L’influencer alla sagra delle fragole che non sente il gusto delle fragole

Francesca Giubelli è stata creata dall’intelligenza artificiale, incarna il classico stereotipo della gnocca, ha migliaia di follower e promuove qualcosa che non può assaggiare a una festa in cui la gente sta gomito a gomito

Francesca Giubelli è bella, bellissima. Incarnato olivastro, capelli mossi e nessuna traccia di quelle punturine o interventi estetici che riducono le donne a bambole di plastica tutte uguali. Francesca non è di plastica, Francesca non è. È la prima influencer italiana creata con l’intelligenza artificiale e certificata con la spunta blu di Meta.

Non è troppo lontano il tempo in cui ci si chiedeva: ma che razza di mestiere è quello dell’influencer? E alla domanda seguivano suggerimenti non molto eleganti sul trovarsi un lavoro vero, da sudarsi il salario. C’è stato il tempo d’oro di chi, giocandosi bene una parentesi di domicilio sulle sedie di Uomini e donne poteva poi campare di promozione creme, abiti, bevande naturali esibendo le proprie forme su Instagram. E quando il nome di influencer ha cominciato a suscitare a pelle un po’ di prurito nazionalpopolare, s’è virato sul “creator digitale”.

L’estinzione degli influencer umani

Avremmo scommesso tutto sul fatto che se il girone degli influencer si fosse estinto, magari in circostanze meno tragiche della sorte dei dinosauri, non ci sarebbero affatto mancati questi profili photoshoppati di lati B e didascalie con aforismi di Oscar Wilde, Budda, Fabio Volo. Sono senz’altro profili finti, ma non del tutto finti. Non è detto che Chiara Ferragni abbia assaggiato il pandoro Balocco, ma di sicuro ne ha tenuto in mano una confezione. Si sarà concordato un appuntamento per fare le foto della campagna, si sarà allestito lo shooting, Ferragni avrà curato il suo trucco e parrucco. Anche questa sgradevole zavorra di realtà può essere superata, risparmiando tempo e spazio.

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L’estinzione degli influencer umani non è un’ipotesi così remota perché con i potenti mezzi dell’intelligenza artificiale si può salvare capra e cavoli: avere un feticcio immagine senza i costi e le imprevedibili scocciature legate a un essere in carne e ossa. Oggi si può far davvero promuovere di tutto a scatola chiusa, e a porte chiuse. Non c’è bisogno di uscire di casa o dallo studio, basta un pc.

Francesca Giubelli e l’inossidabile stereotipo della gnocca

In un recente post su Instagram Francesca Giubelli compare adornata con un cerchietto di frutta rossa: «Oggi sono a Nemi per la 91° Sagra delle Fragole e Mostra dei Fiori, un evento che celebra non solo il sapore dolce delle fragole, ma anche la ricchezza delle tradizioni di questo incantevole borgo». Non è una sottigliezza amletica correggere la didascalia: Francesca non è a Nemi, perché Francesca non è. A Nemi c’è la sagra delle fragole, questa è la versione grammaticalmente corretta di ciò che accade. E se l’influencer scelta fosse stata una delle glorie passate di Uomini e donne, di sicuro avrebbe avuto l’incombenza di esserci a Nemi. Dormire in un albergo, stringere mani, fare selfie col pubblico. Il sapore dolce delle fragole l’avrebbe gustato davvero, magari solo un morso striminzito a favore di obiettivo.

Francesca Giubelli ha infinite potenzialità, ma non quella di assaggiare le fragole. Chi l’ha creata la racconta così: «Ventiquattro anni, romana, amante dei viaggi e del buon cibo, ha una pagina Instagram da oltre 10 mila follower e un blog. Elementi che fanno parte di un percorso virtuale che, sfruttando le potenzialità dell’IA, mira a promuovere il made in Italy». Nel generarla si è lavorato per codificare e realizzare l’identikit della “donna perfetta mediterranea”. A dispetto di tutte le strigliate sulla body positivity e sull’inclusione, Francesca è il ritratto perfetto del vecchio e inossidabile stereotipo della gnocca.

E non c’è dubbio che farà il suo mestiere egregiamente e con grandi vantaggi in termini di profitto, riduzione dei costi e dei tempi di realizzazione, eccetera. Non c’è da stracciarsi le vesti, dal momento che il marketing non campa di dialettica morale e filosofica.

Una sagra promossa da una bocca che non assaggia

Resta solo lo stridore di quel paradosso sul sapore dolce delle fragole. Che un evento come una sagra sia promosso da una bocca che non assaggia è un’immagine emblematica di tante altre faccende con cui stiamo facendo i conti. Il languore dell’incarnazione si sente ovunque.

Spingendo sull’acceleratore dell’esagerazione, si potrebbe dire che l’incubo della pandemia è finito quando sono ricominciate le sagre. Il vuoto (fisico e spirituale) del distanziamento sociale non si è concluso quando abbiamo riposto le mascherine nel cassetto, ma nei luoghi dove è stato possibile che la compagnia umana ricominciasse a dare il meglio di sé. Gomito a gomito. Sagra vuol dire porzioni abbondanti di sughi, tavolate in cui ci si stringe accanto a sconosciuti e si mescolano parole e assaggi di vino o birra. Si torna a casa impregnati di odori, macchiati di fritto, rintronati di balli popolari e chiacchiere a voce sguaiata. Lì c’è l’avamposto splendente e caciarone della stessa specie d’incontro invadente che Gesù impose a Zaccheo. «Oggi vengo a mangiare a casa tua».

Distanziamento sociale e isolamento sociale

Il rischio che il distanziamento sociale precipiti nell’isolamento sociale è sotto i nostri occhi, è un’altra specie di pandemia funesta. È di più dell’indifferenza reciproca che si respira nei contesti comuni, è di più dell’alienazione di massa. È la tentazione di dire «oggi sono» senza che la realtà ci ingombri di urti, di odori, di cacofonie.

Non ci avremmo scommesso una lira sul fatto di provare un pizzico di nostalgia per l’ex ragazza di Non è la Rai che tenta di reinventarsi un mestiere sui social e corre alla sagra del castrato per fare uno scatto sexy e un reel. Eppure, oltre a un cachet più o meno decente, la provetta influencer si portava a casa il tesoro – sbiadito ma vero – di un incontro. Quella zaffata forte che sa di carne ai ferri, impregnata nei vestiti di scena riposti nel trolley.

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