
«Forza Juan, forza!». Il sole rispunterà di nuovo

Quarantasettesima lettera inviata a tempi.it da Antonio Simone, detenuto nel carcere di San Vittore a Milano. Qui trovate la lettera che monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, ha scritto a Simone (la lettera può essere sottoscritta). Qui l’intervista di Simone al Corriere della Sera. Qui gli articoli di Simone pubblicati sul Foglio (1 e 2). Qui la lettera a Repubblica. Qui la lettera al convegno “Aspettando giustizia”.
Ho ricevuto questa lettera da un ex detenuto di San Vittore, oggi in libertà. È un imprenditore che avevo conosciuto prima, quando eravamo entrambi “fuori”. Ve la propongo perché è uno spaccato della vita dietro le sbarre e del desiderio che, una volta per tutte, sia messa fine alla barbarie carceraria.
Antonio Simone
Caro Antonio,
leggo quest’oggi che da un mese sei sotto catetere. Mi dispiace molto, il disagio è spaventoso in sé e peggiore del carcere. Io ne so qualcosa…
Dove sei ora, al settimo reparto? Il centro “clinico”, per così dire, è un posto assurdo, il peggiore del penitenziario. Un concentrato di orrore che passa dal CONP (Centro di osservazione neuro-psichiatrica, ndr) al piano terra, dove i lamenti dei “ristretti” sono urla dall’inferno. Laceranti e infinite. Li legano, li spogliano, li martirizzano. Ho sentito con le mie orecchie uomini di sessant’anni invocare il padre: «Vienimi a prendere papà, portami via, portami via». Urlavano come dei bambini di sei anni, stravolti nel fisico e nel cervello. Sono ricordi che ti segnano per sempre.
Se sei lì, al secondo piano c’è un vecchio rapinatore uruguaiano, Juan Alberto, che ha 75 anni e cammina sempre, sempre, sempre nel corridoio, avanti e indietro, senza sosta. È lucido e passeggiare con lui ascoltando i suoi racconti di vita, di mondo, di “malavita” e di “buonavita” è un’esperienza vera!
Ha vissuto ovunque: Olanda, Francia, Sud America, Spagna, Svizzera. L’ultima volta è stato estradato mentre preparava un colpo in Costa Azzurra.
Sentirlo raccontare la preparazione meticolosa, puntuale, tecnica dei colpi è come vedere un noir francese degli anni Sessanta e ti pare che, ad un tratto, un marsigliese potrebbe spuntare da dietro l’angolo.
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Non ha mai sparato un colpo, ma ha fatto centinaia di rapine, per lo più in solitaria, in tutto il mondo. È una specie di leggenda, mi dicono. Quando, dopo due mesi di passeggio quotidiano, gli ho chiesto “perché”, mi ha risposto sereno: «Ho dato una “fetta” a tutta la mia famiglia che sta a Montevideo, così le ho permesso di mangiare senza rubare». Un paradosso, certo. Ma da parte di un uomo gentile, attento, di grande rispetto, di grande carattere. Sta morendo in galera, ma con dignità, nella speranza di uscire e vedere la sua numerosa famiglia, sparsa ovunque nel mondo.
Lo ricordo perché ogni sera ci dava la buonanotte dalla sua cella urlando a pieni polmoni: «Forza, forza, forza, basta galera!». E tutti – tutti – gli rispondevano: «Forza Juan, forza!». Ho imparato più da lui che da tanti “sacerdoti” del rito giudiziario, privi di rispetto e di amore per se stessi e per il prossimo.
Oggi c’è il convegno di Tempi, Aspettando giustizia, e, chiuso da 500 giorni in casa mia, lo seguo col pensiero.
Ma usciremo perché la Terra gira. Ed il sole rispunterà di nuovo, ne sono certo.
Con stima sincera,
Lettera firmata
PS. Scribi e farisei verranno sepolti dalle rovine del loro stesso tempio…
Lettere precedenti
46. Caro Sallusti, ti aspetto a San Vittore. Serve un altro innocente in carcere
45. Col catetere in attesa di operazione. Si può vivere così?
44. I sapienti dei giornali e gli ultimi di San Vittore
43. L’estorsore che mi ha rispiegato don Giussani
42. Spero di uscire per disintossicarmi dal rito dei telegiornali
41. Leggere Dostoevskij al gabbio. «Senza scopo non si può vivere»
40. Il mio grazie commosso a Festa e una richiesta ai 5mila del Meeting
39. I tre miracoli dello “scopino” di San Vittore
38. Anche voi dite: “Ci vorrebbe la pena di morte”
37. Il lavoro, la passeggiata e il mio nuovo soprannome (“zio”)
36. Dio è morto e anche noi non stiamo bene. Ma si risorge
35. Cosa ci sostiene? La coscienza di essere voluti
34. Ho cambiato cella e raggio. E la porta è aperta
33. «Scusa. Sono un pirla. Ti amo»
32. Quel che ho ricevuto in dono e non riesco a trattenere
31. San Francesco riletto da noi carcerati
30. Il segreto (rivoluzionario) del nuovo compagno di cella
29. Quando Repubblica mi chiederà scusa?
28. La preghiera non è superstizione, ma domanda
27. Leggere “L’annuncio a Maria” dietro mura alte 5 metri
26. Sono un corpo sequestrato perché non dico “tutto”
25. Devo mentire su Formigoni per uscire?
24. L’autolesionismo e una domanda: perché fare il bene?
23. Il carcere può esser casa se l’orizzonte è l’infinito
22. Per le vostre preghiere ho vergogna e vi ringrazio
21. Il gioco dei 30, 50, 70, 100 milioni
20. Lo sciopero della fame, i cani e la spending review
19. Sciopero della fame. Appello da San Vittore
18. Che me ne faccio del prete in carcere?
17. In carcere l’Italia gioca in trasferta e comandano gli albanesi
16. Leggo Repubblica solo per capire se posso chiedere i danni
15. La mia speranza (cosa disse don Giussani nel 1981)
14. Ikea festeggia la condanna definitiva. Festa con incendio
13. «Che differenza c’è tra me e voi fuori? Nessuna»
12. «Sono di Cl non perché sono giusto. Ma per seguire una via»
11. «Amico, posso diventare anche io di Comunione e libertà?»
10. Gli scarafaggi, il basilico e l’urlo nella notte
9. Mi dimetto da uomo. Meglio essere un porco
8. Cresima in carcere con trans. Sono contento
7. Repubblica mi vuole intervistare. Ok, ma a due condizioni
6. In quel buio che pare inghiottirmi, io ci sono
5. La rissa e l’evirazione. Storie di ordinaria follia a San Vittore
4. Io, nel pestaggio in carcere con cinghie e punteruoli
3. «Ezio Mauro, se vuoi farmi qualche domanda, sono pronto»
2. Anche da un peccato può nascere un po’ più di umanità
1. Lettera dal carcere di Antonio Simone. Con una domanda a Repubblica
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