
Fisichella: «I cattolici in politica, a qualunque partito appartengano, abbiano a cuore i principi non negoziabili»
Dopo l’intervista a monsignor Luigi Negri («La Chiesa non ha detto di votare Monti. I criteri per giudicare sono i valori non negoziabili»), la Stampa oggi interpella l’arcivescovo Rino Fisichella, ministro vaticano per la nuova evangelizzazione, secondo cui «la presenza trasversale dei politici cattolici in tutti i partiti è un dato ormai acquisito. La Chiesa ha a cuore i principi non negoziabili e chiede ai credenti di impegnarsi a loro difesa nella vita pubblica, a prescindere dallo schieramento nel quale si trovino ad operare». Monsignor Fisichella puntualizza che «non ci sono variazioni di orientamento rispetto a quanto stabilito nel 2002 dalla nota dottrinale di Joseph Ratzinger sull’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica».
PERICOLO IRRILEVANZA. È questa, spiega Fisichella, «la chiamata fondativa e il programma per le scadenze che attendono l’Italia e per i cattolici che intendono impegnarsi in politica. La loro irrilevanza nella vita politica impoverirebbe la politica stessa ed è uno scenario da evitare». Il contributo dei cattolici, prosegue l’arcivescovo, «deve essere attivo, aperto al dialogo, rivolto al bene comune e non agli interessi di parte». Aborto ed eutanasia, «non possono essere considerati diritti perche’ contravvengono ai principi fondamentali della legge naturale» e la famiglia «va giuridicamente difesa dalla mera equazione ad altre forme di vita comune».
OPERARE DA CRISTIANI. È su questi aspetti che «si misura il grado di coerenza di un politico cattolico, non sulle dichiarazioni a priori». L’auspicio è quindi che il ruolo dei cattolici «non venga mai meno» e che i politici «operino da cristiani in qualunque partito siano». Non meno importante il ruolo di esempio di un leader: «Un cattolico che occupa un ruolo di guida ha anche questa responsabilità pubblica: l’essere credenti comporta una esemplarità di stile e contenuti. La politica deve essere animata da una speranza di miglioramento per essere la più alta forma di carità. È compito dei politici cattolici attivare sinergie di forze positive anche con chi non crede: fede e ragione sono complementari».
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6 commenti
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Caro Mons., peccato però che se io voto SEL o PD o Radicali, il mio voto serva per un programma politico contrario ai valori cristiani. E anche se il mio voto lo dò a un cattolico SEL PD Radicali che isolatamente, e ininfluente, si oppone all’interno di quello stesso partito, il mio voto sarà utilizzato contro i princìpi cattolici. O no.
E allora quei tre partiti da lei citati non sono da votare, mi sembra ovvio.
Non vedo poi come un cattolico coerente con la sua Fede e convinto delle indicazioni del Magistero ecclesiale, possa far parte di uno di quei tre raggruppamenti politici.
Ovviamente il cattolico che non è disposto a compromessi viene definito integralista dal SEL, dal PD e dai radicali.
Proviamo il rovescio: chiedere a loro di non essere integralisti.
E, cioè, pur facendo parte di uno di quei tre orientamenti, di condividere ” i princìpi non negoziabili “.
Come minimo si viene definiti fascisti e servi del Vaticano.
Gli integralisti sono quelli che vogliono imporre con tutti i mezzi i loro “princìpi non negoziabili “ in un contesto, la politica, che è l’arte del compromesso e del bene comune, anche,quindi di coloro che non condividono per niente i principi cattolici. Nessuno nega a un cattolico di praticare la sua religione e di essere coerente coi suoi principi (amesso che vi siano nella realtà cattolici che lo siano coerenti), ma questi non possono e non devono imporre il proprio punto di vista ad altri. Nessuno costringe un cattolico a divorziare, una cattolica ad abortire, una coppia gay cattolica a sposarsi, un cattolico a praticare l’eutanasia. Perchè un cattolico dovrebbe imporre (se non con l’esempio) con le leggi civili ad altri il proprio punto di vista? Trovo questa posizione francamente inaccettabile!
Proprio perché la politica non è solo l’arte del compromesso, ma anche del bene comune, come lei giustamente sostiene, sull’idea del bene non ci possono essere compromessi.
Il cattolico su ciò è integralista al pari di un non cattolico, che la pensa diversamente da lui, ovviamente.
Il cattolico, però, non propone la sua idea di cosa è positivo per l’uomo e la società come un comandamento di Dio indiscutibile ( anche perché il comandamento di Dio ha una sua logica interna che lo convince ad aderirvi, se no è un’imposizione esterna senza senso ).
Ma in base a dei ragionamenti umani attinenti al problema in discussione, allo stesso modo quindi di coloro che in Dio non credono.
Sì, ma il cattolico vuole imporre atrtraverso leggi statali comportamenti cattolici anche dai non cattolici. I non cattolici lasciano liberi i cattolici di seguire i propri convincimenti e vorrebbero fosse fatto altrettanto. Ripeto.
Nessuno costringe un cattolico a divorziare, una cattolica ad abortire, una coppia gay cattolica a sposarsi, un cattolico a praticare l’eutanasia.
Un non cattolico vuole solo poter divorziare, poter abortire, potersi sposare civilmente se gay, poter praticare un suicidio assistito se lo desidera (e non in base a dei capricci, ma con le sue ragioni mediche e di estrema sofferenza psichica).
Se lei mi riformula, con altre parole, il medesimo precedente concetto, vuol dire che non ha capito la logica insita nella mia replica.
Il cattolico è contrario al divorzio, all’aborto, alle nozze omosessuali e all’eutanasia in base a dei ragionamenti umani che motivano la negatività di questi provvedimenti.
Che considera quindi dei mali per la società, se questa, a maggioranza, li adottasse.
Non li motiva come mali a chi si professa ateo o miscredente perché sono dei divieti di Dio.
Infatti, ci sono persone anche senza Fede che li considerano dei mali sociali in base a motivazioni formulate dalla loro ragione, le quali coincidono con quelle pensate dai cattolici.
Chi crede nell’aldilà e chi no, per esempio, si può alleare per contrastare l’aborto, perché la ragione di entrambi ritiene che disfarsi di un feto in via di formazione equivale a un omicidio, perché distrugge lo sviluppo naturale del futuro nascituro.