea Rocchelli del 2014, in cui si vedono nove bambini in un piccolo scantinato, identica alle centinaia di immagini che vediamo ora. Oggi come allora «sono di nuovo loro, i civili, le vittime del conflitto che si riaccende», come ha scritto il papà di Andrea, Rino Rocchelli).

Mi dispiace però leggere e sentire semplificare questi otto anni drammatici di fronte ai quali il mondo occidentale è rimasto obiettivamente indifferente. E chi non lo fa, sembra giustificare Putin. Al contrario. Putin sa bene che ha utilizzato il dramma di questa situazione che conosce bene (Saggio del 12 luglio 2021) per sembrare agli occhi del suo popolo un eroe invece che un invasore. Chi non ha detto che quello che ha fatto Putin è stato ignobile? Nessuno. E questa visione semplicistica e quasi paracula mi sembra porti molte persone ad una visione manichea. Dove ci sono i cattivi e i buoni, e non gli invasori e gli aggrediti.

Mi sembra che questo stia succedendo anche in politica, dove il dialogo è inaccettabile. E per quanto questa guerra abbia unito l’Europa, tra sanzioni e armi, l’Occidente si è allontanato ancora di più dalla Russia prima ancora di una possibile pace, perché Putin è il male. Per cui, manco fossero dei diplomatici, Biden: «Non parlo con Putin», Ursula von der Leyen dice all’Ucraina: «Entrerete nella Nato» un momento prima del primo accordo, i funzionari Ue escono dall’aula quando parla Lavrov. Di Maio: «Io sono animalista e penso che tra Putin e qualsiasi animale c’è un abisso, sicuramente quello atroce è lui». Meno male c’è Macron!

Ciliegina sulla torta, non bastava l’odio verso il “folle”: censurati Russia Today e Sputnik e il canale della chiesa ortodossa. Manco fossimo in un paese democratico dove, come ho sentito dire da Vittorio Sgarbi, che citava Evelyn Beatrice Hall, «non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo». E sdegno e reazioni identiche in tutta Europa verso il popolo russo. Per cui Valerij Gergiev viene licenziato, la soprano Anna Netrebko rinuncia anche lei al lavoro per vicinanza al collega e per l’ostilità avvertita nei propri confronti, le lezioni su Dostoevskij si possono fare solo in relazione ad autori ucraini, le persone con disabilità bielorusse e russe sono escluse dalle paralimpiadi. Ma le gare rimangono in Cina. Russia esclusa da Fifa, Uefa e… dai videogiochi! (Ma i mondiali rimangono in un paese dove per costruire 7 stadi per le partite sono morte almeno 8 mila persone). E per finire, mentre in Ucraina stanno continuando a morire, la federazione internazionale dei felini russi vieta le gare ai gatti russi.

Quello che voglio dire, direttore, è che come è reale il dolore del popolo ucraino, prime fiammelle di speranza dentro quell’orrore – penso a quei 46 bambini nati in questa settimana dentro quei bunker -, è reale, ora, non sette anni fa, quella difficoltà di dialogo tra l’Occidente e la Russia, che si riflette poi nel dialogo più importante e decisivo. Quello tra Ucraina e Russia (anche se piccola fiammella la stretta di mano di ieri). Ed è attenuato da questa visione anti-Russia e da questa visione secondo la quale Putin e tutto ciò che è legato a lui siano il male. È così?

Lascerei a Dio il giudizio e le sorti. Senz’altro vedo un uomo distrutto dal male. Che pensa che non dovrà mai render conto a nessuno di quello che ha fatto. Però, invece che fare di tutto per questa pace, si sta facendo di tutto per aizzare a continuare questa guerra. Sembra che il dialogo proprio non si sia mai voluto e non si voglia, più che mai ora. E Gloria all’Ucraina… dal Parlamento. Il Papa ha detto: «La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità». E, come dice lei, «con la pace tutto è possibile, con la guerra – questa guerra – tutto è perduto». Ma quel dialogo con la “forza del male” e il suo popolo serve per quella pace. E sperare davvero in un imprevisto.

Gloria Amicone via email

* * *

Carissima Gloria, assumiamoci il rischio di un ragionamento che eviti gli infantilismi di un mondo occidentale che se la prende coi felini russi, gli atleti paralimpici, Dostoevskij, i videogiochi e i direttori d’orchestra per sentirsi un po’ più buono e “dalla parte giusta della storia” (ma poi, appunto, dimentica che nel Donbass il conflitto c’è da anni). Cioè, appunto, scorda furbescamente di considerare tutti i fattori in gioco in questa storia, per vederne solo alcuni e giustificare così la propria postura morale di condanna. Può farci, forse, sentire meglio psicologicamente, ma resta un errore di ragione (“siccome Putin è il male, allora Dostoevskij è il male” è la punta grottesca di questo modo di pensare).

Proprio per questo, come spiega Rodolfo Casadei sul prossimo numero di Tempi, soprattutto in tempo di guerra è fondamentale il “realismo politico”. Quello che usarono Kennedy e Kruscev durante la crisi di Cuba nel ’62, sottoscrivendo un accordo segreto che evitasse a entrambi di perdere la faccia e, al tempo stesso, di scongiurare la guerra nucleare. È quel che servirebbe ora, al di là dei paragoni storici più o meno calzanti. Come ha detto il premier israeliano Naftali Bennett recandosi a Mosca, «anche se le probabilità non sono grandi, tutte le volte che c’è una piccola fessura, nostro obbligo morale è fare ogni tentativo. Finché la candela è accesa dobbiamo sforzarci».

C’è qualcuno che lo vuole davvero? Da un lato, abbiamo il presidente russo che ha compiuto una mossa sciagurata e folle che porta solo distruzione e morte (scrivi che Putin è «un uomo distrutto dal male», pare anche a me). Dall’altro, abbiamo, come hanno scritto anche Renato Farina e Antonio Socci su Libero, troppa gente che soffia sul fuoco. Nel mezzo, mentre noi ci dividiamo tra applausi e bestemmie su Twitter, c’è il popolo ucraino che muore.

Nel mezzo c’è anche un Papa che ha chiesto il digiuno per la fine dei combattimenti. È stato ignorato. Eppure, quando egli chiede a Dio «quella pace che gli uomini da soli non riescono a raggiungere e a costruire», esprime un giudizio perfettamente calzante con la situazione in atto. È così: non sanno costruirla da soli. È per questo che, come scrivi tu, occorre un “imprevisto” o, per dirla con una frase che citava spesso tuo padre, il miracolo di un cambiamento («mandaci, o Zeus, il miracolo di un cambiamento», Simonide di Ceo, VI a.C.).

“Moralità” è, appunto, cercare la pace per il popolo ucraino aggredito (prima che sia troppo tardi) dalla furia di Putin, non risolvere le nostre ansie psicologiche per determinare quanto sia diabolico il presidente russo. Nella sua infima e apparentemente inutilità rispetto alla distruzione dei combattimenti e delle bombe, il gesto dei civili ucraini che offrono il tè e permettono al giovane soldato russo prigioniero di telefonare a casa, ci dice qualcosa in controtendenza alla narrazione prevalente che vuole convincerci che, una volta determinata la colpa altrui, l’annientamento dell’altro sia giustificabile. Il male s’alimenta di automatismi, il bene è sempre un “miracolo di cambiamento” imprevisto. È atto morale lasciare lo spazio perché questa occasione di bene possa accadere dentro il meridiano di sangue della storia.

Foto Ansa

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