
Formazione professionale, iscritti in crescita. Ma il futuro è tutt’altro che sereno
“Mettere le mani in pasta” piace agli studenti italiani e gli iscritti ai percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno 2012-13 sono aumentati del 18 per cento, stando al monitoraggio che l’Isfol ha svolto per conto del ministero del Lavoro. Ma la scarsità di offerta che dalle Regioni arriva per i centri accreditati ha portato ad un sorpasso del numero di immatricolazioni per questi corsi (passati da 125 mila a 128 mila) da parte dei giovani iscritti agli istituti professionali, che sono cresciuti da 120 a 160 mila.
CRESCONO LE ISCRIZIONI. I numeri ritagliano una fotografia molto netta sullo stato di salute della formazione professionale nel nostro Paese, una strada alternativa ai normali percorsi di studio attraverso i licei che in dieci anni ha visto crescere il numero di frequentazioni di addirittura 10 volte. E se il panorama scolastico italiano parla di un deserto segnato da disaffezione, abbandono e scarsi sbocchi nel mondo del lavoro, i centri di formazione professionale si impongono come un’oasi dalle cifre eloquenti: la dispersione scolastica è assai ridotta anzi, come dimostrato dall’Isfol, porta ad una crescita di studenti che accettano di prolungare i 3 anni di studio minimi per frequentare anche il quarto, e ben l’85 per cento di studenti trova lavoro, alla fine del proprio percorso, in meno di due anni.
L’OFFERTA MIGLIORE. Tuttavia, come rileva Agesc, il futuro è tutt’altro che sereno per queste realtà. Perché il rallentamento di iscrizioni per i centri accreditati è dovuto ad un abbassamento dell’offerta, legato ai finanziamenti con cui le regioni sostengono queste strutture. I soldi sono diminuiti, in più le Regioni che hanno scelto di sostenere progetti di questo genere sono ancora poche. «Le famiglie chiedono che i centri di formazione amplino la loro offerta, invece si trovano a dover fare i conti con una riduzione», spiega a tempi.it il capo dell’ufficio stampa di Agesc Ernesto Mainardi. E così sono costretti a rivolgersi alle scuole professionali, che invece sono statali. «Ma i centri professionali riescono a intercettare meglio le esigenze dei ragazzi e le richieste del territorio, per questo hanno un’offerta migliore».
ANCHE IL LAVORO FORMA UN RAGAZZO. Non è un caso se, come indicato dai dati dell’Isfol, la percentuale di studenti che arrivano alla qualifica è diversa da centri professionali a scuole: per i primi si viaggia su percentuali del 68 per cento dei ragazzi iscritti al primo anno, per i secondi si scende al 45,6. Lecito quindi che da queste strutture arrivi una richiesta di maggiore aiuto economico, per sbloccare nuovi corsi e aumentare le possibilità di recepimento studenti. Anche perché la percezione che in Italia si ha di questi percorsi di studi è cambiata: «Per lungo tempo il lavoro è stato visto come qualcosa di scollegato dalla formazione di un ragazzo e dalla sua educazione», spiega ancora Mainardi. «Ora le scuole stanno recuperando un rapporto con le aziende, arrivando a cogliere che chi fa un bel lavoro ottiene risultati sensibili anche in termini di soddisfazione personale».
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4 commenti
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Si può lavorare per mantenersi, studiare per non essere sudditi e contemporamente contestare istituzioni autoritarie come una parte della chiesa che vorrebbe fedeli pecoroni che non sanno esprimere e rivendicare i propri diritti di cittadinanza.
Personalmente credo che la chiesa per mantenere il suo potere abbia sempre cercato da un lato di indottrinare i ragazzi e dall’altro di inserirli prima possibile nel mondo del lavoro per tenerli lontano dalla cultura che li avrebbe resi cittadini e non sudditi.
Già, molto meglio avere frotte di nullafacenti per mandare avanti quei baracconi che sono le università.
dove sono nate e ad opera di chi le prime scuole professionali? come al solito sarà tutto colpa dei soliti cattolici bigotti, antiabortisti e omofobi. bisogna dirlo a quelli di giornalettismo .