Furbetti, ma raffinati

Di Bottarelli Mauro
08 Marzo 2007

Lo scorso 13 febbraio la Consob, l’organismo di controllo sulla Borsa, ha multato per 16 milioni di euro la Fiat e ha dichiarato l’incapacità temporanea ad assumere cariche in società quotate per i manager del Lingotto Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Virgilio Marrone. Perché? Per l’equity swap – procedimento in base al quale una parte (un intermediario) paga il rendimento di un titolo azionario alla controparte (normalmente l’investitore) che, in cambio, paga un tasso d’interesse fisso o variabile – che consentì agli Agnelli di mantenere il 30,06 per cento delle azioni Fiat e che si sviluppò nel settembre 2005.
Cerchiamo di spiegare quanto accaduto, partendo dal presupposto che tutta la stampa (anche di centrodestra) difese a spada tratta l’operato di Fiat trincerandosi dietro la difesa dell’italianità del marchio compiuta dal gruppo: i cattivi, per capirci, erano quelli della Consob che hanno fatto il loro lavoro. Siamo nell’aprile del 2005 e il titolo Fiat è precipitato sotto i 5 euro per azione. L’amministratore delegato, Sergio Marchionne, compra un milione di euro di azioni quasi a dimostrazione del suo attaccamento all’azienda e della fiducia nel programma di rilancio. Mercato e stampa si genuflettono di fronte a un gesto tanto nobile. Il problema è che – e i fatti lo confermeranno di lì a pochi mesi – Marchionne compra titoli Fiat a un prezzo molto basso sapendo che le banche convertiranno il loro prestito in azioni causando come effetto immediato il loro apprezzamento. A New York lo chiamerebbero insider trading, a Torino no. La stampa lancia l’allarme, “tutti vendono Fiat”: peccato che, in Borsa, se qualcuno vende è perché qualcun altro compra. Chi? Fiat stessa, attraverso la società lussemburghese Exor che acquista il 10 per cento del pacchetto a prezzi stracciati grazie al già citato strumento dell’equity swap. Per operazioni di questa entità esiste l’obbligo di comunicazione alla Consob ma da Torino ci si guarda bene dal dire qualcosa: un reato grave per un management ma la Real Casa gioca secondo le proprie regole. Il 16 settembre scorso Ifil, l’azionista di controllo della Fiat che fa capo alla famiglia Agnelli, comunica che procederà all’acquisto dell’8 per cento di tutta la Fiat per mantenere la sua quota al 30 per cento anche dopo l’ingresso delle banche con il convertendo. Da chi ha comprato le azioni Ifil? Ma da Exor, la società lussemburghese che aveva rastrellato azioni Fiat attraverso l’equity swap. Le compra a 6,50 euro mentre in Borsa il risparmiatore che volesse investire su Fiat le pagherebbe tra i 7,50 e gli 8 euro. Exor di certo non ci rimette: ad aprile le aveva comprate a meno di 5 euro. Il problema è che Exor appartiene al 70 per cento alla Giovanni Agnelli e Co. e per il rimanente 30 per cento alla Ifi, holding finanziaria del gruppo, a sua volta controllata dalla Giovanni Agnelli e Co. Tutto in famiglia, quindi. Letteralmente. Gli Agnelli, indossata la maschera di Exor, hanno comprato ad aprile il 10 per cento della Fiat a meno di 5 euro ad azione senza dire nulla a nessuno, Consob in testa. Il 16 settembre sempre gli Agnelli, questa volta indossando la maschera di Ifil, comprano da se stessi – cioé da Exor – l’8 per cento di Fiat a 6,50 euro per azione: un prezzo del 13 per cento inferiore a quello di mercato. Morale della favola? Gli Agnelli in versione Ifil rivendono le azioni a prezzi di mercato guadagnandoci mentre quelli in versione Exor hanno capitalizzato milioni di euro vendendo a Ifil le azioni comprate – con i soldi delle banche – l’aprile precedente.
Come anticipato, al Lingotto si sono difesi dicendo che la mossa è stata resa necessario dal pericolo di scalata che incombeva su Fiat da parte di Lehman Brothers, banca d’affari che intendeva rilevare le quote Fiat degli altri istituti di credito entrati nel capitale azionario attraverso il convertendo. Al di là del fatto che – sempre che il mercato non sia un’opinione – se uno è scalabile viene scalato, vi farà piacere sapere che nessuno intendeva lanciare un’opa ostile su Fiat: nessun takeover, solo i movimenti speculativi di mani amiche per far scendere il prezzo delle azioni in vista dell’equity swap di aprile. Di tutta questa storia si è interessata la Procura di Milano dopo un esposto presentato dall’ex finanziere Sergio Cusani ma una decina di giorni fa una decisione della Cassazione ha avocato alla procura della Repubblica di Torino – competente territorialmente – l’indagine per aggiotaggio e ostacolo all’attività di vigilanza contro i tre dirigenti Fiat sospesi dalle cariche dalla Consob. Attendiamo sviluppi che certamente non tarderanno ad arrivare.

Le picconate di Bechis
Nel frattempo si sprecano i titoli sulla Fiat che supera Renault come quota di mercato, sui nuovi modelli sempre più apprezzati e sul ritorno di Lapo: più piccolo, quasi nascosto, il titolo riguardo i 2 mila lavoratori Fiat messi in mobilità con soldi pubblici e con l’assenso di Cgil, Cisl e Uil. Per Franco Bechis, direttore di Italia Oggi, la situazione è chiara: «La Fiat ha ripreso a funzionare perché ha azzeccato un paio di modelli, bisogna però vedere cosa accadrà in futuro e qui ci sono delle perplessità: sono forti sulle city-car, è vero, ma questo è un segmento di mercato dove si guadagna poco. D’altro canto senza le banche e il governo la Fiat sarebbe fallita. Quelle in cui si sono lanciati a Torino, ultimo l’equity swap, sono operazioni al limite, la Consob ha giustamente sanzionato questa scelta e le difese di Torino sono molto opinabili. L’unica differenza rispetto a quanto fatto da Coppola è che al Lingotto fanno le cose in maniera più raffinata: hanno consulenti più capaci che consentono loro di non stare alle regole ma lo scopo è lo stesso. Non mi scandalizzo, per carità: l’Italia è il paese più allergico di tutti alle regole. Per quanto riguarda la difesa di Fiat sull’operazione di equity swap mi pare un po’ duro scalare una società che fa perdite da tutti i pori e che è specializzata in un settore di mercato che all’epoca non tirava: non era certo un boccone appetibile. E anche oggi non griderei al miracolo».

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