
Finché l’uscio si spalanchi
È appena uscita per Adelphi una riedizione degli Aforismi di Zurau di Franz Kafka, curata da Roberto Calasso. Metterlo in valigia e portarlo al mare, è piccolo e leggero – quanto a volume almeno. Quanto al resto, aforisma 36: «Prima non capivo – scrive Kafka da Zurau, anno 1917 – perché la mia domanda non ottenesse risposta, oggi non capisco come potessi credere di poter domandare. Ma io non credevo affatto, domandavo soltanto».
Tuttavia, lo stesso, all’aforisma 46, scrive: «In tedesco la parola sein significa entrambe le cose: esser-ci (Da-sein) e appartener-gli (Ihm-gehoren)». (E dunque la risposta a colui che nemmeno poteva credere di domandare, era già stata data. Esserci e appartenerGli, due moti non scindibili. Nel primo respirare, già quell’appartenere inesorabile).
Ma ecco di nuovo il buio. «C’è una meta, ma non una via», questo aforisma è noto. Le ultime righe però sono un accanimento amaro: «Ciò che chiamiamo via, è un indugiare». Educata, forbita, riarsa bestemmia, come stremata da un tempo infinito di domanda senza risposta.
E però ancora, aforisma numero 118. «L’umiltà dà a ciascuno, anche a chi dispera in solitudine, il rapporto più forte con gli altri, e lo dà subito, a patto soltanto che l’umiltà sia piena e costante. Essa può far questo perché è la vera lingua della preghiera, al tempo stesso adorazione e fermissimo legame».
E qui, il lettore del piccolo libro si ferma: la vera lingua della preghiera, “umiltà”, cioè “adorazione e fermissimo legame”. L’uomo che a un certo punto non capisce nemmeno come poteva domandare, sa tuttavia di quel “legame” che è addirittura “fermissimo”, e di pura adorazione. La luce e il buio, la luce piena e il buio cieco continuamente si alternano nelle pagine di Kafka. Pochi come lui tanto segnati dal marchio dell’elezione – e tanto in fondo già consapevoli, forse da sempre, di ciò che per tutta la vita sono andati disperatamente cercando. Talmente “preferiti” da poter scendere in ogni abisso di disperazione – con la stessa certezza non confessata nemmeno a se stessi dei figli più amati, la certezza d’essere, nonostante lo smarrimento e l’angoscia, comunque prediletti.
Ma sì, esiste la meta e non esiste la Via, e quella Via Kafka la chiama addirittura a un certo punto, quasi sprezzante, un “indugiare”. Eppure sa molto bene che pregare è fedeltà “fermissima” – il mendicante per sempre sulla soglia di una reggia, sul portone che sempre è rimasto chiuso, ad attendere, ostinato, che l’uscio improvvisamente si spalanchi. Che, finalmente, tutto sia compiuto.
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